Recentemente ci sono cose che capisco poco, o, per lo meno, che riesco a inquadrare con difficoltà entro i paradigmi che ritenevo fossero “dati”. La nostra democrazia, come l’ho sempre pensata e quale è quella nata dalle e sulle ceneri del fascismo, delimitata dal quadro di quel magnifico esempio di bilanciamenti e controlli reciproci che è la Costituzione repubblicana, è fortemente a rischio.
Non si tratta, io temo, di deviazioni, di errori, di eversioni che escono dall’alveo del diritto e che, corrette o represse, fanno sì che il sistema torni alla sua normalità.
E non si può neanche parlare di malfunzionamenti, perché questi ultimi, normalmente, non sono voluti e si possono riparare.
Temo ci sia un disegno, un progetto, che di fatto tende a cambiare radicalmente il nostro sistema, nei fatti, senza atti formali e formalmente voluti. Mi pare che la prassi, la consuetudine –nel nostro diritto sono fonti secondari e sussidiarie di produzione normativa- stia diventando la fonte normativa primaria. Forse neanche nei Paesi di tradizione anglosassone è mai avvenuto quello che avviene oggi nel nostro.
E ulteriore paradosso è che artefice principale di questa eversione silenziosa è un Presidente della Repubblica che per storia personale e tradizione politica dovrebbe aborrire ciò che fa. E forse, mi vien da pensare, lo aborrirebbe se lo facesse altri.
Il nostro Presidente, da Garante della Costituzione e dell’Unità nazionale, a poco a poco, sta aumentando i suoi poteri senza che nessuna norma glielo consenta, mentre, specularmente, il Parlamento –costituito da proconsoli di nomina imperiale con ratifica formale popolare- li vede assottigliarsi sempre di più e senza dir nulla e li cede, graziosamente e volontariamente, al Presidente e al Governo.