Nella vita di ognuno arriva, ad un certo punto, il momento della rilettura.
Perché si rilegge e cosa si rilegge? Sono scelte (scelte consapevoli più di quando si legge per la prima volta) che attengono al nostro vissuto: quello culturale, quello esistenziale…
Perché Sofri ha scelto La metamorfosi?
E’ la prima domanda che mi sono posta quando ho avuto tra le mani il libro.
Avrei potuto – forse, ma forse no - trovare anche subito la risposta, se non mi avesse spiazzata quel taglio filologico con cui il testo mi si è, al principio, presentato.
Ed a questo punto mi sono detta: Oddio, sta a vedere che si tratta di un’edizione critica? Una di quelle che mi facevano impazzire ai tempi dell’università?
E come mai, proprio lui, che avrebbe ben altro da dirci e raccontarci, si presenta con un testo filologico? Non sapevo ancora, o meglio non avevo capito...
A margine dell'incontro agrigentino con Adriano Sofri, con uno scritto apparso su Suddovest Gaetano Siracusa suggerisce una chiave di lettura sacrificale del racconto di Franz Kafka 'La metamorfosi'. Secondo Tano, Gregor Samsa, improvvisamente metamorfosato in un insetto immondo, accetta cristianamente che si compia il proprio
La presentazione del libro di Sofri “Una variazione di Kafka”, avvenuta ad Agrigento il 17 ottobre alla presenza di un pubblico numeroso e molto attento, ha aggiunto nuovi elementi per la comprensione del testo, godibilissimo, e proposto spunti ulteriori di riflessione su una vicenda solo apparentemente riservata ai filologi e agli specialisti di Kafka.
I protagonisti del libro sono tanti, due i principali, l’autore e Kafka, altri secondari ma di grande prestigio come Margarita Kelsen e lo stesso Borges, altri ancora meno famosi ma difficilmente dimenticabili come il prof. Flò.
Il nodo principale di un racconto, intricato e intrigante, ricco di sorprese e veri colpi di scena, è un cambio di parola fra l’edizione del ’15 e quella del ’17 ‘ di ‘Die Verwandlung’, erroneamente tradotto ‘La metamorfosi’ invece di ‘La trasformazione’.
La sostituzione si trova all’inizio del secondo capitolo: l’uomo-scrafaggio giace nella sua stanza-prigione e vede sul soffitto il riflesso delle luci, ‘dei lampioni’ nella prima edizione, dei ‘tram elettrici’ nella seconda.
Sofri ritiene che l’autore della variante del ’17 (i tram) sia lo stesso Kafka e non un anonimo redattore come molti hanno ipotizzato. Le ragioni argomentate da Sofri sono molte e convincenti, ricostruite viaggiando soprattutto attraverso Google fra articoli, saggi, interviste, corrispondenze private, diari.
Vincere è un'abitudine chi ha già vinto vincerà di nuovo
niente mi fermerà, Dio è il segreto della mia vita.
È da un mese che la osservo. Che prendo ad occhio le misure, che seguo il suo sviluppo. La linea che dall’angolo sinistro della finestra sale su fino al solaio e poi procede sulla risega del pilastro. Millimetro dopo millimetro ogni giorno corre, non si ferma, e se dovesse scendere e fare il giro dello stabile, chissà che non possa crollare tutto.
Le operazioni di polizia hanno un nome, si chiamano in qualche modo; non già le fredde intitolazioni burocratico-giudiziarie dei fascicoli e dei faldoni delle procure, quelle col nome dell’indagato eventualmente seguito da un “più” e dal numero degli altri che sono indagati con lui, ma nomi di fantasia, legati in qualche modo e per qualche ragione all’operazione stessa: Operazione Montagna,
Si chiama Ibrahima. Lo chiamo Senegal, perché non mi ricordo i nomi di tutti. Smanettava col cellulare mentre facevo lezione. Ogni tanto lo sollecitavo ma era troppo distratto, l’ho lasciato tranquillo, scriveva... Alla fine della lezione mi sono trattenuto un attimo a sistemare le mie borse, il computer, i libri e tutte le fotocopie utili e inutili che mi porto sempre appresso – per inciso, ormai al lavoro mi hanno soprannominato “professor Toner”! Non mi ero accorto che lui era ancora lì, in aula, a scrivere. Mi si avvicina col suo quaderno e me lo porge aperto su una pagina:
- Professore, io no sono andato a scuola nel mio paese... - guardandomi con quella sua faccia sempre mite, quasi triste. Prendo il quaderno, e sul foglio poche righe scritte a stampatello con una mano incerta, un andamento sghembo: MI CHIAMO IBRAHIMA LEMOR HO 28 ANNI SONO SENEGALESE SONO PARTITO DAL SENEGAL IN AGOSTO DEL 2016 SONO ANDATO IN MALI POI SONO ANDATO IN BURKINA FASO POI NIGER POI SONO ARRIVATO IN LIBIA SONO STATO 14 MESI. DALLA LIBIA SONO ARRIVATO A CATANIA IL 3 GENNAIO 2018.
- L’hai scritto tutto tu? Bravissimo! – Lui mi sorride compiaciuto.
Quale la città più volgare d’Italia, si chiedeva anni fa Guido Ceronetti. E tutti a pensare a Roma, Napoli, Palermo. O Milano, considerando l’avversione del poeta ai frenetici ritmi della modernità metropolitana. Nient’affatto, è Firenze, il suo centro storico periodicamente evacuato manu militari per consegnarlo come fondale, location stavo per dire, alle varie declinazioni di Pitti: Pitti uomo, Pitti Donna, Pitti bambino, etc.
Sarà perché, lo ricorda l’autore con Flaiano, neanche la morte ci interessa più, tanto in ritardo arriva sulla familiare confidenza che con essa abbiamo intessuto, ma in ogni caso, ciò che mi turba e mi commuove della nuova pubblicazione di Stefano Vivacqua, è la perfetta misura nel racconto di quei momenti indicibili della nostra vita affettiva, in cui le parole facilmente scadono nel consolatorio, nello spudorato, nell’irrispettoso.
Donna ineffabile mia madre, di monumentali ingenuità e granitiche certezze. Ricordo le sue ultime parole, qualche ora prima dell’ultimo respiro. Improvvisamente sbarrò gli occhi e mi fissò. Le chiesi come stesse, e lei, che già da giorni non comunicava più, inaspettatamente rispose spaventata: “Ho perso le tracce di me stessa”. Ha richiuso gli occhi e ha taciuto per sempre. Povera mamma, fu la prima volta che la vidi smarrita, atterrita, dopo una vita di spavalde cavalcate sulle sue dogmatiche illusioni. Devo a lei quel che sono stato, e a mio padre quel che sono diventato. La quiete dopo la tempesta, proprio così, il distacco disincantato dal mondo dopo la passione permalosa per i sogni.
Ogni tanto qualcuno da fuoco ai sacchi della spazzatura che invadono strade e marciapiedi. E’ l’inceneritore fai da te, viene da pensare.
Allora arrivano i vigili del fuoco che spengono le fiamme, poi arrivano gli altri a togliere quanto è rimasto del rogo.
Dopo qualche settimana gli accumuli di spazzatura hanno di nuovo raggiunto dimensioni ragguardevoli anche in prossimità del centro sociale, la zona che costituiva il fiore all’occhiello di Villa Seta e che oggi ne riassume il generale degrado. L’inceneritore fai da te viene riattivato, e si ricomincia. Funziona così nella borgata agrigentina che fronteggia la casa di Pirandello.
Il ’68: c’era una scolastica marxiana, e varie scuole interpretative al suo interno, ciascuna con i suoi testi canonici. Importanti case editrici si schieravano fra i fautori dei ‘Manoscritti economico-filosofici’ del 1844 e i cultori della Introduzione ai ‘’Gründrisse’’ del 1857. C’era un marxismo che contrapponeva alle istanze utopistiche e all’ottimismo umanistico del giovane Marx la scientificità della sua critica dell’economia politica negli scritti della maturità. Althusser in Francia e Galvano della Volpe in Italia erano i principali riferimenti di un neomarxismo che sembrava voler aggirare i fallimenti teorici della II e della III Internazionale.