Giandomenico Vivacqua sulla sua pagina fb ha riproposto il mio video ‘Vallicaldi’ con queste parole: ‘Alcuni anni fa un manipolo di sognatori disputò alla polvere dei secoli un groviglio di vecchie strade desolate, instaurando una communitas dove non c'era più la societas. Durò poco, come tutte le più belle cose, ma per nostra fortuna rimane il racconto per immagini di Tano Siracusa.’
E intervenendo sulla stessa pagina Martino Graziano scrive: ‘Finì perché era un sogno, perché era soprattutto una performance artistica, e in questo era la sua forza e la ragione della sua sopravvivenza nella memoria, come impressione durevole, come suggestione, come rimpianto.’
Da molti ritenuto il più bel romanzo di Yukio Mishima, “Il padiglione d’oro” trae spunto da un fatto di cronaca realmente avvenuto nel 1950, quando un giovane buddista, malformato e balbuziente, appiccò il fuoco ad una delle opere architettoniche più sacre e importanti della religiosità zen, il Kiukakuji, all’interno di un famoso
Quando ero piccolo ai bambini si raccomandava di non guardare in faccia a lungo gli estranei . Non sta bene, si diceva. Forse si dice ancora. Non si raccomandava di ‘non vedere’ , ma di ’non guardare’.
Di solito i comandi incomprensibili degli adulti vengono interiorizzati e assunti come regole di comportamento senza venire problematizzati, neppure da adulti.
Perché ‘non sta bene’ guardare insistentemente il volto di una persona sconosciuta?
Se un bambino lo chiedesse ad un adulto quest’ultimo avrebbe qualche difficoltà a rispondere.
Come avrebbe difficoltà a spiegare l’avversione diffusa alle riprese fotografiche che non siano quelle di posa. Evidentemente il fotografo non si limita a vedere, ma guarda, e lo fa consegnando ad un’immagine irrevocabile un volto che difficilmente sarà disposto a riconoscersi.
Cosa c’è di male nel ‘guardare’ che non c’è nel ‘vedere’?
‘Vedevo il mare e lei che nuotava ’ o ‘guardavo il mare il mare e lei che nuotava’ sono due frasi dal significato pressoché identico.
Difficile rinvenire una citazione posta in esergo che sintetizzi compiutamente lo spirito di un’opera. A dispetto dell’etimo (dal greco, “fuori opera”), esso, l’esergo, è “dentro”, pienamente dentro ad una piccola storia di amicizia, quella fra alcuni di noi, consolidatasi negli anni anche per l’avvertimento costante della seduzione esercitata dell’esperienza religiosa; mai esperita, è vero, se non nell’adolescenza, ma mai affrontata con sufficienza, nonostante i riflessi di una peculiare formazione culturale e politica. Fuori e dentro il mondo di Vito Bianco, sottotitolo Fede ed esperienza religiosa in alcune opere del cinema europeo, si annuncia così, felicemente, con una frase tratta da un romanzo di Don De Lillo: Non mi piace non essere credente. E’ una cosa che non mi dà pace. Mi conforta che altra gente creda. Neanche a noi piace. Il cinema invece sì, e molto, anch’esso passione mai sopita, buona occorrenza per far tardi la sera.
Oggi, in questa occasione in cui ci stiamo confrontando sul valore del paesaggio per lo sviluppo, parlerò del concetto di benessere soggettivo e ve ne parlerò perché stiamo curando come Università di Palermo una ricerca sul benessere soggettivo dei cittadini di Agrigento. Si tratta di una ricerca finanziata dalla Fondazione PLEF nell’ambito del premio Bezzo conferito a due ristoratori di Agrigento per i loro meriti non solo sul piano gastronomico ma per avere coniugato l‘offerta gastronomica con la qualità ambientale e la qualità sociale. Il premio è anche un premio alla città e si sostanzia in un progetto di ricerca che può servire alla città stessa per conoscersi e per orientare le proprie scelte.
Non credo avrò mai la pazienza e la forza per studiare il libro di Grossman, cioè per scendere dalle montagne russe della sua narrazione e individuarne anche soltanto i principali nuclei tematici. L’inenarrabilità dell’Olocausto è certamente uno di questi, il più appariscente.
Pepi Burgio * pensa sia andato oltre la soglia segnalata da Manzoni, inquadrata dallo stesso Levi, contestualizzata da Todorov, che l’abbia attraversata sulla scia di Dostoevskij, Sade, Freud, Kafka.
Anche la pressione entusiasta sollecitata dalla lettura di un libro testimonia di affetto e di amicizia. E quindi, grato, ringrazio T.S. per avermi regalato Vedi alla voce: amore di David Grossman. Romanzo di particolare complessità e di improbabile fruizione senza una guida che raccomandi l’esercizio della pazienza e l’apertura verso extra-ordinarie, stupefacenti risorse linguistiche. La quarta di copertina si chiede come raccontare alle giovani generazioni l’Olocausto. Secondo alcuni esso è inenarrabile, in quanto situato in una zona che trascende l’orrore. La sua unicità non consisterebbe soltanto
Il 2 agosto al teatro Andromeda di Santo Stefano Quisquina ci sarà l'annuale serata eventoche chiude il ricchissimo cartellone di questa stagione del teatro di Lorenzo Reina che ha avuto nello scorso concerto di Marco Mengoni il momento di maggiore clamore e visibilità. La serata avrà due momenti.
Il primo è la consegna del premio ai Talenti umbratili giunto quest'anno alla sesta edizione e che verrà consegnato a Florinda Saieva.
Il premio consiste in una scultura di Lorenzo Reina, e vuole riconoscere e celebrare quei talenti che rifuggono dalla ribalta, preferiscono il margine, l’auto-esclusione piuttosto che l’irretimento subalterno e compromissorio e che spiccano per profondità, originalità del loro sguardo sulla condizione umana del nostro tempo e del nostro territorio.
Florinda Saieva ha ideato, organizzato e sviluppato il Farm Cultural Park di Favara, ossia uno degli esempi più luminosi di rigenerazione urbana e di uso della cultura come risorsa capace anche di sviluppo economico e sociale del sud.
Il santo nero è ancora al suo posto, nella nicchia alle spalle dell’altare, con il mantello, il lungo bastone e il libro, freddo e impassibile. Tra poco sarà liberato per essere consegnato ai portatori che, con la vara, irromperanno in chiesa, se ne approprieranno e lo trascineranno per la città antica. La navata centrale è stata svuotata, i banchi spostati in quelle laterali. Fuori, come d’abitudine, la folla attende, distribuita nello spiazzo antistante, sulla scalinata, attorno alle ringhiere di ferro. Per la prima volta è stato fatto divieto ai ragazzini e alle ragazzine di sedersi sul bordo delle mura laterali da dove, sfruttando l’agilità di corpi non ancora definiti, hanno sempre avuto il privilegio di godersi l’uscita del santo. Ragioni di sicurezza, si sussurra sotto il fresco colonnato corinzio. Qualche faccia è preoccupata. Si dice che quest’anno solo venti portatori, con un passi o un distintivo o qualcosa del genere attaccato al
L’identità, dicono, è in buona parte ciò che le particolari circostanze in cui ci si imbatte ti cuciono addosso. Così Anna, orfana quasi fin dalla nascita, ospite di un convento di suore, giovane novizia in procinto di prendere i voti, varca su disposizione della Madre Superiora il confine fra il dentro e il fuori per conoscere tale Wanda, sorella della madre. Il dentro è il luogo della frugalità dei pasti, della geometrica prostrazione delle novizie, della ritualità conventuale; il fuori è il conturbante caleidoscopio di una