ITALIANI A ESSAOUIRA di Tano Siracusa
‘Certo che mi manca il mio paese. Mi manca la lingua, parlare toscano, il cibo e la famiglia, gli amici.’
Sorride con l’aria del bravo ragazzo che impara il mestiere di adulto: 35 anni, architetto, Sergio lavora presso uno studio in Toscana che sta realizzando diversi progetti a Marrakech. Vi risiede ormai da un paio di mesi e dovrà restarci almeno un anno.
Meta mezzo secolo fa dei primi giramondo ventenni, quelli nati dopo la guerra mondiale e in cerca di spaesanti altrove nella sua Medina, oggi Marrakech è meta di un turismo godereccio e a buon prezzo che anima le notti della città moderna. Ed è anche approdo per giovani laureati italiani come Sergio che vi si recano, anche di malavoglia, per lavoro.
Di sicuro la città ha perso il fascino e il mistero descritti da Canetti nei primi anni ‘60.
‘È rumorosa, incasinata, è un po’ come Napoli ma senza la violenza di Napoli’, dice Sergio, in gita ad Essaouira insieme ai due genitori pensionati che sono venuti a trovarlo.
Hanno preso alloggio presso il Riad di un loro concittadino di Pontedera, Massimo, che ad Essaouira vive da venti anni e che ha sposato una marocchina.
Come molti abitanti della Medina che possono permetterselo, Massimo abita un appartamento nella città moderna, a 200 euro al mese, ormai da sei anni, e si reca ogni mattina in bicicletta nel suo Riad dove alloggiano i turisti.
Per lui Essaouira ha perso la magia che aveva ancora negli anni ‘90 e che lo aveva attratto dopo una vita di viaggi e avventure, molti in oriente.
‘Ci sono almeno due tipologie di Italiani che vivono a Essaouira, dice Massimo, e corrispondono grosso modo a due generazioni diverse. Ci sono quelli che arrivano a Essaouira nei primi anni ‘90 o anche prima, toscani come me e gli altri amici del Riad, o come i siciliani che hanno aperto un locale, un piccolo caffè, quasi 30 anni fa. Pionieri. Ancora il boom turistico non c’era, si comprava un Riad come questo o si affittava un locale per un piccolo caffè con poco. Si metteva assieme quello che si aveva, non molto, e si comprava. Lo scopo non era fare soldi ma campare decentemente.’
È la generazione dei quarantenni fra gli anni ‘ 80 e ‘90, quelli di loro che cercavano di venire via dall’Italia di Craxi prima e Berlusconi poi, lontano da una vita precaria o chiusa fra il tempo di lavoro in fabbrica o in ufficio e il tempo libero davanti le tv commerciali.
Molti di loro avevano militato nel ’68 e di quella stagione custodivano un persistente e sul piano collettivo frustrato desiderio di libertà.
La vita in Marocco costava poco e la fisionomia ancora premoderna del paese esercitava su alcuni il fascino dell’unica alternativa disponibile alla civiltà dei consumi. Così allora appariva il Marocco e in parte continua ad essere nelle zone interne e periferiche, come il Rif.
I siciliani avevano gestito il bar per un anno, mentre il Riad di Massimo e dei suoi amici toscani era diventato un punto di riferimento e ritrovo per i pochi italiani residenti e per molti di quelli che viaggiando in Marocco scoprivano Essaouira.
Fra i siciliani l’unico rimasto è Fabio, che nei primi anni ’90 aveva lasciato il lavoro in banca per trasferirsi qui. Da alcuni anni vive in una casa in campagna a venti chilometri dalla città, in una zona di piccole comunità berbere, dove la sera accende le candele e la lampada a petrolio.
‘La prima volta che sono arrivato a Essaouira mi sembrava di essere in una città del medioevo, gli uomini incappucciati, le donne avvolte nelle loro coperte di lana. Sembrava di sognare. Abbiamo preso con poco il locale ma dopo un anno abbiamo chiuso. Troppo dilettantismo. Oggi quel caffè vale oro e quella città è sparita. Sono spariti anche gli amici di allora, rientrati tutti in Italia.’
La casa in campagna è in realtà una costruzione che comprende quattro appartamenti e alcuni spazi in comune, un laboratorio di falegnameria, un piccolo museo di artigianato berbero. L’idea iniziale era di farne una ‘casa di artisti’, organizzare visite sugli asini nei villaggi vicini, offrire un’alternativa al turismo in città.
L’assenza o il disimpegno degli altri proprietari, tre italiani e un francese, ha finora impedito al progetto di concretizzarsi.
Come molti della sua generazione, Fabio non è finora riuscito a salire sull’onda del flusso turistico. Nè lo desidera. Fotografa con il foro stenopeico, ha fatto qualche mostra, riscontrando un certo interesse per i suoi scatti pionieristici con una scatola di latta, la luce e materiali fotosensibili. Un paio di volte l’anno torna in Sicilia per qualche settimana. A lui Essaouira piace ancora, anche se l’ha vista trasformarsi rapidamente e in profondità, come molte aree del Marocco.
‘Il boom turistico, racconta Massimo, diventa percepibile 20 anni fa, in coincidenza con la successione al trono di Mohammed VI, e da allora qui sono arrivati anche italiani che hanno investito per un circuito medio-alto: ristoranti, caffè, hotel. Una generazione nuova che non sa nulla del Marocco e della sua storia, della sua cultura, nè gliene importa.’
Investono a Marrakech, Agadir, ma anche a Essaouira perché il mercato turistico sembra promettente e l’offerta di servizi non eccede ancora la domanda che anzi sembra in crescita.
Persistendo il clima di insicurezza e instabilità del Mediterraneo, i flussi turistici in Marocco non sembrano destinati a diminuire. Il governo da alcuni anni investe molto sui trasporti soprattutto stradali e autostradali (ma presto ci sarà anche l’alta velocità ferroviaria) mentre il controllo delle frange islamiste, un generale clima di sicurezza e una politica estera lontana dalle convulsioni religiose del mondo musulmano, favoriscono gli investimenti dei privati, soprattutto nell’edilizia dove è in corso un prolungato boom edilizio. Si costruisce molto, negli ultimi venti anni sono sorte vastissime nuove periferie, enormi estensioni di fabbricati seriali a distanze crescenti dalle Medine, a loro volta pienamente investite dall’onda alta del turismo.
Che il boom si possa trasformare in una bolla è un rischio concreto. Le periferie sono piene di quartieri nuovi e invenduti che cominciano già a deteriorarsi. E tuttavia l’esodo dalle Medine verso i nuovi insediamenti è in atto e costituisce un’aspirazione diffusa fra i suoi abitanti.
Paola, che ha sposato un marocchino e vive qui da 28 anni, racconta di un conoscente rovinatosi per aver costruito centinaia di appartamenti rimasti invenduti. A Tangeri, a Fes, ad Agadir, a Rabat, ma anche a pochi chilometri da Essaouira, sulla costa, il paesaggio urbano e le dinamiche abitative dei residenti sono profondamente cambiati.
Città come Essaouira hanno in parte riconfigurato la Medina, il suo uso e la sua destinazione. I Riad sono diventati hotel, le botteghe degli artigiani sono ora piccoli caffè o negozi per turisti. O anche minuscole pizzerie, come quella dove Lino riesce a sistemare anche venti clienti.
Anche lui toscano, gestisce da un anno una pizzeria al centro della Medina di Essaouira, su una stradina frequentatissima. Gli va bene, è contento.
Lino appartiene all’ultima generazione di immigrati italiani, una tipologia ancora diversa, quelli spinti dalla crisi lontano dal loro paese e con la disponibilità di un capitale troppo piccolo da investire in Italia. Hanno scelto Essaouira per lavorare dopo averla apprezzata da turisti.
‘Sono venuto qui perché è una città bella, dove è piacevole vivere. Qui in Medina esci per strada e vedi i bambini che giocano, la gente che parla. C’è sempre gente in giro e si va d’accordo con tutti. Ho avuto qualche problema, mi hanno fatto togliere il forno a legna, quelli che hanno i negozi qui all’angolo da quando ho aperto non mi salutano più. Ma soltanto loro. In generale sono molto gentili. Il mio sogno è comprarmi una casa in campagna, un po’ come quella di Fabio.’
A un tavolo è raccolta una famigliola, lui, un italiano sessantenne di ottimo umore, prova a convincere la moglie marocchina che la bambina obbedisce di più se le si parla con dolcezza. Nessuna delle due donne sembra convinta.
Lino va a sedersi un po’ con loro, chiacchierano come vecchi amici.
Quanti siano gli italiani che lavorano ad Essaouira nessuno lo sa di preciso. Qualche decina, dicono un po’ tutti, quelli almeno che hanno un esercizio commerciale nella Medina. Non fanno comunità, non hanno locali di riferimento, a volte si scambiano informazioni sui nuovi arrivati incontrandosi casualmente per strada.
La città, attorno a loro, ruota lentamente mentre il muezzin alza al cielo la preghiera che sembra un canto severo, ammonitore. Come se volesse ricordare alla folla che riempie le strade e le piazze che quella festa è illusoria.
‘Essaouira non fa testo, dice Massimo. Non puoi misurare il Marocco di oggi su Essaouira. Sarebbe come voler farsi un’idea dell’Italia da Taormina. A pochi chilometri da Marrakech e da qui l’anno scorso sono morte una ventina di persone per la ressa durante una distribuzione gratuita di cibo. Qui era tutto un via vai di ambulanze. La povertà nelle campagne è dura. L’ analfabetismo, soprattutto fra le bimbe, in alcune zone sfiora il cento per cento. Così vengono in città. Qui è pieno di muratori, imbianchini che hanno lasciato le campagne. E poi c’è il porto, l’unico posto di Essaouira che non è cambiato, che è rimasto autentico.’
Di notte sull’asfalto lucido di fanghiglia del porto, nel vociare degli uomini e dei gabbiani, gli unici a contemplare silenziosi il grande mattatoio del pesce sono i gatti. Pigri, sazi, sembrano persuasi di essere deità per la cui soddisfazione tutta quella baraonda è apparecchiata.