VITE SOSPESE di Vito Bianco (video di Tano Siracusa)

Ottanta. Sono passati ottant'anni e due mesi e una manciata di giorni dal 5 settembre 1938, la data che nel calendario della nostra vicenda nazionale significa una delle pagine più vergognose e tristi: la promulgazione delle leggi razziali che espulsero dalla vita civile migliaia di cittadini italiani di religione ebraica.

Impiegati, medici, avvocati, editori furono messi al bando con una semplice ma micidiale firma apposta alla fine di poche pagine gelidamente discriminatorie volute da Benito Mussolini per compiacere l'alleato tedesco, quell'Adolf Hitler che aveva fatto della soluzione del "problema ebraico" uno dei pilastri del suo programma reazionario.

Impiegati, medici, avvocati, editori, dicevamo, elencando senz'ordine alcune categorie di lavoratori che quella disposizione colpiva. Alla lista del disonore vanno aggiunti studenti e insegnanti, espulsi con effetto immediato da tutte le scuole e università del Regno. Anche queste vite spezzate - sospese - relegate in un limbo di semivita in attesa di una possibile rinascita, gettate in una nera disperazione o costrette a emigrare in cerca di una nuova esistenza, mentre in Europa si preparava la più grande carneficina del secolo.
Ed è proprio ai suoi studenti e insegnanti ebrei che l'Università di Pisa ha dedicato un convegno e un'emozionante installazione-percorso (Vite sospese, chiesa di Sant'Anna) ideata da Michele Emdin con la collaborazione di Ursula Ferrara e Massimo Bergamasco e realizzata dall'artista Giani Lucchesi insieme a Chiara Evangelista, della Scuola Superiore Sant'Anna.
Quattro stanze di quattro colori diversi e di forma irregolare; quattro tappe di un breve ma doloroso itinerario dalla normalità all'incubo, dalla serena speranza alla disperazione, dal futuro costruito giorno dopo giorno al buco nero di una persecuzione tanto incomprensibile quanto burocraticamente infallibile.
Da quel buco nero della Storia ("la storia è un incubo dal quale cerco di svegliarmi", dice un personaggio di Joyce) riemergono ora, sotto gli occhi del visitatore quasi incredulo (ma l'attualità politica di queste settimane fa da controcanto dissonante all'incredulità) le centinaia di volti e nomi che il fascismo doveva cancellare; e dalla parete di stoffa in cui stanno in lunghe file mute in bianco e nero, escono a turno proiettati sullo spazio di quella di fronte, dove nella parte bassa, su diversi riquatri si susseguono le immagini sgranate del ventennio e si rivede un duce tronfio e gesticolante che a San Rossore annuncia e spieta la necessità di difendere la patria dal "nemico giudeo".

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