KAFKA-SOFRI: SUGGESTIONI DI UNA RILETTURA di Giovanna Lauricella
Nella vita di ognuno arriva, ad un certo punto, il momento della rilettura.
Perché si rilegge e cosa si rilegge? Sono scelte (scelte consapevoli più di quando si legge per la prima volta) che attengono al nostro vissuto: quello culturale, quello esistenziale…
Perché Sofri ha scelto La metamorfosi?
E’ la prima domanda che mi sono posta quando ho avuto tra le mani il libro.
Avrei potuto – forse, ma forse no - trovare anche subito la risposta, se non mi avesse spiazzata quel taglio filologico con cui il testo mi si è, al principio, presentato.
Ed a questo punto mi sono detta: Oddio, sta a vedere che si tratta di un’edizione critica? Una di quelle che mi facevano impazzire ai tempi dell’università?
E come mai, proprio lui, che avrebbe ben altro da dirci e raccontarci, si presenta con un testo filologico? Non sapevo ancora, o meglio non avevo capito...
Devo dire che è stato il disorientamento di un attimo, perché, quei lampioni lungo la Moldava (le Strassenlamp) e quel tram (Strassenbhan) - sarà anche perché amo Praga ed amo Kafka - mi hanno catturata. Mi sembrava quasi di sentire le note di Smétana...
Ma mi ha catturata anche il taglio di inchiesta, che mostrò di voler andare ben oltre l’ambito filologico, presentandomi, già dopo qualche pagina, la figura di una donna straordinaria, di cui non avevo mai prima sentito parlare...
E poi, man mano, quel tram (Strassenbhan e non Elecktische!) - che viaggiava per tutta l’Europa e attraversava pure l’oceano, per fermarsi a lungo in Argentina e poi tornare in Spagna - ha finito anch’esso col coinvolgermi, mentre l’inchiesta stessa, sempre mantenendo l’impianto filologico, si andava complicando, diramandosi in altri rivoli: non c’era infatti solo da definire il valore di una variante, ma anche l’autore di questa e, soprattutto, il titolare della prima traduzione in spagnolo, problema che chiamava in causa un mostro sacro come Borges (mediocre traduttore o fraudolento plagiatore?). Sempre più complicato, ma anche sempre più avvincente.
Ed ho cominciato a leggere, come si fa per i polizieschi, per vedere ”come andava a finire”.
Ma non solo. Perché leggere Kafka e di Kafka, in questi giorni di ormai ordinaria follia, porta ad alcune riflessioni che hanno finito col rimandarmi all’attualità.
Tutta la produzione di Kafka ha infatti una dimensione allegorica. Un’allegoria vuota, come la chiamava Walter Benjamin, vuota perché non rimanda ad un codice di valori assoluti come l’allegoria medievale, ma si racchiude in sé e dove ognuno può collocare una sua personale interpretazione.
C’è sempre qualcosa in un autore, in un libro, che parla direttamente al lettore e lo pone davanti ad un suo problema o interesse o ricordo specifico. Per un artista questo può diventare “un pretesto”, una fonte di ispirazione, come quelle luci intermittenti del tram lo sono state per Sofri.
Io, forse perché claustrofobica, mi sono soffermata sulla camera/prigione di Gregor, e poi anche (tema letterario di primo piano in quegli anni) sul rapporto di Franz/Gregor con il padre e con la famiglia in generale. Tutti aspetti che rimandano, infine, a quello che è il tema fondamentale di Kafka: il rapporto dell’individuo con la Legge. La dimensione assurda e tragica dell’essere umano, la sua prigione, non derivano però per Kafka dalla Legge in sé, ma dal fatto che non ci sia possibile conoscerla o, almeno, comprenderla.
E poiché, oltre che claustrofobica, sono molto impressionata dalle vicende del presente, mi sono chiesta: non è quello che sta succedendo in questi giorni, in cui si agita il rispetto della Legge per eluderla nei suoi principi essenziali? Ma è, la mia, solo una fugace riflessione, legata alle emozioni del momento, che sarà spazzata via dal tempo...
Vorrei tornare ad un tema che ho sfiorato: Margarita Nelken, “ebrea, donna, un po’ artista, intelllettuale, comunista, puttana, traduttrice (anche)”.
Mi succede sempre – ma proprio sempre - quando leggo qualcosa, o quando vedo un film o anche ascolto una musica, insomma qualcosa che colpisca la mia immaginazione e i miei sentimenti, sempre, che io mi butti a capofitto su Google, perché voglio sapere tutto il possibile su quell’argomento. Per questo la lettura del libro di Sofri è durata tantissimo (sono andata a scovare perfino l’edizione del 1917, quella di Lipsia, che ha segnato la svolta per la soluzione del giallo, e anche il video di Susanne Wiegner, che ricostruisce visivamente, col linguaggio delle immagini, le luci e i colori della Zimmer (la camera-prigione) e le impressioni che Kafka ci aveva trasmesso con le parole.
Ma l’argomento sul quale mi sono soffermata di più (o avrei voluto soffermarmi) è stato Margarita Nelken (“la più importante intellettuale spagnola del secolo XX e certo la più dimenticata”).
Dico “avrei voluto” perché Wikipedia riporta in Italiano solo poche e molto scarne righe, ed ho dovuto leggere il link in spagnolo per trovare notizie più precise.
E allora mi son sovvenute tutte le altre donne ebree, un po’ artiste, tutte grandi intellettuali, alcune comuniste, altre mistiche che hanno popolato e arricchito la storia del secolo scorso: Rosa Luxemburg, Edith Stein, Hanna Arendt, Etty Hillesum, Simone Weil, Irène Nemirovsky. Quasi tutte trucidate, come Rosa Luxemburg, la maggior parte gasate, come anche le stesse sorelle di Kafka.
E rieccoci ancora all’attualità, ma non è sulla tragica ricorrenza delle leggi razziali d’Italia e della retata nel ghetto di Roma che volevo soffermarmi, ma piuttosto sulla valenza del loro essere “donne ebree”.
Mi sono chiesta: nel secolo della rivoluzione femminile, come mai la maggior parte delle donne che emergono dall’anonimato sono ebree? Non penso assolutamente che questo primato attenga alla loro “razza” (e provo fastidio anche solo a pronunziarla e scriverla questa parola), ma che derivi piuttosto dalla loro internazionalità.
Margarita Nelken e le altre donne citate sono figlie dell’Europa errante, sono poliglotte, sono ricche di quella ricchezza che deriva dall’incontro e dal confronto, e sono forti di quella forza che nasce da una lotta atavica, anche contro la loro stessa rigida cultura di appartenenza, fortemente discriminante nei confronti del genere femminile.
Sofri, nel suo libro, auspica che alla prima traduttrice de La metamorfosi (titolo fortunato, creato - pare - dalla stessa traduttrice, in sostituzione di quello originale di “Trasformazione”) venga dedicata un’epigrafe: A Margarita Nelken, che tradusse per prima La metamorfosi di Franz Kafka e sembrò non averne riportato una particolare impressione.
Ecco, io ora auspico che Sofri si faccia carico di farci conoscere meglio, con un suo nuovo scritto, questa donna straordinaria e sfortunata che – ho pensato - mentre io leggevo per la prima volta la Metamorfosi, era ancora in vita, intenta a curare, riprendendo la lotta, le grandi ferite della sua vita.
Un’ultima nota. Il libro si chiude con un paragrafo carico di suggestioni: Finestre.
La finestra alla quale Franz/Gregor si affacciava per fuggire dalla prigione familiare e assaporare la libertà
La finestra dei diari, quella che dava vita ai colori della Zimmer - e qui ci sarebbero tante riflessioni sui colori: l’espressionismo pittorico, i fauves…e sui fotogrammi del cinema, che Kafka amava tanto.
Ma non allarghiamoci troppo, ritorniamo alla nostra finestra che segna un limite,
“Il dentro e il fuori che attraversa tutta la Metamorfosi e tutta la vita di Kafka . Gregor dentro uomo e fuori insetto, la casa colpita dalla sventura e la vita felice di fuori, la finestra e le porte che escludono e chiudono – è l’essenza della galera. Qualcuno doveva aver calunniato Franz Kafka, perché diventò un forte esperto di detenzione domiciliare” pag. 139.
La galera... E quelle luci intermittenti sul tetto...
L’arte è sintesi. Troviamo tutto in quelle righe: la risposta – forse – alla mia domanda iniziale (perché questa rilettura?), il punto che lega - forse - l’esperienza esistenziale di Sofri a quella di Gregor/Franz, sicuramente il pretesto per questa Variazione. Ma c’è tanto altro, in quelle poche righe, che io, con le mie riflessioni e le tante suggestioni, potrei solo appesantire e che ogni lettore potrà costruirsi da sé.