In un articolo su Micromega on line (https://goo.gl/nNv6ju) Paolo Flores d’Arcais svolge alcune considerazioni sulle elezioni prossime e le rappresenta come la scelta fra il peggio, il più peggio e il peggissimo; il titolo, infatti è “4 marzo: al voto tra peggio, più peggio e peggissimo”.
Agrigento è il sud-ovest dell'Italia, anzi il suddovest, non proprio il paradiso terrestre, ma l'estremo lembo meridionale dell'occidente che riflette, nelle sue potenzialità e nei suoi limiti tale connubio, proponendosi come il luogo laboratorio dove i guasti di una cattiva modernità si sono sommati ad un'immobile arcaicità e dove, al contrario, le potenzialità dell'albero del futuro possono trovare radici feconde. Da quando è stata lanciata la candidatura della città a capitale italiana della cultura 2020, sono pervenuti centinaia di appoggi pubblici di personalità della cultura e dell'arte, del giornalismo e dello spettacolo, delle professioni e della economia.
Da Andrea Camilleri a Roberto Gervaso, da Andrea Bocelli a Pietro Folena, da Pippo Baudo a Michele Guardì, da Andrea Carandini a Simonetta Agnello e Giuseppe Vita: parole d'amore per la città, di stima, e soprattutto di fiducia nella sua capacità di voltare pagina e di guardare ad un futuro diverso.
Un tempo “passione” evocava nei più qualcosa di molto importante. E’ ancora così? Da bambino, quella di Cristo nell’iconografia spagnolesca, dolente e straziata della settimana santa, esauriva ogni altra accezione del termine; e agiva, inquietante e minacciosa, ad incubare un ampio spettro di sensi di colpa e ad instillare un vago senso di pietà cristiana. Poi pian piano sbiadiva, e quando i primi scompigli sentimentali ne avrebbero richiesto l’uso, passione, la parola dico, non sarebbe comparsa. Dopo l’avrei scoperta, assieme a “ideologia”, nel titolo seducente di un saggio di Pasolini e nella letteratura ottocentesca d’oltralpe.
Chi ama la pittura frequenta con curiosità gli studi dei pittori. E’ in quegli spazi spesso angusti, costipati di opere, che prende forma il percorso di un artista, prima e dopo le cristallizzazioni segnate dalle mostre più importanti e dai cataloghi, nelle particolarità delle procedure creative sempre diverse, nei percorsi interrotti e ripresi, nelle svolte e nei ripensamenti, nel ritorno delle ossessioni visive e negli scambi con altri artisti, negli schizzi, negli appunti. E’ come entrare nel laboratorio di uno scrittore prima che le tecnologie digitali facessero sparire le stratificazioni nella riscrittura di un testo.
Ma gli studi degli artisti sono anche luoghi di incontro e confronto, dove a volte nascono progetti comuni, collaborazioni, si formano gruppi.
Abdul che vende fazzolettini di carta al semaforo, con ogni tempo, da quando aveva 8 anni, il giorno che ne ha compiuti 16 (oggi ne ha 24, ed è sempre lì) mi ha confessato che non sarebbe più andato a scuola."I libri costano troppo" ha provato a difendersi dal mio sguardo contrariato, istintivamente guardando a sua volta verso il padre, che dall'altra parte della strada fa lo stesso mestiere, ma con meno successo. Lascio sempre scivolare nella sua mano qualche moneta, anche senza contropartita.
Ho incontrato tre volte Biagio Conte. La prima volta nove anni fa, in occasione della Giornata delle creature organizzata da Daniele Moretto, su una barca ormeggiata alla Cala di Palermo. Aveva le stampelle e un sorriso luminoso come gli occhi chiari, cerulei.
Ore 8, lezione di diritto amministrativo. Io e le mie occhiaie, in prima fila, seguiamo con attenzione. Spiegando l'accesso civico, il professore mi chiede: "Signorina, lei ad esempio, è residente a Palermo?". Io : "No, provincia di AgrigenTo" Continua: "Di dove?" Sempre io e le mie occhiaie patriottiche: "Sant'Angelo Muxaro". La reazione è esattamente quella standard che da anni mi si prospetta davanti, il vuoto. Lo stesso vuoto che trovo nella mia piazza un lunedì sera qualsiasi dopo le 22.
Generalmente, il mio mondo si estende sin dove mi è consentito essere assolutamente libero di dire e fare e, ancor più, di non fare quello che mi pare: quindi, non oltre la porta di casa mia. Con qualche breve escursione fuoriporta per ragioni di stretta necessità. Una di queste è la periodica triturazione dei miei più assidui compagni di vita, almeno degli ultimi vent’anni: i calcoli renali. In queste circostanze, ciò che ne esce frantumata è soprattutto la mia pazienza, messa a prova da tutti quegli insulsi impedimenti alle mie libertà che il ricovero ospedaliero sempre comporta.
Le finestre sono oggetti familiari e complicati. Incorniciano separandoli il dentro dal fuori, ma li collegano se vengono attraversate dallo sguardo. E i loro vetri riflettono a volte, sovrapponendoli, interno ed esterno scambiandoli in modo illusionistico.
Certe predilezioni sono tracce - imprecise, sfuggenti - dell’intricato percorso visivo che si compie nel tempo e nello spazio, in quel viaggio senza una direzione e uno scopo precisi cominciato con il primo ricordo.
Finalmente la parola eguaglianza entra in scena dopo molti, molti anni. La sinistra unita che oggi fa capo a Pietro Grasso come leader e punto di riferimento, si chiama liberi e eguali. Quasi tutta la sinistra internazionale, a eccezione oggi dei laburisti di Corbyn in Gran Bretagna e dei democratici di Sanders in USA e di non molti altri nel mondo, aveva abdicato a un punto fermo della sua identità, l’eguaglianza. Non sto parlando dell’eguaglianza delle opportunità o dell’eguaglianza formale di fronte alla legge. In questi tipi di eguaglianza si riconoscono tutti, a cominciare dai neoliberisti. Il problema sorge quando l’eguaglianza delle opportunità o quella della legge che dovrebbe essere eguale per tutti non si realizza perché esse sono frenate o vanificate da altre diseguaglianze, quella economica, per esempio, o quella di genere oppure quella ambientale.