E’ sempre difficile dissentire da Giovanni di Girgenti ed io in realtà non dissento, diciamo che eccepisco, preciso. Quello che Giovanni scrive a proposito di Fini è in larga misura condivisibile, ma si muove a mio avviso troppo dentro il politichese e rivela, in sottofondo, l’insopprimibile avversione, a sinistra, verso il Presidente del Consiglio. Che è un motivo dominante dell’analisi politica, a sinistra, ma che forse non aiuta più a comprendere la natura del disagio politico di una Nazione, la nostra.
Quello che ci servirebbe, a mio avviso, non è un Fini, pur anche orientato verso un alto senso dello Stato, che guardi a D’Alema e perché no a Veltroni, o altre figure consimili. Ma un Obama, e non nel senso delle attese messianiche che folle globali acclamanti riversano verso il nuovo Presidente degli Stati Uniti, bensì nel senso un uomo nuovo, veramente nuovo.
L’Italia è vecchia, muore di senescenza, ha bisogno di un profondo rinnovamento che sia anagrafico e di status. Obama sarà pure un sangue misto, ma la cosa che più ci ha colpito in lui, di lui, è che solo un paio di anni fa era uno sconosciuto della politica, un uomo fuori: dagli schemi, dalle leve di comando, un paria del Partito Democratico americano.
In Italia non si vede un uomo nuovo, veramente nuovo, dentro e intorno ai partiti, dentro e intorno alla società, da decenni; tutti gli uomini del Presidente, qualunque Presidente, sono vecchi, e portano schemi vecchi.
Ciò che uccide l’Italia è probabilmente l’uniformità del suo ceto politico che si muove allo stesso modo, dentro gli stessi rigidi schemi, può differire per protervia, ma non per qualità intrinseca, in un sistema chiuso votato all’auto conservazione che ha un unico obiettivo: perpetuare se stesso.