UN'ITALIA IN PANICO DA 'CONFINE' di Valeria Scornavacca
Submitted by redazione on Tue, 02/09/2008 - 14:51
Il limite è l’equivalente esistenziale di ciò che in geografia definiamo confine: una demarcazione che, sia intesa nel suo valore psichico, sia praticata fisicamente, segna un dentro e un fuori: un dentro di rassicurazione, di forza, di certezza, di ordine conosciuto e un fuori di smarrimento, di assenza di controllo, di ordine non conosciuto e dunque di disordine. Tanto più il confine si amplia, tanto più si teme la perdita, parziale o totale, del proprio sereno spazio di sicurezze. La paura dei confini/limiti è generalmente così forte che noi ricordiamo come eroi della nostra storia coloro che sono in grado di valicarli. Questa è una prima categoria: gli uomini coraggiosi.
La seconda categoria: uomini spaventati. Costruiscono palizzate altissime, interrompendo ogni comunicazione con l’esterno. Chi è dentro non può uscire e chi è fuori non può entrare. Un noioso e inconsapevole incedere verso la propria estinzione.
Terza ed ultima categoria: uomini in preda al panico. Delle tre, forse questa è la tipologia più divertente da osservare, perché chi è in preda al panico e non sa che fare diventa grottesco, buffo. Come Paperino che rompe accidentalmente un bicchiere, si volta spaventato e fa crollare i piatti, tenta di riparasi e fa cadere il vaso. Ecco, la classe politica dirigente è affetta da “panico da confine”. Non mi riferisco qui al confine geografico, dunque all’immigrazione, al rapporto con la diversità culturale e alla drammaticità sociale che questo evento porta con sé, ma ai piccoli confinucci, ai miseri limiti, che non servono ad escludere quanto ad incanalare, irreggimentare, fare ordine per aprire gli occhi in un ristretto universo di armonia completamente finta.
L’estate 2008 verrà da me ricordata per questo: il ripudio verso tutto ciò che c’è di spontaneo, di informale, di esteticamente poco convenevole. Il sindaco di Capri si sarà svegliato una mattina col rumore degli zoccoli della colf al piano superiore. Un rumore davvero fastidioso! Via gli zoccoli dall’isola! E a catena spassosissimi altri divieti (li definisco “spassosi” perché per il momento non sono stata mai multata per aver lasciato sulla spiaggia il mio telo incustodito, come è successo in alcune località balneari del nostro Paese): a Voghera è vietato sedersi sulle panchine dopo le 23; ancora a Capri è vietato sedersi sulle scalette della piazza principale; un bacio in macchina ad Eboli può costare mezzo stipendio; a Novara non ci si può raggruppare in più di tre persone nei giardini pubblici; ad Agrigento il venditore ambulante non può “abbaniare”, cioè “divieto di vendita cantata ad alta voce per le strade”; a Roma non si possono fare elemosina e per i più affamati c’è il divieto di praticare una divertentissima attività come frugare nei cassonetti.
In una lettera inviata al direttore di Repubblica, Peter Popham, corrispondente a Roma per l’Indipendent, manifesta il suo stupore: “mi innamorai dell' Italia molti anni fa [...]scoprendo un Paese che abbinava eleganza e libertà, bellezze naturali e bellezze create dall' uomo, tolleranza e informalità, frutti evidenti di una civiltà antica e (apparentemente) matura”. Già, apparentemente.
Il panico da confine ha portato a queste leggi bizzarre. Il terrore che tutto ciò che sta minimamente al di fuori dell’armonia estetica sia non governabile e pericoloso, la convinzione che il decoro e la grazia plastica trovi nel laghetto di Milano 2 la sua più alta espressione, mi fa tornare ancora una volta alla mente quell’era durata quattro lustri nel secolo scorso, sul cui riproporsi ho già speso qualche riga su questo sito. Il modello ordinato, pulito, bello, conforta, rassicura, rilassa e, ovviamente, distrae. Forse molti cittadini romani si illuderanno di vivere in un posto migliore e più giusto quando, uscendo di casa (confine) la mattina non si troveranno davanti una donna che fruga nella spazzatura. Per quanto mi riguarda, annullerò la passeggiata in risciò prevista per oggi pomeriggio sul lungomare di Latina. Vietato (da quest’anno) nei mesi estivi. Rimando al 24 dicembre, così saranno tutti a fare il cenone e nessuno verrà importunato dalle mie franate. Speriamo in un inverno mite.
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