IL DUBBIO di Tano Siracusa
Mi hanno sempre affascinato quei filosofi e scrittori che sospendono le evidenze della nostra esperienza avanzando il dubbio radicale che possa essere un sogno: Cartesio, Calderon de La Barca, Borges, tanti altri. D'altra parte capita a chiunque prima o poi di essere tentato da quel dubbio.
In questi giorni, leggendo un articolo del sindaco Firetto su Suddovest, ho avuto proprio questa perturbante sensazione.
Il sindaco, annunciando la candidatura di Agrigento a capitale della cultura per il 2021, descrive infatti una città che non conosco, atraversata da un nuovo ‘senso di appartenenza e di orgoglio collettivo’ di cui non sapevo nulla.
Adesso, scrive il sindaco, c’è un ‘patto tra cittadini e amministrazione che ha visto le persone protagoniste delle scelte politico-organizzative: un modello partecipativo in cui residenti permanenti e temporanei sono protagonisti dei processi culturali; un laboratorio di idee, in cui la democrazia partecipativa e deliberativa è finalizzata alla costruzione condivisa delle politiche urbane e culturali che caratterizzeranno il futuro della città.’
Leggo alternando speranza e sgomento nel dubbio di essermi così assentato dalla città da poter giurare che non è vero, che il sindaco si sbaglia, che l’ultimo laboratorio di partecipazione e creatività, di protagonismo culturale collettivo è stato alcuni anni fa a Vallicaldi, dove erano state accese delle luci e dove il buio e l’abbandono sono tornati.
A Vallicaldi, come a Santa Croce, a Terravecchia, in interi comparti del centro storico che sembrano bombardati. Vorrei giurare che la cattedrale è chiusa e che la facciata di Santa Rosalia non è stata ripristinata malgrado le promesse fatte in campagna elettorale. Che non si hanno notizie del piano della mobilità, che non si è riusciti a chiudere al traffico neppure via Pirandello, mentre a Palermo, quest’anno capitale della cultura, la chiusura al traffico del centro storico, uno dei più vasti di Italia, ha avuto inizio da alcuni anni riscuotendo un crescente consenso. Potrei giurare che le nostre periferie sono sempre più periferie e tutta la città, anche il suo centro, lo diventa sempre di più.
E giurerei anche che Agrigento ha cominciato nel 1966 a perdere il suo centro, la sua anima: perché non solo la città descritta dal sindaco è diversa da quella in cui avrei sognato di vivere, ma a quanto pare anche la sua storia recente.
Scrive Firetto: ‘Agrigento ha raccontato il cambiamento in atto: ha riferito quella sensazione di riscatto da un passato gravoso che aveva impedito alla città di crescere, di esprimersi, di sperare; ha riferito del superamento di orrori ed errori, con l’avvio di azioni virtuose che hanno portato la città ad essere competitiva a livello europeo: un radicale mutamento che dalla rassegnazione ha fatto nascere l’indignazione, fino a produrre una visione di futuro. Non è accaduto in un giorno. Né dalla presentazione della candidatura ad oggi. Questo è oggi il racconto di Agrigento.’
Così Agrigento ‘ha riferito’ di se stessa.
Io ero fermo invece a un’altra storia, segnata dal sacco edilizio culminato nella frana, dall’abusivismo diffuso, dallo sfregio dei tolli, da un piano regolatore che ha disegnato una città di periferie e svuotato il centro, dalla fuga dei giovani diplomati e laureati da una città che in mezzo secolo ha stravolto equilibri urbanistici, architettonici e paesaggistici millenari.
Stavo ancora al racconto che una minoranza di agrigentini ha costruito in città a partire dagli anni ’80 e che in particolare su Fuorivista è stato articolato e approfondito. Quel ’racconto’ collettivo non era una narrazione originale, ricollegandosi a quella della stampa nazionale e internazionale sul ‘caso Agrigento’, almeno a partire dalla frana e dalla relazione Martuscelli. Era però una narrazione molto circostanziata, differenziata per prospettive e approcci conoscitivi, per linguaggi e media utilizzati, e soprattutto avveniva per la prima volta all’interno della città, segnandovi una cesura, una discontinuità, una tardiva secessione dal vittimismo antistatuale fino ad allora pressoché unanime. Tardiva ma necessaria per aspirare, pensavamo alcuni, ad un futuro che non fosse la ripetizione di ‘orrori ed errori’ di un passato altrimenti destinati a non passare: sembrava la ragionevole premessa per ogni ambizione di cambiamento.
Tutto sbagliato: sarebbe stato solo un sogno brutto e durato troppo a lungo, se il ‘radicale mutamento’ in atto ‘non è accaduto in un giorno , né dalla dalla presentazione della candidatura ad oggi’. Avrebbe avuto inizio da mesi quindi, forse da anni.
Mi pare che non ci sia una terza possibilità: o il sindaco si sbaglia e l’idea di candidare Agrigento a capitale della cultura non è una buona idea oppure qualcuno prima o poi mi dovrà svegliare.