TRA IL DUBBIO E LA RAGIONE di Beniamino Biondi
Carissimo Tano,
accade spesso anche a me di essere tentato dal dubbio che l’evidenza della realtà sia un sogno. In parte perché lo si desidera, in parte perché talvolta lo è davvero, come di certo per il Borges che giustamente nomini. Ma accade altrettanto che nelle incrinature che danno sostanza ai sogni, il principio di ragione si configuri come una circostanza concreta di realtà. La lunga lettera del sindaco Firetto, di cui citi per sineddoche solamente alcuni brani, dà conto in modo esaustivo e circostanziato di un nuovo racconto di Agrigento in cui alcuni percorsi inclusivi di partecipazione orizzontale hanno significativamente concorso alla candidatura di Agrigento a Capitale Italiana della Cultura per il 2020, quasi sfiorando il traguardo a ricompensa di chi per un certo periodo si è quasi burlato dell’annuncio di questa scelta dell’Amministrazione Comunale. Eppure il risultato è giunto, con l’ingresso della città nella short list delle prime dieci città candidate, e di certo non è stato fortuito o accidentale, esitato per buona parte sul più ampio coinvolgimento di un ricco orizzonte di associazioni culturali e di enti del terzo settore.
Un riconoscimento che è stato esplicitato in sede di presentazione della candidatura alla Commissione del Mibact e che oggi si pone, al di là delle legittime opinioni di ciascuno, come un dato incontrovertibile di realtà per cui il nuovo racconto della città si è tradotto in una serie di processi culturali che si offrono a una tessitura più civile e di certo più colta tra le ambizioni possibili di Agrigento. Credo infatti che il Sindaco abbia voluto soprattutto sottolineare quella tensione orgogliosa e non vuotamente pacificante fra il momento della polemica esclusiva e quello della solidarietà progettuale, cioè del nucleo essenziale di una direzione felicemente intrapresa fra istituzioni e cittadinanza attiva. Chiarito questo aspetto, non in polemica con te ma quale testimone che ha offerto il proprio libero contributo alla fisionomia competitiva di Agrigento, assumo il tuo testo come un’occasione lucidamente critica per un nuovo dibattito sulla città, quando sostieni “che l’ultimo laboratorio di partecipazione e creatività, di protagonismo culturale collettivo è stato alcuni anni fa a Vallicaldi, dove erano state accese delle luci e dove il buio e l’abbandono sono tornati”. Abbiamo vissuto insieme, sin dal primo giorno, quella esperienza, e abbiamo discusso spesso del magismo che l’ha accompagnata, contro l’idea di una passività seriale ma anche scegliendo una via che fosse diversa tanto dal rischio di una stabilità ossificata che di una disgregante fraternità. Quell’esempio ha vinto non solo in termini di esperienza collettiva ma sapendo offrire un modello ineguagliato di rigenerazione urbana per cui ancora oggi Vallicaldi, ben oltre la fine di quella esperienza, non è più l’idea di un tabù celato o di uno stigma vergognoso ma il ricordo di una straordinaria stagione di comunità come mai si era veduto ad Agrigento. Ha vinto, quel modello, anche perché ha saputo esportarsi in altri quartieri della città, come al Rabato, e perché è stato individuato come un possibile modello di amministrazione civica, senza deviazioni ma con infinite modificazioni, non disperdendo mai quello spirito originario che lo ha generato. Il buio e l’abbandono di oggi, che ti rendono sgomento, rispondono però ad una verità che cogli con lucida esattezza, e che mi pare coincida con una certa assenza di dibattito cittadino su questioni di prospettiva, laddove sembra talvolta prevalere la chiacchiera anodina di una risibile tensione protestataria o l’acquiescenza al silenzio e al disinteresse per il dialogo. In modo indiretto, nel tuo discorso, colgo questa amarezza, per chi come me ti conosce, e non nascondo affatto le tue ragioni laddove le sento mie, con l’augurio che certi silenzi di quel pezzo di città che altrove si è fatto sentire con autorevolezza e coraggio possano diradarsi tornando alle loro voci iterrogative e a una nuova forma di consenso. Chissà che questo nostro dialogo pubblico, oggi, non possa servire a questo tanto utile scopo.
Fraternamente,
Beniamino