Submitted by redazione on Fri, 02/06/2017 - 09:42
«Aperta nel cielo / sul mare / fra le nuvole / d’indaco impossibile / una porta perfetta / di sette / colori. / Ho volato / dentro / quell’arco, / baléno del miocardio, / e cadendo / qualche ora più tardi / non ho saputo dirti / con parole / dove / ero stato / io con te.
Submitted by redazione on Wed, 31/05/2017 - 10:44
Submitted by Suddovest on Sun, 28/05/2017 - 22:35
Opache e reticenti a dispetto della loro trasparenza referenziale, le fotografie rimangono offerte a sguardi che non sempre le riconoscono uguali a se stesse.
Nel 1999 andavo in Cile per la prima volta. Cercavo di cucire ciò che sapevo del suo passato recente a ciò che si mostrava in una Santiago lustra e indaffarata, a Valdivia, a Castro, nella fosca isola di Chiloè dove piove 300 giorni l’anno.
Pinochet aveva lasciato da poco il suo ultimo incarico istituzionale di capo dell’esercito, mentre da nove anni, a seguito del plebiscito e delle successive elezioni, aveva dovuto abbandonare la presidenza del Cile. Eppure il potere e il prestigio del vecchio dittatore incombevano ancora sul paese e lo dividevano, intimidivano il governo di Lagos e una parte della stampa, eccitavano ricordi recenti, forse presagi. Fotografavo andando in giro, ascoltavo.
Un uomo visto da dietro le persiane che sembrava fuggire nella strada vuota, i cani randagi, certe facce sui giornali e tutti quei militari davanti al palazzo della Moneda, una vecchia che ricordava i morti sui marciapiedi e diceva ‘malo Pinocio’, una ricca proprietaria che raccontava della paura quando pretendevano con Allende di rovesciare tutto, che ora si divideva, si faceva a metà, e lo raccontava sotto un ritratto ad olio del dittatore in divisa, in una villa che mimava splendori settecenteschi ai bordi di Los Sauces, un piccolo centro a qualche ora da Temuco in una zona abitata dai Mapuche, indios che in quelle settimane avevano conquistato le prime pagine dei giornali.
Avevano inscenato proteste, bruciato qualcosa nella selva, si era sparato.
Submitted by redazione on Sat, 27/05/2017 - 13:40
Pubblichiamo il breve racconto con il quale Giorgia Cuffaro, alunna della classe I A del Liceo Classico "Empedocle" di Agrigento, ha partecipato al concorso nazionale Uguaglianza nella diversità - Premio Tommaso Viglione città di Venosa, ricevendo la speciale menzione "La forza della parola" per la qualità metaforica della sua scrittura.
Questa è la storia di un incontro singolare, dello scoccare di un legame
Submitted by redazione on Fri, 26/05/2017 - 18:34
Ci sono dei lavori che sfuggono alla regola temporale imposta dalle conquiste sindacali, ma, anzi, diventano non solo forma e stile di vita, ma anche pensiero permanente. Sotto tale aspetto da paragonare ad una sorta di ordinazione sacerdotale: "sacerdos in aeternum".
Submitted by redazione on Mon, 22/05/2017 - 18:10
E poi, sembra un caso, sostituisci qualcuno e ti trovi seduta in teatro. Non ti va di seguire, ma non riesci a far altro, perché qualcuno racconta la sua storia. Che è la storia anche tua. E allora ti sposti e ti siedi davanti, da sola. La ascolti. La città era la stessa. Le persone, le stesse. I ruoli cambiavano, ma la trama era una. Ognuno aveva scelto da che parte stare. Qualcuno aveva l'idea più chiara di altri, qualcuno era avanti, qualcuno seguiva, qualcuno nasceva, qualcuno non capiva, qualcuno fingeva, qualcuno negava. Ma si viveva accanto, negli stessi luoghi. Molti non ci sono più. Lui oggi ne parla, li ricordo tutti, mi sale il nodo alla gola. La sua memoria si stupisce ancora mentre racconta di un uomo grande e solo. E di quelli che gli erano accanto. Come lui. In quella città bella, difficile e irredimibile. Non vado più lì, non ho voglia di stringere mani che conosco sporche. Vado in Canada per ricordare. E poi ho scritto un libro.
Già, a me viene in mente che ho vissuto troppo duramente in quegli anni. Giovane, in una città solare infestata dal piombo, dal sangue e dalla menzogna. Nessuno ci restituirà l'innocenza. Nessuno ci restituirà quei miti, diversi dagli altri. Nessuno mi risarcirà per le cose che ho dovuto ascoltare nelle aule più alte, dove si doveva insegnare la legge. Troppo era in mano a loro. Troppo era confuso. E questo mi fa rabbia, ancora, adesso. Che sono passati più che 20 anni.
Alla fine ci sono gli interventi dei ragazzi, contenuti nei "pizzini"...il Generale è un uomo con grande senso dello humor, e sa che è più facile così.
Submitted by redazione on Mon, 22/05/2017 - 08:51
Da molti anni ormai non riesco a sottrarmi a quello che ormai, dalle stragi del 1992, considero un vero e proprio impegno morale, una forma di “militanza politica” in difesa della dimensione etica della legalità: andare nelle scuole per incontrare gli studenti, non per fare una lezione ma per una testimonianza ed una parola di speranza nella prospettiva di contribuire alla crescita culturale e politica delle giovani generazioni.
Submitted by Suddovest on Mon, 22/05/2017 - 08:50
Che i fatti, non controvertibili, siano una illusione del senso comune, che la verità, almeno relativamente alle vicende umane, sia una chimera, è stato sospettato fin dalle origini della civiltà occidentale.
Ben prima della attuale discussione sulla post-verità e sulla scomparsa dei fatti, ancora alla metà dell'ottocento, quando il mimetismo nella rappresentazione visiva della realtà era affidata alle mani degli artisti e alle prime apparecchiature dei fotografi, la tesi che esistessero non i fatti ma le loro interpretazioni accompagnava la parabola delle certezze positivistiche fino al loro declino.
Agli inizi del nuovo secolo Pirandello, che curiosamente mai si è occupato di fotografia ma molto di cinema, avrebbe popolarizzato per il pubblico borghese dei teatri e dei romanzi una versione estrema del relativismo conoscitivo e della conseguente problematicità di ogni forma di comunicazione. La prima rappresentazione di 'Così è, se vi pare' è del '17, mentre infuria la grande guerra: niente 'fatti' e nessuna verità oggettiva per il drammaturgo siciliano, solo certezze soggettive, maschere, finzioni, teatro, e il rovello retorico per gli ingenui nel tentativo di presuadere l'altro.
Pur possedendo fin da subito una prospettiva privilegiata, il contributo dei fotografi alla riflessione sui 'fatti' e sulla loro evanescenza ha voluto rimuovere alcune evidenze ribadite dalla loro esperienza.
La fotografia sembra rinviare, come una copia, come un riflesso, ad un originale che è poi la sua origine, e con una fedeltà che era apparsa sorprendente nel 1840, quando la somiglianza della copia all'originale veniva affidata al talento di Ingres e dei suoi seguaci.
Submitted by redazione on Fri, 19/05/2017 - 12:26
La mia prima, fondamentale esperienza di viaggio, mezzo secolo fa, sono state le trasferte da Agrigento a Ravanusa, a bordo di una Lancia Appia, quando venivano le feste comandate e mio padre sentiva il bisogno morale di ricongiungersi con la famiglia d’origine. L’automobile, una berlina affusolata dai malinconici fanali rotondi, mio padre l’aveva acquistata alla fine degli anni ’50, dopo lunghe riflessioni e alcune ruvide ma efficaci lezioni di guida, impartitegli da un cugino acquisito in fama di essere un discreto pilota. L’Appia aveva portiere che si spalancavano al modo delle ante degli
armoire, tanto spesse che quando si chiudevano emettevano un tonfo sordo e perentorio, come fossero le aperture di un caveaux della Banca d’Italia. Il sedile anteriore era un voluttuoso divano; la leva del cambio, posta orizzontalmente all’altezza dello sterzo, conferiva alla vettura, uscita di produzione nel 1963, un irresistibile aspetto retrò.
Submitted by redazione on Fri, 12/05/2017 - 09:45
“Contestare la presenza della brigata ebraica nella festa della liberazione non è un diritto, è un dovere!”
Pages