"Le uniche promesse di Berlusconi mantenute - dall'IMU all'IRAP - gliele abbiamo realizzate noi. Io non contesto a Berlusconi quello che ha fatto: contesto ciò che non ha fatto". (Matteo Renzi su Repubblica del 10 dicembre)
Certo lo stile di comando, una certa dose di arroganza, o la pretesa di rottamare persone, avranno avuto un loro peso nella scissione e nella formazione del nuovo movimento 'Liberi e Uguali'. Ma il nucleo decisivo sta in quello che Renzi ha detto nell'intervista a Tommaso Cerro, condirettore di Repubblica: in quelle due righe si condensa il senso della sua linea: siamo quelli che realizzano veramente il programma di Berlusconi, che non va contestato nelle sue premesse e impostazioni, ma solo realizzato in modo vero ed efficace laddove con Berlusconi al comando restava una semplice promessa.
Siamo davanti alla esplicita conferma di un'accusa sempre respinta, quella del renzusconismo, alla rivendicazione orgogliosa di una identità politico-culturale da parte del segretario del Pd che marca una distanza davvero incolmabile con una parte significativa di quello che fu il gruppo fondativo del partito non solo di provenienza Ds, ma anche dal cattolicesimo sociale.
Renzi si conferma ai loro occhi essenzialmente come una versione giovanile e non impastoiata dai mille paralizzanti conflitti di interessi del liberalismo di massa teorizzato da Berlusconi.
Capita talvolta di leggere qualcosa che sembra scritto apposta per alimentare suggestioni particolari. Oggi, un paio di magnifiche pagine di un romanzo della Ortese, Alonso e i visionari, mi hanno spinto a spendere qualche parola sul riproporsi di iniziative di alcune popolazioni della provincia, ostili ad accogliere i migranti.
A noi, che nascondiamo o cancelliamo senza vergogna la grazia dell’uomo, Anna Maria Ortese ricorda che essa non risiede nella forza ma nell’amicizia modesta, benevola, operante, continua verso tutti i viventi della Terra, giungessero anche dalla Parte Esterna dell’Universo. E apparissero maledetti della Vita.
Giorni fa Siculiana ha dichiarato, con una manifestazione molto partecipata, l’indisponibilità ad ospitare altri migranti oltre quelli già presenti da tempo in paese. Le motivazioni sono quelle solite, per giunta sostenute dal pronunciamento solenne di un Consiglio comunale aperto alla cittadinanza e, a quanto riferiscono le cronache, affollato e vivace.
Preg.mo Dott. Parello, sfortunatamente impreviste urgenze di natura personale mi costringono in questo momento fuori dalla Sicilia. Mi duole e mi rincresce non poter partecipare ai lavori del convegno, ai quali avevo assicurato la mia presenza, e non solo per l'importanza del tema della valorizzazione dell'inestimabile sito archeologico akragantino. In realtà, la ricorrenza che il convegno si accinge a celebrare, il ventennale della c. d. "Dichiarazione UNESCO", mi coinvolge personalmente e richiama alla mia memoria quella notte di ventuno anni fa nella quale, davanti al tempio illuminato, decisi che bisognava fare qualcosa. Uno dei luoghi più suggestivi del mondo, l'area archeologica più estesa e meglio conservata del mediterraneo, questo incredibile concentrato di bellezza naturale e storica, anziché essere il vanto e il tesoro della città, era diventato il campo di una battaglia senza esclusioni di colpi, un luogo e un argomento oggi si direbbe "divisivi", tema di scontro tra le diverse sensibilità e interessenze di una municipalità che non vedeva oltre l'orizzonte dei propri confini, come se quella cosa, la Valle dei Templi, non fosse che un affare locale, un problema nostrano, e non invece un patrimonio di tutta l'umanità.
Sommersi come siamo da un fiume di parole e immagini insignificanti e fra loro indistinte, come per incanto arrestiamo per un po’ il flusso della corrente che ci sta inghiottendo con le emozioni che procura un testo.
Ho letto da poco L’innominabile attuale di Roberto Calasso, notevole narrazione saggistica nella quale ho rilevato alcuni spunti interessanti che propongo attraverso un’elencazione frammentaria ma non del tutto arbitraria: le società secolari hanno voluto diventare organiche; in questo Marx e Rousseau, ma anche Hitler e Lenin [...] hanno trovato una fugace concordia. Organico è bello per tutti. Nessuno si azzarda a dire che la deprecata atomizzazione della società può essere anche una forma di autodifesa da mali più gravi.
Ma chi è con esattezza l’uomo che abita le società secolari, e vivendo già con ansia il proprio tempo, è costretto a registrare il prevalere dell’inconsistenza sull’ansia? Per Calasso è l’homo saecularis, tratteggiato in questo modo: homo saecularis non deve nulla a nessuno. Sta per sé. Non ha nulla dietro se non ciò che fa. Inevitabile un senso di incertezza, perché poggia su qualcosa di instabile e sospetto di inconsistenza. Il piacere dell’arbitrio è guastato da quell’inconsistenza. Homo saecularis parla con molte voci, spesso divergenti. Quella che più si fa notare è progressista e umanitaria. [...] i secolaristi parlano con una compunzione da ecclesiastici e gli ecclesiastici ambiscono a farsi passare da professori di sociologia.
Molli ricci d'ebano. Io non so contare, ma, credetemi, neppure un uomo sarebbe capace di contarvi tutti. A che mi serve, del resto? Siete solo l'ingombro del mio stomaco, fitti e pesanti, premete con durezza sul mio legno, quasi non vi accorgeste di essere più robusti voi che non il mio corpo malathion di crepe.
Ad ogni onda sento con insistenza la mancanza del mio porto e del suo sole sempre identico. Dei raggi che battevano a prua e abbagliavano di luce calda l’acqua tesa.
Di quelle notti libiche spese a scoprire fughe spicce e silenziose, prima di divenirne io stesso schiavo, costretto dallo schiacciante peso umano che ora fingo di saper trasportare.
È ormai da due lune che le onde bizzose sembrano sfidarmi.
Non capiscono quanto sia stanco? Quanto sia gracile?
Era meglio prendere un treno per Roma e poi, una volta arrivati alla Stazione Termini, cercare un posto sul Roma-Palermo e poi, una volta lì, scendere a Termini Imerese e aspettare la coincidenza per Agrigento. Il viaggio era lungo, circa 24 (ventiquattro) ore, se andava bene, se non c’erano ritardi e se si azzeccavano i treni di corrispondenza. Le stazioni sono luoghi d’Italia, o forse lo erano prima che diventassero dei supermercati. I viaggi in treno attraversavano paesaggi i più disparati, da Torino e Milano a Napoli e da Napoli a Reggio Calabria e da Reggio Calabria a Palermo, Catania, Siracusa, Agrigento, Ragusa, Trapani.
In questi luoghi sembra esserci una circolarità apparente, un tornare da dove si è partiti. Apparente perché quel tornare è un andare avanti, è il presente che finalmente ha davanti di nuovo un orizzonte, un futuro.
Infatti poco più che ventenni Peppe e Valeria hanno avuto il primo figlio e deciso di restare in Sicilia, vivere in campagna con le capre girgentane per produrre un formaggio prelibato. Valeria si sta laureando in antropologia e per restare ha rinunciato all’erasmus.
La grande giostra di Amsterdam ruota dentro una pioggia quasi invisibile, impalpabile, come una specie di cipria liquida.
Gli abitanti della città sono abituati, a piedi o in bicicletta solo pochi si muovono con i parapioggia aperti. Quando per qualche ora il sortilegio della quasi pioggia svanisce, il sole accende sulla città bagnata bagliori iridescenti, che mostrano il cromatismo vibrante sulle facciate delle case un po’ sbilenche e dei sontuosi palazzi, moltiplicato dalle superfici riflettenti. Il vetro con le sue trasparenze è il materiale prediletto nei luoghi bui, il vetro orlato da quelle cornici architettoniche che sono le finestre.
Amsterdam è la città delle finestre, delle loro geometrie regolari che viste da fuori sembrano ispirare Mondrian o esserne ispirate, mentre negli interni giocano con gli specchi rimbalzando la luce e moltiplicandola in miraggi domestici, come nei dipinti di Vermeer o di de Hooch.
Ho un figlio di 11 anni. E’ appena uscito dalle elementari e fa la prima media. Alle elementari faceva il tempo pieno e mangiava alla mensa. Tante volte si lamentava insieme ai suoi compagni perché diceva che i piatti arrivavano talvolta collosi, talvolta freddi, talvolta collosi e freddi e inoltre la dieta giornaliera, per quanto corretta dal punto di vista dell’equilibrio tra proteine, vitamine, ecc., era, per così dire astratta, non teneva conto cioè del fatto che i bambini sono bambini e se porti loro piatti che non amano, non mangiano. Viziati? Non credo, ma il fatto è che in tanti non mangiavano dovrebbe far riflettere su come, troppo spesso, il politically correct, cioè in questo caso una dieta teoricamente perfetta, risulti sbagliata perché non tiene conto del fruitore. Mi è capitato anche di essere moroso con i bollettini della mensa. Non era previsto il pagamento online e spesso il bollettino che avrei dovuto fare alle poste o da un tabaccaio restava in tasca. Ammetto la colpa.
Bella l’infanzia, non solo per chi ha avuto una bella infanzia, ma anche per quelli che ne hanno avuto una nient’affatto bella. Una volta nel giorno dei morti, a dispetto di novembre, molto presto al mattino i bambini scatenavano per le strade un’euforia incontenibile e contagiosa, che ancora oggi, al solo ricordo, mi assale gradevolmente.