Oggi pubblichiamo la seconda parte del Diario linosano di Tano Siracusa. La prima parte era stata pubblicata una settimana fa, lunedì 16 aprile. Nel Diario linosano 1 potete leggere l'introduzione a questo documentario realizzato a Linosa e che verrà poi pubblicato anche su Q CODE MAG.
In questo documentario di Tano Siracusa, conosciamo alcuni dei 400 abitanti/personaggi della minore delle Isole Pelagie: Linosa. Le riprese sono del dicembre 2013 e dell’aprile 2017. Saranno pubblicati in tutto otto video, sul blog suddovest.it e su Q CODE MAG.
Può il condizionamento ambientale, la disponibilità o meno di uno spazio adeguato per lavorare, marcare il profilo di un’intera produzione artistica?
Mentre lavora con i pastelli ad olio al Faust di Goethe, Giuseppe Agozzino racconta che da ragazzo non aveva spazio per dipingere e che perciò disegnava, per lo più su piccoli formati. Si alzava anche di notte e disegnava. Inventava e copiava. Rifaceva Toulouse_Lautrec ad esempio, che con Grosz, Picasso, Goya, tutti abilissimi nel disegno, sono fra i suoi autori di riferimento.
Il tema è la monnezza per strada, questo problematico inizio di raccolta differenziata dei rifiuti, e certi discorsi fatti con Francesco R..
Da qualche tempo Francesco chiede agli amici che ritiene abbiano letto il Principe di Machiavelli di tradurre in siciliano la parola ‘virtù’. Nove su dieci rispondono ‘spirtizza’.
In realtà si tratta di una traduzione che non esprime adeguatamente il concetto del segretario fiorentino: per quanto ‘lione e volpe’ nella scelta dei mezzi, il Principe ha infatti come fine l’interesse generale, la conquista e la conservazione dello Stato.
La ‘spirtizza’ invece utilizza la spregiudicatezza dei mezzi per finalità individuali o comunque particolari, riconducibili ad una cerchia di relazioni personali, familiari o di amici.
Una volta c’erano i comizi, anche in provincia. Berlinguer, Almirante, e migliaia di persone in piazza Stazione.
I due leader si rispettavano, ma lo scontro era durissimo: in Italia neofascisti, brigatisti, corpi deviati dello Stato, mafia assediavano la prima Repubblica. Erano forze radicate nella storia del paese, ma esterne al suo orizzonte.
Chi ama la pittura frequenta con curiosità gli studi dei pittori. E’ in quegli spazi spesso angusti, costipati di opere, che prende forma il percorso di un artista, prima e dopo le cristallizzazioni segnate dalle mostre più importanti e dai cataloghi, nelle particolarità delle procedure creative sempre diverse, nei percorsi interrotti e ripresi, nelle svolte e nei ripensamenti, nel ritorno delle ossessioni visive e negli scambi con altri artisti, negli schizzi, negli appunti. E’ come entrare nel laboratorio di uno scrittore prima che le tecnologie digitali facessero sparire le stratificazioni nella riscrittura di un testo.
Ma gli studi degli artisti sono anche luoghi di incontro e confronto, dove a volte nascono progetti comuni, collaborazioni, si formano gruppi.
Ho incontrato tre volte Biagio Conte. La prima volta nove anni fa, in occasione della Giornata delle creature organizzata da Daniele Moretto, su una barca ormeggiata alla Cala di Palermo. Aveva le stampelle e un sorriso luminoso come gli occhi chiari, cerulei.
Le finestre sono oggetti familiari e complicati. Incorniciano separandoli il dentro dal fuori, ma li collegano se vengono attraversate dallo sguardo. E i loro vetri riflettono a volte, sovrapponendoli, interno ed esterno scambiandoli in modo illusionistico.
Certe predilezioni sono tracce - imprecise, sfuggenti - dell’intricato percorso visivo che si compie nel tempo e nello spazio, in quel viaggio senza una direzione e uno scopo precisi cominciato con il primo ricordo.
In questi luoghi sembra esserci una circolarità apparente, un tornare da dove si è partiti. Apparente perché quel tornare è un andare avanti, è il presente che finalmente ha davanti di nuovo un orizzonte, un futuro.
Infatti poco più che ventenni Peppe e Valeria hanno avuto il primo figlio e deciso di restare in Sicilia, vivere in campagna con le capre girgentane per produrre un formaggio prelibato. Valeria si sta laureando in antropologia e per restare ha rinunciato all’erasmus.
La grande giostra di Amsterdam ruota dentro una pioggia quasi invisibile, impalpabile, come una specie di cipria liquida.
Gli abitanti della città sono abituati, a piedi o in bicicletta solo pochi si muovono con i parapioggia aperti. Quando per qualche ora il sortilegio della quasi pioggia svanisce, il sole accende sulla città bagnata bagliori iridescenti, che mostrano il cromatismo vibrante sulle facciate delle case un po’ sbilenche e dei sontuosi palazzi, moltiplicato dalle superfici riflettenti. Il vetro con le sue trasparenze è il materiale prediletto nei luoghi bui, il vetro orlato da quelle cornici architettoniche che sono le finestre.
Amsterdam è la città delle finestre, delle loro geometrie regolari che viste da fuori sembrano ispirare Mondrian o esserne ispirate, mentre negli interni giocano con gli specchi rimbalzando la luce e moltiplicandola in miraggi domestici, come nei dipinti di Vermeer o di de Hooch.