FINESTRE di Tano Siracusa
Le finestre sono oggetti familiari e complicati. Incorniciano separandoli il dentro dal fuori, ma li collegano se vengono attraversate dallo sguardo. E i loro vetri riflettono a volte, sovrapponendoli, interno ed esterno scambiandoli in modo illusionistico.
Certe predilezioni sono tracce - imprecise, sfuggenti - dell’intricato percorso visivo che si compie nel tempo e nello spazio, in quel viaggio senza una direzione e uno scopo precisi cominciato con il primo ricordo.
Le finestre, i riflessi. Predilezioni visive come altre, che fanno pensare alla presenza di una mappa nascosta lungo quel viaggio che ciascuno crede di viaggiare da solo, mentre attorno ad alcune visioni o immagini si coagulano le soste e i ritorni di altri viaggiatori. Come se ci fosse un senso condiviso in quel tornare e sostare, in quella specie di riposo o di rovello.
Mia madre si incantava a guardare i riflessi sul mare, quando il sole basso a ponente ne accendeva la superficie. Molti anni più tardi avrei rivisto con gli occhi di Monet quella luce e quei riflessi che ipnotizzavano mia madre sulle tele dipinte dal pittore francese ad Argenteuil.
Non vediamo tutti le stesse cose, come non abitiamo lo stesso tempo e lo stesso spazio. Eppure esistono delle ‘predilezioni’ comuni, delle soste visive privilegiate, che avvicinano alcuni viaggiatori, che li rendono misteriosamente simili.
Ricordo l’entusiasmo quando ho scoperto l’opera fotografica di Saul Leiter. Riconoscevo perfettamente quei tagli delle inquadrature, quei riflessi sulle vetrine, quelle luci lampeggianti. O lo stupore davanti a molti dipinti di Hopper. O ad alcuni interni di Sokurov. Come se l’attrazione verso certe immagini fosse il segno di una prossimità ulteriore, profonda, ‘familiare’ fra sguardi lontani, che non si sono mai incrociati.
Le finestre sono come le cornici, mi ha spiegato una volta Maurizio Iacono. E mi sembra di capire che come le ombre e i riflessi, le cornici sono figure della duplicazione. E perciò anche dello scambio o dell’attraversamento. Ventana in spagnolo, faceva notare Maurizio, significa finestra, e viene associata al vento, che passa, attraversa.
La finestra come luogo elettivo del dubbio, della revoca delle certezze sulla univocità e saldezza di ciò che semplicemente appare e chiamiamo realtà.
Ma forse c’è dell’altro, che a me sfugge, e che approssima fra loro i viaggiatori attratti, nell’infinito flusso delle immagini, proprio da questi trasparenti sipari della doppiezza e dalle loro ingenue magie. Qualcosa che esiste negli strati profondi dell’anima o dei suoi correlati biologici.