I pieni, i volumi delle case sbrecciate, diroccate dal semplice trascorrere del tempo e dell’abbandono, e accanto i vuoti dei crolli. La luce e le ombre, le pietre e la vegetazione spontanea. Qualche gatto, il silenzio delle cose. A poche centinaia di metri dal Municipio della città, Santa Croce si offre così al viaggiatore, cioè a chiunque la visiti.
I primi nordafricani sono apparsi ad Agrigento negli anni ’80 e un po’ per tutti erano i ‘vu cumprà’. L’espressione, coniata in una trasmissione di Renzo Arbore, circolava in un paese appena uscito dall’incubo del terrorismo brigatista e che relegava la mattanza mafiosa in Sicilia nel repertorio delle eccentricità criminali dei suoi abitanti.
Negli ultimi cento metri prima dell’imbocco della galleria i bordi della carreggiata sono una discarica di sacchetti della spazzatura, indesiderata conseguenza dell’avvio della raccolta differenziata avviata dal Comune. Poi, uscendo dalla galleria si può osservare sulla destra il gigantesco cavalcavia che interrompe il suo slancio a cinquanta metri dalla collina, bucata da un misterioso tunnel. Involontario, visionario monumento alllo spreco.
Da molti anni non si vedeva il centro storico così pieno di turisti e così vuoto di occasioni di incontro, di iniziative artistiche e culturali. Non ci sono soldi dicono al Comune, e l’Ente Parco ha scelto per l’intrattenimento culturale estivo altri scenari, certamente magnifici, lasciando però la città, il suo centro storico, vuoti e silenziosi. Eppure le sue piazze, gli slarghi, perfino le scalinate in altri anni hanno ospitato manifestazioni musicali, teatrali, eventi espositivi. Non sempre con l’intervento di enti pubblici.
Quattro estati fa c’è stata l’ esperienza Vallicaldi, che a ripensarci oggi sembra avvenuta in un’ altra città. Rimangono le tracce di quell’estate, il grande murales di Mister Thoms, alcuni dei murales dipinti da Scifo e Gianfranz, l’installazione di Gaetano Vella, qualcosa degli interventi di Nonsostare, che avevano trasformato un cumulo di macerie in un palcoscenico e accanto un po’ di verde, un’idea di giardino.
Anni fa vennero apparecchiati degli altoparlanti lungo il percorso della processione. E mentre fra le urla dei portatori e dei fedeli rullavano i tamburi o incalzava la banda con Zingarello, si alzavano al cielo mesti canti di chiesa. A volte il rosario. Era un vero e proprio sabotaggio da parte delle autorità ecclesiastiche della sonorità della processione, tellurica e festosa. Poi gli altoparlanti sono spariti, ma quei tonfi, quelle bolle di silenzio ogni tanto attraversano la processione del Santo Nero senza che nessun altoparlante intervenga, e possono evocare altri suoni dai canti chiesa, musiche lente, sinuose, come quella di Arvo Pärt che si ascolta nel video.
Qualche anno fa Rudere, un gruppo di architetti e artisti, ha realizzato due interventi di rivisitazione su due edifici nel nostro centro storico. Una abitazione privata e un cinema, entrambi chiusi e abbandonati da anni.
La buona notizia è che sull’isola tre donne sono incinte. Non succedeva da anni. All’anagrafe di Linosa risultano residenti più di 400 persone, in realtà di inverno sull’isola ne abitano meno di 300.
Pochi bambini, molti anziani, ma per loro Linosa è un paradiso dice Pietro un cinquantenne, proprietario di uno dei tre bar che ad orari incerti aprono anche d’inverno.
I giovani sono partiti, sono andati a lavorare e mettere su famiglia nelle città del nord o fuori dall’Italia. Operai, diplomati, laureati. I nonni sull’isola, i figli e i nipoti sulla terraferma, lontano.
Giovani infatti se ne vedono davvero pochi.
Uno dei trentenni rimasto sull’isola, Enzo, fa il pescatore. Ieri ha preso una cernia di 13 chili e molto altro pesce pregiato, ma le due notti precedenti non aveva pescato niente.
D’altra parte, dice il proprietario del bar, questa non è mai stata un’isola di pescatori, ma di contadini.
L’universo tende spontaneamente verso il disordine, ed è il tempo che con la sua mano invisibile fa sparire tutte le cose dai luoghi destinati dalla necessaria e vana ostinazione degli uomini. Cercare di contrastare l’inerzia di questo processo infatti è in parte una necessità, in parte una follia.
Le parole hanno da sempre commentato le immagini, che tuttavia da sempre si sottraggono alle parole. Da circa cento anni, da quando qualcuno espose un orinatoio e venne preso sul serio, innumerevoli parole di teorici, filosofi, critici, hanno sostenuto le fortune di artisti senza talento, di pittori che non sapevano dipingere nè tanto meno disegnare, di autori di 'trovate', di 'provocazioni', come se nel secolo delle due guerre mondiali, dei totalitarismi, della 'morte di Dio' in Occidente, un artista potesse ancora provocare, magari sbudellando un animale in una galleria d'arte o esponendo le sue feci (poco importa se dell'animale o sue).
Venerdì scorso ha avuto inizio il laboratorio musicale di Sandro Sciarratta presso il centro Vita Nuova 3000, che accoglie decine di minori in fuga dal continente africano e dal Bangladesh.
L'idea è maturata durante l'intervento ad Agrigento di Medex, il Museo effimero dell'esilio di Bruxelles, fra gennaio e febbraio. I minori ospiti del centro avevano manifestato molto interesse per la musica, soprattutto per le percussioni e i ritmi. Durante le pause del laboratorio di Medex, conclusosi con una mostra e una intensa serata nel magnifico spazio di una chiesa barocca, alcuni ragazzi africani del centro utilizzando tubi di plastica, secchi, aste, materiali sparsi in un piccolo cantiere edile, avevano improvvisato assieme a Daniele Manno una specie di concerto: percussioni, voci e tromba, quella di Daniele. Era finita con una danza allargata, su quei ritmi che si ascoltano un po' ovunque nel Mediterraneo e che hanno risalito nei secoli il continente africano e hanno poi viaggiato nelle navi degli schiavi alla volta delle Americhe.