LE REGOLE DI AMSTERDAM di Tano Siracusa
La grande giostra di Amsterdam ruota dentro una pioggia quasi invisibile, impalpabile, come una specie di cipria liquida.
Gli abitanti della città sono abituati, a piedi o in bicicletta solo pochi si muovono con i parapioggia aperti. Quando per qualche ora il sortilegio della quasi pioggia svanisce, il sole accende sulla città bagnata bagliori iridescenti, che mostrano il cromatismo vibrante sulle facciate delle case un po’ sbilenche e dei sontuosi palazzi, moltiplicato dalle superfici riflettenti. Il vetro con le sue trasparenze è il materiale prediletto nei luoghi bui, il vetro orlato da quelle cornici architettoniche che sono le finestre.
Amsterdam è la città delle finestre, delle loro geometrie regolari che viste da fuori sembrano ispirare Mondrian o esserne ispirate, mentre negli interni giocano con gli specchi rimbalzando la luce e moltiplicandola in miraggi domestici, come nei dipinti di Vermeer o di de Hooch.
La città di Rembrandt, dei grandi ritrattisti e paesaggisti fiamminghi, la Amsterdam che si può osservare nei grandi musei, restituisce le rare accensioni della luce nei cieli alti, nelle gonfie, barocche formazioni delle nuvole attraversate da raggi lampeggianti. La luce aperta, uniforme, i cieli azzurri della pittura italiana appartengono a un’altra geografia e a un’altra storia.
Quella olandese, che ha sperimentato la rottura del protestantesimo e la prima formazione di una repubblica non cittadina europea, manifesta fin dalle origini medievali un gusto per l’osservazione della quotidianità che aggira i due grandi scenari della cultura iconografica mediterranea, quello sacro e quello classico, sviluppando un’attenzione realistica e caleidoscopica per la contemporaneità, a volte iperrealista o espressionista, che non arretra dinanzi allo spettacolo del degrado e dell’orrore, come in un film pulp.
Nei musei è possibile allora osservare come in un variegato reportage fotografico la Amsterdam degli ultimi secoli, i suoi diversi ambienti e tipi sociali, gentiluomini borghesi, mercanti, artigiani, prostitute, palazzi e taverne, il paesaggio urbano nei campi lunghi o nelle riprese ravvicinate, gli interni sontuosi o miserabili.
Fuori, uscendo dall’Ermitage o dal Museum Riljks, la giostra della città torna a a far ruotare assieme al passato, il presente e il futuro.
Nel centro storico, scivolando sulla laguna, inquadrati dal basso, i prospetti dei palazzi, le quinte geometriche delle abitazioni, i ponti, si mostrano a tratti come dovevano apparire ancora un secolo fa. Ma lo scenario cambia se si sale su quei ponti da dove la città si spalanca come moderna metropoli, sopprimendo la tradizionale frontalità della fruizione estetica sperimentata nei musei o inquadrata dalle finestre del traghetto.
La città infatti non si mette in cornice perché chi la osserva vi si trova dentro e lo spazio reale è quello di una fantasmagorica rappresentazione di cui si fa parte, che sovrappone e incastra le une nelle altre le quinte del siglo de oro e quelle di una contemporaneità ottimistica, che coniuga funzionalità tecnologica e spettacolarità postmoderna. Al Dio cristiano e ai suoi templi austeri si sono sostituiti i santuari del capitalismo finanziario, del grande consumo massificato, della città spettacolo.
I secoli si attraversano quando si entra in un imponente, teatrale palazzo ottocentesco e ci si ritrova in un enorme guscio svuotato e rifunzionalizzato architettonicamente per la shopping di lusso.
Della grande giostra di Amsterdam il centro storico è il cerchio più stretto e vorticoso, quello dove più freneticamente circola la folla dei consumatori e il fiume di euro su cui galleggia. Un grande, gigantesco mercato, un paese dei balocchi per una umanità disincantata e tollerante, che ha però le sue regole. Altre regole.
Nei coffee shopping, dove si sta immersi in una nuvola di fumo speziato che mescola svariate ed esotiche specie di marijuana, l’uso del tabacco è vietato e l’acquisto in città di un pacchetto di sigarette è più problematico dell’acquisto di 5 grammi di zero zero. Altre regole. Sui marciapiedi i pedoni devono stare più attenti ad attraversare le corsie dei ciclisti che quelle riservate alle auto, secondario mezzo di trasporto in una città dove esistono dieci stazioni ferroviarie e vengono rubate 60 mila biciclette l’anno. Regole anche non scritte. In qualche vagone ferroviario una signora olandese, sia pure isterica, può rimproverare dei turisti spagnoli perché usano il cellulare e chiacchierano. Non si fa.
Nella città della tolleranza le regole ci sono, e sono quasi tutte riconducibili a quelle del mercato, della grande vendita del tempo libero che assorbe nei ristoranti, nelle banche, negli studi di design, trentenni magrebini, asiatici, italiani, spagnoli, turchi. Le regole ci sono e vengono rispettate perché conviene a tutti.
Nel grande mercato di Amsterdam è stato risucchiato anche Van Gogh, il cui magnifico museo accoglie migliaia di visitatori ovviamente incantati anche davanti ai tentativi meno riusciti.
Il pittore olandese, che vendette in vita sua un solo quadro pochi mesi prima di morire e la cui opera sarebbe rimasta pressoché sconosciuta senza l’ostinazione della cognata, è una delle immagini-simbolo nel supermarket dello spettacolo cittadino.
Tutto sembra in vendita ad Amsterdam e messo in vetrina, Van Gogh, le ragazze, le droghe, gli interni dei palazzi storici, tutto originale e tutto mistificato, trasformato in mezzo per far circolare il danaro, in merce. Il rispetto delle leggi, non la loro manomissione, favorisce gli affari.
A parte i furti di biciclette la sicurezza non sembra un problema sia per i cittadini che per le autorità. Pochissime le divise in una città multirazziale senza apparenti conflitti, dove le periferie, più ancora del centro, offrono lo scenario urbanistico e architettonico di una contemporaneità ecologica, tutta vetro, acciaio, metro, treni, piste ciclabili, ascensori e scale mobili, che fronteggia il minaccioso pennacchio di fumo nero di una lontana ciminiera.
Qui il giro della giostra ha un tempo rallentato e la pioggia bagna di più.