LINOSA, L'ISOLA DEI GATTI di Tano Siracusa

La buona notizia è che sull’isola tre donne sono incinte. Non succedeva da anni. All’anagrafe di Linosa risultano residenti più di 400 persone, in realtà di inverno sull’isola ne abitano meno di 300.
Pochi bambini, molti anziani, ma per loro Linosa è un paradiso dice Pietro un cinquantenne, proprietario di uno dei tre bar che ad orari incerti aprono anche d’inverno.
I giovani sono partiti, sono andati a lavorare e mettere su famiglia nelle città del nord o fuori dall’Italia. Operai, diplomati, laureati. I nonni sull’isola, i figli e i nipoti sulla terraferma, lontano.
Giovani infatti se ne vedono davvero pochi.
Uno dei trentenni rimasto sull’isola, Enzo, fa il pescatore. Ieri ha preso una cernia di 13 chili e molto altro pesce pregiato, ma le due notti precedenti non aveva pescato niente.
D’altra parte, dice il proprietario del bar, questa non è mai stata un’isola di pescatori, ma di contadini.

In questo fine aprile anomalo, con il cielo basso e la terra bagnata da una pioggia scrosciante, la campagna accende i colori, i verdi, i rossi, i gialli, i viola, l’arancio;  colori che si ripetono negli intonaci delle case, nelle vernici delle imposte, quasi tutte. La tipologia tradizionale della casa linosana non è più un obbligo, sia nella scelta dei materiali che nelle scelte cromatiche.
La terra fertile, di origine vulcanica, sprigiona i profumi di erbe e fiori, radici, alghe marce, e sembra gonfiare le piante grasse, carnose, che si avvitano sui pali della luce, che si schiacciano sugli scogli  fino ad aderirvi come una morbida escrescenza. 
Nell’interno dell’isola, nelle sue valli, l’immobile tumulto di fichi d’india è una sarabanda di braccia e palme alzate, di sagome  antropomorfe e mostruose. Qui d’estate le berte marine emettono un prolungato lamento, che sembra quello di un bambino.
L’isola per un secolo è stata soprattutto questo, la campagna da lavorare, e un po’ di pesca.  Prima c’era anche molto bestiame, fino a quando hanno chiuso il macello. Allora i linosani hanno scoperto il  mare come una  risorsa turistica.
Gli anni ’80 sono stati una festa, racconta Fedele che ha lasciato Linosa per aprire una trattoria ad Agrigento. L’isola d’estate era invasa da ragazzi, di sera si sentivano suonare le loro chitarre e le nostre fisarmoniche.
Si respirava un’aria di libertà, giravano soldi e niente droghe, solo un po’ d’erba e alcol, quello sempre e anche troppo.
L’isola era tranquilla, mai una rissa, molti venivano per fare le immersioni, era un turismo di giovani, di amanti del mare e della natura, e ci si divertiva. Avevano aperto una discoteca, costruito un villaggio turistico con le abitazioni nel tradizionale stile linosano. Nei primi anni ’80 in paese i turisti dormivano in quattro in una stanza. Veniva anche qualche artista, un musicista famoso.
Per un decennio c’è stata questa crescita, è stato il periodo in cui si sono costruite molte nuove abitazioni, soprattutto in campagna, sempre più richieste dai turisti.
Poi tutto è finito in un breve volgere di anni. Il villaggio e la discoteca hanno chiuso, le presenze turistiche hanno cominciato a diradarsi. 
Per Fedele e per quelli della sua generazione quegli anni si sono trasformati in una specie di leggenda.
Di sicuro Linosa è cara. E’ cara raggiungerla. Lampedusa per chi viene dal continente è molto più economica.
Da un anno al cimitero delle ambizioni turistiche dell’isola si aggiunge il grande corpo del Linoikos, una struttura di proprietà della diocesi di Agrigento che, gestita da una cooperativa, era stata trasformata in un magnifico residence, elegante e sobrio, silenzioso, che ospitava ogni anno la mostra di un artista: una alternativa residenzale comoda alla vacanza sempre un po’ arruffata nelle case dei linosani. Una vertenza fra la cooperativa e la proprietà si è conclusa con la chiusura del Linoikos, oggi in vendita ad una cifra astronomica. In attesa, dice qualche linosano, che un cinese passi da queste parti.
Ma i cinesi qui non arrivano. Qui arriva sempre meno gente.
Ogni estate, ma solo per 20 giorni ad Agosto, l’isola torna a riempirsi. E’ poco, troppo poco per poterci campare un anno, dicono tutti. Perché il resto del reddito viene dalle pensioni, il poco che gira attorno a un paio di cantieri edili, le assunzioni della Forestale.
C’è stato un po’ di abusivismo, dice Pietro il proprietario del bar. Un poco, necessario, aggiunge riflessivo, per poter affittare ai turisti  d’estate. 
Anche se  ormai molte case sono vuote, in vendita e nessuno le compra.
A 50 anni sa che la sua potrebbe essere l’ultima generazione che abiterà l’isola. E così prima di venire ad aprire il bar dove non entrerà forse nessuno per il resto della mattinata, è andato in campagna perché quest’anno ha coltivato le lenticchie. Come altri linosani.
Durante gli anni del sogno turistico a coltivare capperi e lenticchie erano rimasti in pochi. Adesso, dice Pietro, sembra esserci un ritorno all’agricoltura, alla coltivazione delle lenticchie, alle origini.
Michele, ad esempio, ha portato sull’isola un paio di vacche e produce ricotta e formaggio che vendono nel panificio.
Tornare all’agricoltura per cercare di trattenere sull’isola gli adolescenti, i bambini di oggi. Anacronismi? Alle pareti del bar ci sono molte fotografie, in una, chissà perché, c’è Ugo Tognazzi in bianco e nero.
Qui, dice Pietro d’inverno è dura. Fa freddo, le case non sono attrezzate, l’umidità attraversa le mura ed entra nelle ossa. Alle 5 di pomeriggio è buio e per strada non vedi anima viva.
Ma non si vede anima viva neppure in questa luminosa mattina di aprile.
Unni semu cca, cu semu? chi ci facemu? esclamava Enzo il pescatore indicando la strada dove si affaccia il municipio, naturalmente vuota alle otto di sera.
Si vedono in giro invece tanti gatti che ti guardano curiosi, come di solito gli indigeni guardano il forestiero.