NELL'ATELIER DI MARILINA MARCHICA di Tano Siracusa

Le parole hanno da sempre commentato le immagini, che tuttavia da sempre si sottraggono alle parole. Da circa cento anni, da quando qualcuno espose un orinatoio e venne preso sul serio, innumerevoli parole di teorici, filosofi, critici, hanno sostenuto le fortune di artisti senza talento, di pittori che non sapevano dipingere nè tanto meno disegnare, di autori  di 'trovate', di 'provocazioni', come se nel secolo delle due guerre mondiali, dei totalitarismi, della 'morte di Dio' in  Occidente, un artista potesse ancora provocare, magari sbudellando un animale in una galleria d'arte o esponendo le sue feci (poco importa se dell'animale o sue).

E tuttavia nel caos apparente della cosiddetta arte contemporanea, governato da mediocri affabulatori e mercanti che tengono in pugno gli autori, continuano ad esserci artisti che si mettono davanti un cavalletto, una tela o un'altra qualunque superficie, e dopo Piero della Francesca, dopo Velasquez, Goya, Monet, Mondrian e Burri, si pongono davanti una cornice ideale, una soglia, oltre la quale costruiscono un piccolo universo parallelo, che attrae e spaesa.
I loro studi, i loro atelier sono lo spazio fisico in cui quell'universo viene esplorato nello stesso momento in cui viene costruito, dove i codici vengono assunti e trasformati, continuamente riidefiniti.
Nel nostro territorio operano, come ovunque, numerosi artisti. Vogliamo far vedere alcuni dei loro atelier, varcare per pochi minuti quelle soglie. Senza parole, accompagnati soltanto  dalla musica.
Dopo l'atelier di Giovanni Proietto, quello di Marilina Marchica.