Carissimo Tano, oggi, poco prima di pranzo, ho letto il tuo bell’articolo sui migranti, fedele, realistica descrizione di una realtà per nulla incandescente, a meno che tale aggettivo, copiosamente adoperato in questi giorni da alcuni prestigiosi commentatori della querelle, senza che io lo sappia sia divenuto, intanto, sinonimo di mortificante.
Negli ultimi cento metri prima dell’imbocco della galleria i bordi della carreggiata sono una discarica di sacchetti della spazzatura, indesiderata conseguenza dell’avvio della raccolta differenziata avviata dal Comune. Poi, uscendo dalla galleria si può osservare sulla destra il gigantesco cavalcavia che interrompe il suo slancio a cinquanta metri dalla collina, bucata da un misterioso tunnel. Involontario, visionario monumento alllo spreco.
DALLA CRISI DELLA SICILIA SI ESCE COL CIVISMO POLITICO
L'appello di Leoluca Orlando per salvare la Sicilia attraverso il civismo politico è l'unica via possibile di rilancio della regione. Il ceto politico e i partiti sono screditati e subiti.
Da molti anni non si vedeva il centro storico così pieno di turisti e così vuoto di occasioni di incontro, di iniziative artistiche e culturali. Non ci sono soldi dicono al Comune, e l’Ente Parco ha scelto per l’intrattenimento culturale estivo altri scenari, certamente magnifici, lasciando però la città, il suo centro storico, vuoti e silenziosi. Eppure le sue piazze, gli slarghi, perfino le scalinate in altri anni hanno ospitato manifestazioni musicali, teatrali, eventi espositivi. Non sempre con l’intervento di enti pubblici.
Quattro estati fa c’è stata l’ esperienza Vallicaldi, che a ripensarci oggi sembra avvenuta in un’ altra città. Rimangono le tracce di quell’estate, il grande murales di Mister Thoms, alcuni dei murales dipinti da Scifo e Gianfranz, l’installazione di Gaetano Vella, qualcosa degli interventi di Nonsostare, che avevano trasformato un cumulo di macerie in un palcoscenico e accanto un po’ di verde, un’idea di giardino.
Parliamoci chiaro: alle scuole medie proferii un bel “no” perentorio a Madame Musique. Le dissi esplicitamente che non mi avrebbe più rivisto e che quello, il concerto di fine anno scolastico, sarebbe stato il primo e l'ultimo della mia vita.
Lo dissi con voce forte e chiara subito dopo essere usciti di scena dinnanzi a numerosi testimoni, i miei compagni di sventura, tutti suonatori di flauto dolce.
Caro Giovanni, quanto tempo! Ho letto il tuo post sul "colpo d'ala" ad Agrigento e lo stimolo verso i giovani. Ho appena compiuto 40 anni e quindi ormai non sono più giovane ma ho deciso di cogliere lo spunto, in coda capirai perché.
E poi, sembra un caso, sostituisci qualcuno e ti trovi seduta in teatro. Non ti va di seguire, ma non riesci a far altro, perché qualcuno racconta la sua storia. Che è la storia anche tua. E allora ti sposti e ti siedi davanti, da sola. La ascolti. La città era la stessa. Le persone, le stesse. I ruoli cambiavano, ma la trama era una. Ognuno aveva scelto da che parte stare. Qualcuno aveva l'idea più chiara di altri, qualcuno era avanti, qualcuno seguiva, qualcuno nasceva, qualcuno non capiva, qualcuno fingeva, qualcuno negava. Ma si viveva accanto, negli stessi luoghi. Molti non ci sono più. Lui oggi ne parla, li ricordo tutti, mi sale il nodo alla gola. La sua memoria si stupisce ancora mentre racconta di un uomo grande e solo. E di quelli che gli erano accanto. Come lui. In quella città bella, difficile e irredimibile. Non vado più lì, non ho voglia di stringere mani che conosco sporche. Vado in Canada per ricordare. E poi ho scritto un libro.
Già, a me viene in mente che ho vissuto troppo duramente in quegli anni. Giovane, in una città solare infestata dal piombo, dal sangue e dalla menzogna. Nessuno ci restituirà l'innocenza. Nessuno ci restituirà quei miti, diversi dagli altri. Nessuno mi risarcirà per le cose che ho dovuto ascoltare nelle aule più alte, dove si doveva insegnare la legge. Troppo era in mano a loro. Troppo era confuso. E questo mi fa rabbia, ancora, adesso. Che sono passati più che 20 anni.
Alla fine ci sono gli interventi dei ragazzi, contenuti nei "pizzini"...il Generale è un uomo con grande senso dello humor, e sa che è più facile così.
Che i fatti, non controvertibili, siano una illusione del senso comune, che la verità, almeno relativamente alle vicende umane, sia una chimera, è stato sospettato fin dalle origini della civiltà occidentale.
Ben prima della attuale discussione sulla post-verità e sulla scomparsa dei fatti, ancora alla metà dell'ottocento, quando il mimetismo nella rappresentazione visiva della realtà era affidata alle mani degli artisti e alle prime apparecchiature dei fotografi, la tesi che esistessero non i fatti ma le loro interpretazioni accompagnava la parabola delle certezze positivistiche fino al loro declino.
Agli inizi del nuovo secolo Pirandello, che curiosamente mai si è occupato di fotografia ma molto di cinema, avrebbe popolarizzato per il pubblico borghese dei teatri e dei romanzi una versione estrema del relativismo conoscitivo e della conseguente problematicità di ogni forma di comunicazione. La prima rappresentazione di 'Così è, se vi pare' è del '17, mentre infuria la grande guerra: niente 'fatti' e nessuna verità oggettiva per il drammaturgo siciliano, solo certezze soggettive, maschere, finzioni, teatro, e il rovello retorico per gli ingenui nel tentativo di presuadere l'altro.
Pur possedendo fin da subito una prospettiva privilegiata, il contributo dei fotografi alla riflessione sui 'fatti' e sulla loro evanescenza ha voluto rimuovere alcune evidenze ribadite dalla loro esperienza.
La fotografia sembra rinviare, come una copia, come un riflesso, ad un originale che è poi la sua origine, e con una fedeltà che era apparsa sorprendente nel 1840, quando la somiglianza della copia all'originale veniva affidata al talento di Ingres e dei suoi seguaci.