Il barone di Munchhausen si tirò fuori dalla pozza afferrandosi per i capelli. È tutto qui. Le amministrazioni locali sono a zero. La politica è solo tagli di spesa. Ad Agrigento i condizionatori rotti delle scuole primarie vengono sostituiti con condizionatori nuovi comprati col denaro personale dell’assessore. In certe scuole la mano di vernice la passano i genitori. Di che stiamo parlando?
Se sei bravo ti industri per intercettare finanziamenti e investimenti e con quelli provi a soddisfare la domanda di beni e servizi che ogni amministrazione comunale deve assicurare. E provi pure a creare un meccanismo virtuoso che attragga visitatori e occasioni di spesa.
Una delle chiavi di volta in mano alle amministrazioni è la narrazione. Raccontare i luoghi come attraenti, affascinati, degni di visita, degni di spesa, degni, perché no, di investimenti.
È questa la logica che muove la candidatura di Agrigento a capitale della cultura. Se ci si riesce arrivano finanziamenti vitali per la città. È, dice sostanzialmente Tano Siracusa, una millanteria. Forse, anche se, va ricordato, la città è pur sempre arrivata in finale per l’assegnazione del riconoscimento. Quindi qualche risorsa, qualche qualità, qualche cosa di pertinente al bando ce l’ha.
Ma credo non sia questo il punto essenziale. Il punto essenziale è che i luoghi hanno bisogno di essere raccontati in modo diverso non solo perché c’è qualche milione messo a bando, ma anche perché, se una chance c’è di far fermentare quel che di buono c’è, è riconoscerlo e metterlo in primo piano.
Pare che se atteggiamo il volto al sorriso, anche se non siamo allegri, le cose cambiano. Dimostrato sperimentalmente: se solleciti i muscoli facciali costringendoli a farti assumere una espressione allegra (una matita afferrata coi denti, è l’espediente), i tuoi giudizi saranno più positivi. Pare assurdo, ma è davvero possibile tirarsi fuori dalle pozze afferrandosi per i capelli. Combatti la depressione se ti sforzi di ridere. Combatti il degrado se racconti la bellezza.
Mi hanno sempre affascinato quei filosofi e scrittori che sospendono le evidenze della nostra esperienza avanzando il dubbio radicale che possa essere un sogno: Cartesio, Calderon de La Barca, Borges, tanti altri. D'altra parte capita a chiunque prima o poi di essere tentato da quel dubbio.
In questi giorni, leggendo un articolo del sindaco Firetto su Suddovest, ho avuto proprio questa perturbante sensazione.
Il sindaco, annunciando la candidatura di Agrigento a capitale della cultura per il 2021, descrive infatti una città che non conosco, atraversata da un nuovo ‘senso di appartenenza e di orgoglio collettivo’ di cui non sapevo nulla.
Adesso, scrive il sindaco, c’è un ‘patto tra cittadini e amministrazione che ha visto le persone protagoniste delle scelte politico-organizzative: un modello partecipativo in cui residenti permanenti e temporanei sono protagonisti dei processi culturali; un laboratorio di idee, in cui la democrazia partecipativa e deliberativa è finalizzata alla costruzione condivisa delle politiche urbane e culturali che caratterizzeranno il futuro della città.’
Leggo alternando speranza e sgomento nel dubbio di essermi così assentato dalla città da poter giurare che non è vero, che il sindaco si sbaglia, che l’ultimo laboratorio di partecipazione e creatività, di protagonismo culturale collettivo è stato alcuni anni fa a Vallicaldi, dove erano state accese delle luci e dove il buio e l’abbandono sono tornati.
Il tema è la monnezza per strada, questo problematico inizio di raccolta differenziata dei rifiuti, e certi discorsi fatti con Francesco R..
Da qualche tempo Francesco chiede agli amici che ritiene abbiano letto il Principe di Machiavelli di tradurre in siciliano la parola ‘virtù’. Nove su dieci rispondono ‘spirtizza’.
In realtà si tratta di una traduzione che non esprime adeguatamente il concetto del segretario fiorentino: per quanto ‘lione e volpe’ nella scelta dei mezzi, il Principe ha infatti come fine l’interesse generale, la conquista e la conservazione dello Stato.
La ‘spirtizza’ invece utilizza la spregiudicatezza dei mezzi per finalità individuali o comunque particolari, riconducibili ad una cerchia di relazioni personali, familiari o di amici.
Agrigento 2020 è una realtà in continuo fermento. Chiusa la parentesi della candidatura a Capitale Italiana della Cultura - parentesi necessaria, che ha prodotto una forte spinta emozionale e una più ampia partecipazione al processo già in atto - il programma prosegue con energia. Il senso di appartenenza e di orgoglio collettivo che ha scatenato è solo un esempio evidente di ciò che la competizione è riuscita a generare. Abbiamo voluto attribuire un un peso specifico al programma di celebrazioni che stiamo portando avanti ormai con convinzione da circa tre anni e ci siamo riusciti: al di là della cronaca della nostra delusione per il titolo soffiato dalla città di Parma, quel che ci rende merito è l'ammissione di un testa a testa, peraltro anche dichiarato dalla Commissione del Mibact e, poi, sostenuto dal sindaco Pizzarotti, fiero di essere riuscito a battere una città quale Agrigento.
Una volta c’erano i comizi, anche in provincia. Berlinguer, Almirante, e migliaia di persone in piazza Stazione.
I due leader si rispettavano, ma lo scontro era durissimo: in Italia neofascisti, brigatisti, corpi deviati dello Stato, mafia assediavano la prima Repubblica. Erano forze radicate nella storia del paese, ma esterne al suo orizzonte.
In un articolo su Micromega on line (https://goo.gl/nNv6ju) Paolo Flores d’Arcais svolge alcune considerazioni sulle elezioni prossime e le rappresenta come la scelta fra il peggio, il più peggio e il peggissimo; il titolo, infatti è “4 marzo: al voto tra peggio, più peggio e peggissimo”.
Agrigento è il sud-ovest dell'Italia, anzi il suddovest, non proprio il paradiso terrestre, ma l'estremo lembo meridionale dell'occidente che riflette, nelle sue potenzialità e nei suoi limiti tale connubio, proponendosi come il luogo laboratorio dove i guasti di una cattiva modernità si sono sommati ad un'immobile arcaicità e dove, al contrario, le potenzialità dell'albero del futuro possono trovare radici feconde. Da quando è stata lanciata la candidatura della città a capitale italiana della cultura 2020, sono pervenuti centinaia di appoggi pubblici di personalità della cultura e dell'arte, del giornalismo e dello spettacolo, delle professioni e della economia.
Da Andrea Camilleri a Roberto Gervaso, da Andrea Bocelli a Pietro Folena, da Pippo Baudo a Michele Guardì, da Andrea Carandini a Simonetta Agnello e Giuseppe Vita: parole d'amore per la città, di stima, e soprattutto di fiducia nella sua capacità di voltare pagina e di guardare ad un futuro diverso.
Un tempo “passione” evocava nei più qualcosa di molto importante. E’ ancora così? Da bambino, quella di Cristo nell’iconografia spagnolesca, dolente e straziata della settimana santa, esauriva ogni altra accezione del termine; e agiva, inquietante e minacciosa, ad incubare un ampio spettro di sensi di colpa e ad instillare un vago senso di pietà cristiana. Poi pian piano sbiadiva, e quando i primi scompigli sentimentali ne avrebbero richiesto l’uso, passione, la parola dico, non sarebbe comparsa. Dopo l’avrei scoperta, assieme a “ideologia”, nel titolo seducente di un saggio di Pasolini e nella letteratura ottocentesca d’oltralpe.
Abdul che vende fazzolettini di carta al semaforo, con ogni tempo, da quando aveva 8 anni, il giorno che ne ha compiuti 16 (oggi ne ha 24, ed è sempre lì) mi ha confessato che non sarebbe più andato a scuola."I libri costano troppo" ha provato a difendersi dal mio sguardo contrariato, istintivamente guardando a sua volta verso il padre, che dall'altra parte della strada fa lo stesso mestiere, ma con meno successo. Lascio sempre scivolare nella sua mano qualche moneta, anche senza contropartita.
Generalmente, il mio mondo si estende sin dove mi è consentito essere assolutamente libero di dire e fare e, ancor più, di non fare quello che mi pare: quindi, non oltre la porta di casa mia. Con qualche breve escursione fuoriporta per ragioni di stretta necessità. Una di queste è la periodica triturazione dei miei più assidui compagni di vita, almeno degli ultimi vent’anni: i calcoli renali. In queste circostanze, ciò che ne esce frantumata è soprattutto la mia pazienza, messa a prova da tutti quegli insulsi impedimenti alle mie libertà che il ricovero ospedaliero sempre comporta.