E’ un sabato mattina di fine 2020 e ripenso a come ho trascorso i sabati degli ultimi 10 anni.
Penso a come le mie abitudini siano state stravolte negli ultimi mesi per vicende tristi, compresa la perdita di amici causa pandemia (il “mostro”), e per fatti più lieti come il cambiamento di lavoro.
Penso anche a come i fatti brutti siano spesso improvvisi mentre quelli belli raramente lo sono perché arrivano dopo periodi di duro impegno e sacrificio.
Vicende e fatti personali si intrecciano a volte con episodi di interesse internazionale come la pandemia, di cui nessuno in verità avrebbe mai voluto interessarsi. Fatti che mostrano che le vicende personali sono sempre, o dovrebbero essere sempre, interesse di tutti perché nessuno può farcela da solo! Sta a noi cogliere il lato buono di quello che ci accade. Una volta tanto sta anche noi, non solo ai politici. Dipende anche da noi!
A parere di Roberto Deidier, autore della bella introduzione a La penombra mentale – Interviste e conversazioni 1965 – 1990, Giorgio Manganelli è “l’artefice di una impalcatura retorica che sorregge la rappresentazione del Nulla”; e la sostanza che la costituisce, “la materia linguistica”, non rimanda che a se stessa: la sua intima natura è autoreferenziale, non connota alcunché, non significa. Allude semmai, fa segni. Rivela, diremmo oggi, un nuovo ordine di senso, ma esso è enigmatico, misterioso. Estraneo ad ogni recinto sistematico, il suo essere è labirintico, le traiettorie che descrive sono tortuose, imprevedibili, come il volo delle rondini. Donde, dice ancora Deidier, lo scrivere oscuro di diversi testi di Manganelli. Oscuro quasi come quell’efesino di molti secoli fa.
Care amiche e cari amici, vi ringrazio per esser venuti alla presentazione delle candidature di Diego Granata e di Sara Gallo nella lista “Rinasce Agrigento” collegata al candidato Sindaco Lillo Firetto. La lista “Rinasce Agrigento” ha il pregio di esser una lista civica e ad un tempo la espressione dell’area liberal democratica e riformista dello schieramento politico nazionale. La lista è particolarmente rappresentata e può ambire a costituire il 15% circa del Consiglio comunale. Io sono qui in una duplice veste: appartengo, idealmente, all’area politica di cui vi ho fatto cenno e ho una paternità spirituale di Diego essendo suo padrino di Battesimo in ragione di una amicizia fraterna con suo padre Luigi, con il quale ho avuto un lungo e fruttuoso sodalizio politico fin dal 1958, anno di importanti elezioni universitarie.
Il Tennis e Fontes Episcopi
Almeno una volta l’anno d’estate torno in Sicilia dove “quando posso” mi piace giocare a Tennis. Pratico questo sport da tanti anni e oggi mi ritengo fortunato a giocarlo ancora perché mi permette di mantenere la linea (almeno ci provo).
Per me il Tennis è più di un divertimento, è socialità, è stare all’aria aperta, è muoversi, è tutto quello che abbiamo dimenticato con la vita moderna e con il lavoro d’ufficio. E’ una speranza di stare il più possibile lontano dai farmaci, è una medicina naturale per il corpo e per la mente.
Se avete pazienza di arrivare fino in fondo (e sopportare i “colori” che ho voluto inserire per mettere in risalto quanto vi dirò alla fine) vi racconto un fatto accaduto a Comitini (Cummatì in dialetto), piccolo paesino di fronte al mio paese natale che è Aragona (Raona).
Comitini non è purtroppo un caso isolato perché la realtà siciliana e, in particolare, agrigentina, è piena di “piccole Comitini” che hanno voglia di riscatto.
C’è nella prima parte di Saggio sul luogo tranquillo di Peter Handke, l’immediata possibilità di riconoscervi i luoghi interiori dell’infanzia e dell’adolescenza. Di certe infanzie, di certe adolescenze. E di scoprire a tratti un idem sentire con l’autore se evoca l’attrazione di qualche adolescente per “le chiese vuote e i cimiteri cittadini”. Sembra che i luoghi tranquilli siano quelli in cui ci si sentiva “protetti e liberi insieme”.
Tale percezione marcava un particolare fastidio per quello in cui gli adulti speravano e i coetanei erano disposti a esperire; cioè il gusto di affermare una soggettività, singola o di piccolo gruppo che fosse, ribelle e scapigliata.
Ancora oggi, dice Peter Handke, “non so perché qualcosa in me opponesse resistenza all’idea di essere parte della compagnia”.
Saggio sul luogo tranquillo, a dispetto del titolo, espone in maniera frammentaria e diaristica il riconoscimento delle posizioni che la vita dell’autore ha assunto nel corso del tempo: la fuga dalla calca, il bisogno di defilarsi dai quadri familiari e sociali, fino al racconto nitido, letterale, della ricerca del confessionale, “lontano dai compagni rimasti nei banchi della chiesa”. Non è difficile, per chi ha maturato una sensibilità affine a quella dell’autore, riconoscersi in questa descrizione: “non di rado venivano momenti in cui desideravo di giacere in una delle stanze dell’infermeria del collegio”.
Forse non strano, ma certo curioso, a distanza di poco mi sono imbattuto per puro caso in due scritti, stupefacenti per la loro prossimità tematica, in questi giorni di furore iconoclasta. Intanto ho appreso da un saggio di Mimmo Franzinelli, Il prigioniero di Salò, che l’umiliazione degli italiani, “inadeguati al combattimento”, scatenò fra l’altro un’escalation iconoclasta, consumata dai tedeschi, la cosiddetta “guerra dei monumenti”. Sparite in Alto Adige le scritte in italiano, furono cancellati tutti i simboli del passato sgraditi alla “belva bionda”. Rimosso il monumento rievocativo della battaglia navale di Lissa (1866), analoga sorte fu riservata a Capodistria alla statua del martire irredentista Nazario Sauro. A Gorizia il disprezzo tedesco per gli italiani provocò perfino la distruzione del monumento alla Vittoria nella prima guerra mondiale. Quando Mussolini, di fatto prigioniero a Salò, venne a sapere di
C’è ancora chi ricordi un episodio del 2007, quando alla Sapienza 67 professori firmarono una lettera inviata al Rettore, con la quale, in nome della “laicità della scienza”, si giudicava “incongruo” l’invito rivolto al professor Joseph Ratzinger, alias Benedetto XVI, a tenere una lezione, poi prudenzialmente non svolta, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico?
E c’è ancora chi ricordi che nello stesso anno, ad uno dei fondatori delle Brigate Rosse, lo stesso che aveva definito l’assassinio di Moro “il più alto atto di umanità possibile”, fu consentito dall’Università di Lecce di far conoscere le iniziative della cooperativa editoriale graziosamente battezzata Sensibili alle foglie?
Da diverse settimane tutti i giorni il governatore della Lombardia Fontana e l'assessore al welfare Gallera occupano buona parte dei Tg nazionali e regionali. Proclamano l'efficienza e l'impegno del sistema ospedaliero lombardo, lanciano accuse di inadeguatezza al governo centrale e impartiscono lezioni e richiami alla responsabilità dei cittadini lombardi. A me, che in queste settimane vivo a Milano, sembra tuttavia che questa incalzante comunicazione alla lunga non sia riuscita a nascondere il sostanziale fallimento del sistema sanitario lombardo. Una politica fondata su un massiccio investimento di risorse sul sistema ospedaliero, più privato che pubblico, e sull'impoverimento progressivo della rete di medicina territoriale.
St. James infirmary è un blues dalla genesi controversa (c’è chi ritiene che origini da un traditional irlandese del XVIII secolo), reso celebre nel 1928 dall’interpretazione di Louis Armstrong.
Dice di un uomo che va a trovare la propria donna, so cool, so sweet, so fair, adagiata sul freddo tavolo di un obitorio.
Misty è un pezzo musicale di rara bellezza composto nel 1954 da Errol Garner e successivamente trasformato in canzone con il testo di Johnny Burke.
Lucille, infine, è un magnifico Rock and Roll composto nel 1957 da Little Richard e Albert Collins. Sul testo, coerente con la tradizione del genere, meglio sorvolare, quanto al resto, impossibile resistervi.
Giandomenico Vivacqua sulla sua pagina fb ha riproposto il mio video ‘Vallicaldi’ con queste parole: ‘Alcuni anni fa un manipolo di sognatori disputò alla polvere dei secoli un groviglio di vecchie strade desolate, instaurando una communitas dove non c'era più la societas. Durò poco, come tutte le più belle cose, ma per nostra fortuna rimane il racconto per immagini di Tano Siracusa.’
E intervenendo sulla stessa pagina Martino Graziano scrive: ‘Finì perché era un sogno, perché era soprattutto una performance artistica, e in questo era la sua forza e la ragione della sua sopravvivenza nella memoria, come impressione durevole, come suggestione, come rimpianto.’