Molte discipline del fare umano sono paragonabili ad un vero e proprio linguaggio, composto da vocaboli, sintassi e grammatica, pregni di senso comune condiviso e riconosciuto.
Quanto detto riguarda anche l’architettura intesa come arte del costruire, la sua evoluzione ed il susseguirsi dei suoi stili e delle sue forme e, quindi, del suo linguaggio, delle sue modificazioni, dei suoi salti temporali e dei suoi rimandi, attraverso le diverse interpretazioni del reale che col tempo ha dato.
Basti pensare, ad esempio, al rinascimento italiano e al linguaggio utilizzato dagli architetti del tempo per progettare e realizzare piazze, edifici, chiese, intere città, ed all'uso dell'ampio vocabolario per esplicitare un’idea di costruito attraverso la propria visione del mondo. Colonne, lesene, fregi ed archi a comporre, come parole, il vocabolario di una sintassi di ordine geometrico, simmetrie ed ritmo degli elementi, giustapposizione di forme chiare e definite, il tutto in un lessico completo, forbito e delineato.
Ed ancora il barocco, con i suoi archi policentrici, le ridondanze delle facciate dei palazzi e delle chiese, le sue straordinarie compressioni dello spazio e le illusioni prospettiche azzardate e spiazzanti. Chi, trovandosi in Piazza San Pietro, fra il colonnato del Bernini che abbraccia il visitatore come a darne un saluto di benvenuto, non si è soffermato a interrogarsi sul senso dell’immensità, a leggere una poesia in pietra di rara bellezza?