CARO PEPI, IL MONDO E' GRANDE E IL ROCK NON E' IL SUO PROFETA di Tano Siracusa

Caro Pepi,
la tua è esattamente la risposta che mi aspettavo: severa, a volte forse anche involontariamente cattedratica, com'è giusto che sia. La tua cattedra poggia non solo sulla tua superiore competenza musicale ma, come implacabilmente ribadisci, su quell' appuntamento generazionale che tu hai vissuto e al quale io non mi sono presentato. Solo un inciso: io sono davvero ignorante, cioè non so di cosa parli quando fai riferimento alla 'sociologia della musica' di cui non so assolutamente nulla. Mi sono espresso sicuramente alla buona con le frasi che hai virgolettato, ma non sono per me espressioni convenzionali, casomai di comodo: 'musica etnica' per me è quella che ho sentito in Tanzania quando un gruppo di Masai ha improvvisato una danza: una musica solo vocale, ogni voce un suono diverso, e quella loro danza necessaria che era tutt'uno con le loro voci, con la musica che i loro stessi corpi producevano. Ma anche l'' abbanniata' è musica etnica, certo elementare. Però avrei capito trenta anni dopo che l'abbanniata della 'marsigliana' che ascoltavo da bambino, quel sintagma di canto, veniva da lontano, dall'altra parte del mare. Su un paio di questioni tuttavia vorrei precisare alcune cose.
Immaginavo che mi avresti bacchettato sulla questione dell'egemonia statunitense. Eppure mi sembra di fare una semplice constatazione: quello americano nella seconda metà del '900 è stato un impero, anche molto duro, sbrigativo e spietato perfino, nelle periferie e nel cortile di casa dell'America Latina. La sua musica ha sbaragliato quella dell'impero nemico molto prima dell''89. Praticamente non c'è mai stata partita su quel piano, se si fa eccezione ovviamente per la musica colta. E fra le due guerre la potenza statunitense diffonde la sua cultura grazie ai nuovi media, è già egemone, basti pensare alla letteratura e al cinema di quei decenni. Diffonde anche la sua cultura musicale che si nutre dei suoni e dei ritmi degli schiavi africani che hanno incontrato la cultura musicale inglese. L'immediato successo del jazz è reso possibile proprio dal suo nascere negli Stati Uniti e subito dopo in Europa, cioè nel cerchio dell'egemonia culturale occidentale. E il rock sorge in questo solco arato dai discendenti degli schiavi incontrando ed esprimendo la prima grande rivolta edipica di una generazione affrancata dal bisogno. Senza il contesto tecnologico e mediatico ma anche di potere, senza i rapporti di potere enormemente squilibrati fra paesi ricchi e paesi poveri, la diffusione del rock a mio parere sarebbe stata diversa.
Ma il vero punto fra di noi di incomprensione nasce solo qui. Tu scrivi che il rock si propone 'attraverso una serrata, sensuale, scansione ritmica che, assieme allo sfregamento cui questa alludeva e rimandava, attiene alle origini della vita, alla congiunzione dei corpi ad essa indispensabile. Altro che “testo”. Verissimo. Aggiungo: la musica attiene non solo all'atto sessuale ma anche alla trance estatica, e sempre attraverso la mediazione, che è poi un atto generativo, della danza. Attraverso la musica e la danza si entra in contatto con gli spiriti.
Gli Gnawa sono una specie di confraternita, discendenti degli schiavi che dal centro Africa venivano imbarcati dalle sponde del Marocco verso il continente americano. Non avevano una buona fama presso l'islam ortodosso perché la loro musica aveva radici animiste ed era orientata verso pratiche terapeutiche oscure. Negli ultimi decenni sono entrati in contatto con loro diversi musicisti occidentali. Credo anche Peter Gabriel. Ad Essaouira la musica degli Gnawa è molto diffusa ed ho assistito ad un loro concerto durante il quale suonando e danzando entravano in trance.
Ma la stessa cosa succede a Napoli nei posti giusti, dove puoi incontrare famosi musicisti che animano le tammurriate, durante le quali le donne danzano suonando le nacchere e se va per le lunghe possono andare in trance. E vale come sai per tutte le 'tarante meridionali, e chissà per quante musiche e danze nel vasto mondo. E, senza andare in trance, mi capita ogni tanto di 'dover' ballare - da solo, a casa - ascoltando una taranta. Più o meno come facevi da ragazzo ascoltando le prime canzoni rock.
La musica immagino che sia nata contestualmente alla danza e assecondando ovunque pulsioni dionisiache, o che tendono comunque all'oltrepassamento del limite, delle barriere: fra i corpi, fra la vita e la morte, fra l'al di qua e l'al di là, fra il desiderio e il suo soddisfacimento. Insomma non è il rock ma la musica in quanto tale ad avere un fondamento antropologico profondo, antichissimo. Poi c'è il rapporto fra la musica popolare e quella che non so come meglio definire che musica di ricerca, musica d'autore. Da certa musica sacra a Cage. E c'è la questione del rapporto fra parole e musica, e non solo nella canzone napoletana, ma nel melodramma, nei madrigali musicati di grandi poeti del '600, nei provenzali, e prima ancora nel mondo classico. Ma su questo non scrivi nella tua lettera.
Vedi Pepi, il mio rapporto con la musica è l'esatto opposto di un rapporto concettuale: ascolto la musica che mi piace. Ma soprattutto voglio assicurarti che andando in giro per India, l'Africa, l' America latina, la Mongolia, nelle città e nei villaggi, si è sempre immersi nella musica, e non è musica rock. Ma anche a Napoli o a Palermo nel centro storico è così. E io credo che sia un bene. A me la musica che si ascolta in Marocco piace enormemente, mi fa star bene. Anche se ricordo ancora una strada diritta, la terra rossa, i villaggi berberi nelle oasi, la sera che scendeva in quell'annuncio del deserto e la musica dell'Arciduca di Beethoven. Era un 'nastro', una cassetta. Uno dei miei ricordi più belli.
Scrive Stefano Vivacqua nel suo bel romanzo :'Per tutto questo, il rock è stato odiato e perseguitato, e stenta ancora adesso ad essere riconosciuto come l'espressione più socialmente evoluta dello spirito umano. Quasi come Gesù, e come lui inedito, inatteso, scandaloso’. Sto leggendo con grande piacere il romanzo di Stefano, e quel 'quasi come Gesù', mi mette tenerezza. Come tutte le iperboli degli entusiasti. Il mondo è grande, vasto, e per fortuna ancora ricco di differenze, anche musicali. A proposito: ieri si è spento Paco de Lucia.
un abbraccio
Tano

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