ELOGIO DEL DUBBIO di Alfonso M. Iacono
La cittadinanza agli immigrati che vivono e lavorano nel nostro paese è il minimo che si possa e si debba fare. Ma il problema non è soltanto l’integrazione, il problema è il lavoro e, diamo il giusto nome, è lo sfruttamento del lavoro. Che siano i cinesi a sfruttare i cinesi, o gli italiani a sfruttare gli albanesi, o i cinesi a sfruttare i senegalesi, o gli italiani a sfruttare gli italiani, la questione non cambia. Dall’Ilva a Prato il punto è sempre lo stesso o morire avvelenati, bruciati, malati o non lavorare. E’ la tenaglia che giustifica lo sfruttamento e che, in molti casi, assicura profitti a chi non si sporca le mani perché ha abbastanza soldi da delegare il gioco sporco ad altri che lo fanno per loro. Che siano i cinesi a sfruttare i cinesi non cambia nulla. Per secoli i bianchi, gli occidentali, inglesi, francesi, portoghesi, spagnoli, italiani andarono in Africa a comprare schiavi adducendo come giustificazione che non erano stati loro a renderli prigionieri, ma altri popoli africani che glieli vendevano. Come se la schiavizzazione di donne, uomini, bambini africani da parte di altri africani avesse giustificato l’acquisto da parte degli occidentali, i quali strappavano i mariti dalle mogli e i figli piccoli dalle madri, per infilarli nelle navi che dovevano solcare l’oceano e arrivare in America. I mercanti di schiavi mettevano nel conto capitale i pochi che arrivavano vivi rispetto a coloro che erano partiti. A volte, guardando lontano nel tempo e vedendo l’orrore, una parola che conclude il grande racconto Conrad, Cuore di tenebra, ci chiediamo se noi siamo oggi così e ci rispondiamo molto frettolosamente che no, le cose sono diverse, le leggi sono diverse da quelle che un tempo regolavano la schiavitù (e ciò era addirittura un progresso di fronte alla furia selvaggia dei bianchi). Ma poi pensando ai morti che sono seppelliti nel Mar Mediterraneo, alle soglie di Lampedusa, donne, uomini e bambini che non erano schiavi, ma cercavano di sfuggire a qualcosa che era molto vicino alla schiavitù e non ci sono riusciti anche per la cattiveria l’egoismo nostro, agli operai che si ammalano per l’amianto e per la diossina e subiscono una morte più lenta alla minaccia di una disoccupazione immediata, ai lavoratori che vivono in topaie e muoiono carbonizzati, il dubbio ci assale. Il dubbio? La parola dubbio ha a che fare con il doppio, con il nostro doppio, con la nostra capacità di interrogarci guardandoci allo specchio e, pur riconoscendo il nostro volto in esso, lo vediamo diverso da come lo immaginavamo. La parola dubbio da tempo non abita nel mondo della politica perché quest’ultima crede che dubbio sia sinonimo di esitazione, di indecisione. Non è così. Il cosiddetto dubbio di Amleto è l’immensa forza della sua coscienza infinita, non la debolezza di chi non sa cosa fare.