PER GOVERNARE BENE CI VUOLE UNA GIUSTA DISTANZA di Alfonso M. Iacono

Siamo a fine anno. Tempo di consuntivi, di promesse e di speranze per l’anno che sta per arrivare. Ma è tempo anche di riconsiderare l’impeto di ciò che accade qui ed ora, per ricondurlo a quella distanza che può riequilibrare il giudizio immediato sull’attualità. Per la distanza occorrono l’arte e la storia, che spesso sono collocate a parte, fuori dall’immediatezza della cronaca e della politica. Ma come può la politica riacquistare un senso che la porti oltre se stessa, se non ritrova una distanza, se non si misura con l’arte e con la storia? Vale la pena per molti motivi. Il primo è che sono quadri stupendi e vederli lì, separati dal pur straordinario contesto in cui sono normalmente collocati, il Museo d’Orsay a Parigi, fanno un effetto particolare. 'Gabriella con la rosa' di Pierre-Auguste Renoir fa battere il cuore per la bellezza struggente, carnale, ingenua e maliziosa insieme, di questa donna. E i paesaggi di Camille Pissarro, il pittore per il quale Paul Cézanne mantenne sempre una grande deferenza, e di Monet sembrano offrire allo spettatore la materialità dolce dell’aria impregnata del verde degli alberi. Il secondo motivo è che negli anni recenti si è instaurato un rapporto tra gli impressionisti francesi e i pittori italiani a cominciare dai Macchiaioli. Si cominciò anni fa a Livorno, grazie a Dario Matteoni, con le mostre di Villa Mimbelli e ora a Firenze, a Palazzo Pitti, là dove è situata la Galleria d’Arte Moderna con i quadri dei Macchiaioli lasciati dal loro grande mentore Diego Martelli che visse a Castiglioncello.
Intanto a Roma, al Vittoriale, c’è la mostra Cézanne e i pittori italiani del ‘900. Fra questi pittori uno dei primi a rendersi conto dell’importanza rivoluzionaria dell’arte di Cézanne, Ardengo Soffici, di Poggio a Caiano. Oggi Impressionisti e Macchiaioli sono ammirati ovunque. Come si dice, hanno avuto e hanno successo. Ma la storia è utile anche per capire cosa accadde quando Monet, Cézanne, Pissarro,Degas, Berthe Morisot cominciarono a dipingere in modo diverso, en plein air, contro la pittura accademica allora dominante. All’inizio non ebbero affatto successo, furono persino derisi e comunque non compresi. Quando organizzarono la prima esposizione a Parigi, inaugurata il 15 aprile del 1874, il risultato fu un clamoroso fallimento. A stento i pittori si ripagarono le spese. Eppure insistettero, convinti com’erano delle loro idee. Subito dopo la chiusura dell’esposizione, Cézanne scrive a sua madre: “Devo lavorare senza sosta, ma non per acquisire quella rifinitura che gli stupidi ammirano. Questa rifinitura tanta apprezzata non si genera che dal lavoro manuale e rende inartistica e comune qualsiasi opera che ne sia improntata. Devo lottare per completare un quadro, solo per il gusto di dargli ulteriore verità e padronanza”. Cézanne non si piegò al gusto dominante. E così fecero gli altri. E così fecero anche i pittori italiani e i toscani. Tennero duro perché credevano in quello che facevano.
Se collochiamo questa vicenda entro gli steccati dell’arte, finiamo con il ridurla a un aneddoto. Ma se la prendiamo come un’esperienza di vita su cosa significhi credere nelle idee, allora forse potremo uscire dal recinto e pensare che in politica come nell’arte è più importante avere e mantenere le idee piuttosto che cambiarle in base al consenso e al gusto del pubblico. Del resto, per guardare bene un quadro, bisogna mettersi nella giusta posizione, a debita distanza. Se la politica dovesse attingere dall’arte, dovrebbe fare lo stesso, perché per governare bene le cose nei giorni che verranno, occorrerà una giusta distanza. Buon Anno Nuovo.