BENEDETTO XVI ULTIMO PAPA D'OCCIDENTE? di Pepi Burgio
C’è ancora chi ricordi un episodio del 2007, quando alla Sapienza 67 professori firmarono una lettera inviata al Rettore, con la quale, in nome della “laicità della scienza”, si giudicava “incongruo” l’invito rivolto al professor Joseph Ratzinger, alias Benedetto XVI, a tenere una lezione, poi prudenzialmente non svolta, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico?
E c’è ancora chi ricordi che nello stesso anno, ad uno dei fondatori delle Brigate Rosse, lo stesso che aveva definito l’assassinio di Moro “il più alto atto di umanità possibile”, fu consentito dall’Università di Lecce di far conoscere le iniziative della cooperativa editoriale graziosamente battezzata Sensibili alle foglie?
Chissà, forse in quell’occasione perduta il professor Ratzinger avrebbe riproposto le ossessioni della sua coscienza, e offerto spunti di riflessione a quanti, pochi in realtà, provano disagio nell’osservare il mondo a misura del codice della strada.
Giulio Meotti, giornalista e scrittore, in una recente pubblicazione, L’ultimo Papa d’Occidente?, affronta, con l’agilità del primo e l’accuratezza del secondo, la domanda, invero retorica, che dà il titolo al libro.
Joseph Ratzinger, il professore di filosofia e teologia non gradito ai professori della più antica Università dell’Urbe, aveva capito, dice Meotti, che la fine dell’influenza cristiana in Occidente sarebbe stata anticipata dalla rinuncia alle domande di senso; sulle quali, a partire dagli anni ’60, si abbatte la banalizzazione della “french theory”, che tutto riduce a storia umana.
Donde il Relativismus, dal quale Benedetto XVI fa discendere la marginalità e il progressivo tramonto del Cristianesimo in Occidente.
A Peter Seewald, che qualche anno fa gli chiedeva di pronunciarsi sul destino del Cristianesimo, Ratzinger così rispondeva: “È palese che i nostri principi non coincidono più con quelli della cultura moderna, che la struttura fondamentale cristiana non è più determinante. Oggi prevale una cultura positivista e agnostica che si mostra sempre più intollerante verso il cristianesimo”.
La rinuncia alla ricerca della verità si incarna, secondo il Papa emerito, nei segni vistosi attraverso cui la civiltà europea si rappresenta. Pressappoco così Meotti li sintetizza: la felicità sostituita dal benessere; il mondo pensato come un immenso villaggio di vacanze e desideri; il sesso come fonte di rivelazione escatologica; la ragione ridotta a ragione scientifica; l’oblio della cultura ebraica e cristiana; la verità che deriva dalla sua riproducibilità tecnica; e, infine, con le parole di Ratzinger, “l’ammutolire di ciò che è autenticamente umano.
Non manca però, nella ricognizione del pensiero di Benedetto XVI, qualche imbarazzante riferimento liquidatorio di altre esperienze religiose come il Buddismo; o l’insensato, pericoloso, accostamento della pedofilia alle culture giovanili degli anni ’60. Questi ed altri temi, descrittivi dei modelli di vita, nonché denotativi dei paradigmi concettuali e antropologici occidentali, definiscono la dissoluzione dei fondamenti della civiltà, già in gran parte compiuta, più che ancora da compiersi. Ed anche se il finale del libro distende retoricamente una vaga alternativa, a noi, piuttosto, Ratzinger appare con il volto malinconico di, scrive Meotti, “quel clown cui nessuno ha creduto mentre gridava al fuoco”.
A questo Papa, nascosto al mondo e innamorato della metafisica, sconfitto su ogni fronte del suo pontificato, oltre il favore dovuto ai miti e ai vinti, resta, fra l’altro, il sostegno della musica, la più metafisica delle arti.
A Giulio Meotti, il riconoscimento per una pubblicazione coraggiosa.