"ROBA DA IDIOTI" di Pepi Burgio

Forse non strano, ma certo curioso, a distanza di poco mi sono imbattuto per puro caso in due scritti, stupefacenti per la loro prossimità tematica, in questi giorni di furore iconoclasta. Intanto ho appreso da un saggio di Mimmo Franzinelli, Il prigioniero di Salò, che l’umiliazione degli italiani, “inadeguati al combattimento”, scatenò fra l’altro un’escalation iconoclasta, consumata dai tedeschi, la cosiddetta “guerra dei monumenti”. Sparite in Alto Adige le scritte in italiano, furono cancellati tutti i simboli del passato sgraditi alla “belva bionda”. Rimosso il monumento rievocativo della battaglia navale di Lissa (1866), analoga sorte fu riservata a Capodistria alla statua del martire irredentista Nazario Sauro. A Gorizia il disprezzo tedesco per gli italiani provocò perfino la distruzione del monumento alla Vittoria nella prima guerra mondiale. Quando Mussolini, di fatto prigioniero a Salò, venne a sapere di

questi e altri episodi (i nomi italiani furono cancellati dagli edifici e dalle pietre miliari), impotente e sconfortato, scrisse a Claretta Petacci: “A Trieste tutte le scritte murali col mio nome sono state cancellate”. Ciò credo meriti qualche riflessione.

Ho letto poi, subito dopo, un brano di Benedetto Croce, estratto con maliziosa tempestività da La storia come pensiero e come azione del 1938, da un quotidiano nazionale. Il filosofo napoletano ricorda che ogni tribunale, sia esso giuridico o morale, giudica il presente di “uomini vivi e agenti”; e che quanti hanno vissuto nel passato “sostennero già i tribunali del loro tempo, e non possono essere assolti o condannati due volte”. Aggiunge: “Non sono essi responsabili dinanzi a nessun nuovo tribunale appunto perché, uomini del passato, entrati nella pace del passato, e come tali oggetti solamente di storia, non sopportano altro giudizio che quello che penetra nello spirito dell’opera loro e li comprende”.

Chiunque, ad esempio, in quanto privo di senso storico, imbratti un monumento, provoca, in chi di senso storico ne sia fornito, un “sottile fastidio, sentendone l’incongruità e la vanità, quasi come se si vedesse percuotere a pugni una statua, che non però si muove o cangia volto”. Come dire che senza senso storico la vacuità del nostro ordinario sproloquio, nei casi più vistosi, imporrebbe un TSO.

A quanti, sostanzialmente concordi ma insofferenti alle lentezze dell’argomentare, è conveniente la più lapidaria sentenza di Massimo Cacciari: “Roba da idioti, arroganti, superbi.” Amen.

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