Mi sono ricordato, poco fa, di alcuni versi di Brecht, quelli che dicono: Quali tempi sono questi, quando \ discorrere d’alberi è quasi un delitto \ perché su troppe stragi comporta silenzio! E’ il mare che ci sta davanti che li ha restituiti alla mia memoria. Il nostro mare ormai da troppo tempo rimanda a foschi pensieri, evoca terrore, disperazione, morte. Esso non è più lo stesso, non è più il mare di una volta.
I tamburi annunciano in questi giorni l'approssimarsi della processione di san Calò e con la processione tornano le preoccupazioni, i timori, i ricorrenti propositi di normalizzarla.
La piazzetta era tutto il mio mondo. A quel tempo noi bambini, moltissimi e di tutte le età, sciamavamo in Piazza Cavour tra i quattro palazzi che facevano i tre lati di un rettangolo, mentre il quarto lato si affacciava sulla Valle dei Templi fino al mare. Due alberi da un lato e altri due dall’altro erano diventati i pali delle porte di un campo di calcio un po’ particolare.
La recente triste scomparsa di un’attrice malinconica ha esaltato la già fervida fantasia di intere schiere di opinionisti, aspiranti saggisti, sedicenti storici. Che si sono cimentati in un esercizio stucchevole ed irritante, ovvero quello di utilizzare consunti, pigri schemi mentali per osservare, in maniera rigida, realtà complesse e contraddittorie. Es.: “Laura Antonelli che ci ha appena lasciato, ha segnato l’immaginario erotico di una generazione”.
Doveva essere uno di quei treni che allora si chiamavano accelerati. In realtà non erano poi tanto accelerati, anzi erano quelli che si fermavano a tutte le stazioni. Era primavera avanzata. Luce e caldo lambivano la pelle e niente era lontano. Mio padre ed io salimmo sul vagone postale. Una parete del vagone era tutto ricoperto da caselle quadrate, come quelle che stanno alle spalle del portiere di un albergo, ma erano più grandi.
Tra le buche e la visione ha vinto la visione. Tra il parlare sgrammaticato e quello forbito, ha vinto il forbito. Dopo decenni di sindaci espressione del piccola borghesia arruffona, si propone alla guida di Agrigento un borghese colto attorniato da borghesi colti. Risolti i problemi di Agrigento? Neanche per sogno!
Nel 2008 Suddovest pubblicò UN TESTO DEL '68 DI LEONARDO SCIASCIA MAI STAMPATO. Il maestro di Regalpetra descriveva i motivi della mancanza di acqua in Sicilia. E' giunta la scadenza (il 2015) indicata da Sciascia, ma l'acqua - come scrive Attilio Bolzoni su la Repubblica - ad Agrigento è ACQUA PAZZA.
Dirò una cosa che forse tradisce un approccio provinciale, dialettale, a questo rito di parola che stiamo celebrando. Dirò che qui intervengo nella qualità di amico di Vittorio Alessandro: questo è il mio unico titolo, la mia unica legittimazione, io non essendo un critico, uno scrittore o un marinaio. Sono amico di Vittorio e sono un suo lettore, così come sono un ascoltatore delle cose che dice e un osservatore delle cose che fa.
Scrive Teresa Cannarozzo in un suo interessante saggio su Agrigento pubblicato nel 2009 a proposito di Villaseta: ‘La planimetria di progetto, disegnata nel 1969, mostra un altissimo grado di definizione della proposta progettuale e rivela una particolare attenzione nei confronti della configurazione degli spazi aperti e dell’integrazione tra i manufatti architettonici e il contesto. Si tratta di un progetto urbanistico raffinato, che propone una dimensione urbana complessa, con circuiti pedonali differenziati dai flussi veicolari, parcheggi pubblici e parcheggi destinati ai residenti, ma probabilmente poco adatto ai destinatari, che erano contadini o piccoli artigiani con stili di vita legati al mondo rurale e che probabilmente si muovevano con il mulo e con i carretti.’
Cosa sta rivelando Agrigento nelle convulsioni politiche di questi ultimi giorni se non una delle ragioni, la principale direi, della sua catastrofica situazione? La qualità autentica del suo ceto politico. L'epifania della sua conclamata impresentabilità.