IL BELLO COME PIACERE O ANCHE CONOSCENZA? di Pepi Burgio

Nel corso del ‘900 diversi studiosi si sono chiesti se l’arte possa proporsi come attività conoscitiva. Mario Perniola, nella sua Estetica del Novecento, presentando a riguardo due posizioni paradigmatiche, quella di Hartmann e quella di Gadamer, riassume le due opposte prospettive in maniera esemplare: il primo esclude in modo categorico che lesperienza artistica sia in un modo di conoscenza; il secondo, rifiutando la riduzione della razionalità al metodo delle scienze naturali, dilata la portata speculativa di quest’ultima, fino a farle assumere il ruolo di messa in chiaro del problema della verità.

La questione, affascinante e complessa, si infittisce e si esalta quando ci si interroga intorno a quella particolarissima forma di linguaggio che è la poesia. Con la sua enigmaticità e con la sua ambiguità inesauribile. Ma, aldilà di ogni improbabile formulazione di statuti scientifici relativi al valore cognitivo dell’esperienza artistica, nella letteratura, nella poesia è rintracciabile quantomeno quella che Cortázar ha definito una sorta di potenzialità, di proiezione. Cortázar sostiene che, ad esempio in un racconto, oltre la descrizione di una vicenda che talvolta si sedimenta nella memoria, sono presenti anche una serie di connotazioni, di aperture mentali e psichiche. Che non ci consegnano acquisizioni definite una volta per tutte, conoscenze sottratte alle fluttuazioni storiche e agli ordini simbolici che queste dispiegano, ma approcci intimi e profondi. Spesso immediatamente indisponibili, poiché richiedono un’ inconcludente oltranza ermeneutica. E’ questo il senso dell’affermazione di Gadamer, che in Verità e metodo sostiene che l’arte sia una esperienza che modifica chi la fa? E, in qualche misura, anche di chi ne fruisce?

Non molto tempo fa Adelphi ha pubblicato una raccolta di poesie di Tommaso Landolfi, Il tradimento. Una di queste in particolare, O cari mostri della giovinezza, possiede una straordinaria interna capacità di illuminare con poche essenziali parole alcuni caratteri di fondo della modernità; che, in un certo senso, sono drammaticamente coincidenti con quell’età adulta che inevitabilmente sfocia nella vecchiezza lercia di cui dirà in un’altra poesia:

 

O cari mostri della giovinezza,

Lunari orrori, ribrezzo

Di solitarie dimore,

Palpiti di terrore:

Quanto più vivi e quasi lieti, quasi

Lievito di speranza!

In oggi fin l’angoscia è smorta.

 

Non si vive se non violando norme.

E ben questo rimprovero agli odierni.

Questo: ove son le norme da violare?

Di che avremmo a nutrire il nostro cuore?

Se Dio non è, chi bestemmiare?

[…]

Questi versi, emblematici ed evocativi delle sconvolgenti conseguenze di un terribile annuncio, possiedono o no valenza cognitiva?