MARE, SMARRIMENTI E 'PUNTONAVE' di Pepi Burgio
Mi sono ricordato, poco fa, di alcuni versi di Brecht, quelli che dicono: Quali tempi sono questi, quando \ discorrere d’alberi è quasi un delitto \ perché su troppe stragi comporta silenzio! E’ il mare che ci sta davanti che li ha restituiti alla mia memoria. Il nostro mare ormai da troppo tempo rimanda a foschi pensieri, evoca terrore, disperazione, morte. Esso non è più lo stesso, non è più il mare di una volta. Ma oggi siamo qui, impietosamente, a discorrere d’alberi.
“Perché leggere i classici”, raccoglie alcuni saggi di Italo Calvino. Uno di questi è tra l’altro un invito alla lettura di una delle poesie più belle e conosciute di Montale, Forse un mattino andando…, alla luce di alcuni casi esaminati da Merlau-Ponty in “Fenomenologia della percezione”. In quest’opera il filosofo francese descrive quelle rare, molto particolari situazioni in cui “l’esperienza soggettiva dello spazio si separa dell’esperienza del mondo oggettivo”. Insomma, uno spazio senza oggetti, disgiunto dal mondo: nel buio della notte, nel sogno, nella schizofrenia, sotto l’influsso di alcune droghe. Forse un mattino andando…, nella straordinaria lettura di Calvino, si svolge secondo un alternarsi di ambivalenze. Per cui all’acquisizione di verità, il compirsi del miracolo, si contrappone l’inganno consueto; ma la vertigine spaventosa, come necessaria conseguenza dell’avvertimento del nulla, dello spazio vuoto, separato dalle cose, inevitabilmente provoca un terrore di ubriaco. E allora questa forte consapevolezza, non può che evolvere drammaticamente: ed io me ne andrò zitto \ tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Tutto infine, suggerisce Calvino, sembra risolversi “in un barcollare senza più punti di riferimento”. Senza più punti di riferimento, proviamo a ricordarcene più avanti.
Nel 1926, esattamente un anno dopo Forse un mattino andando…, Max Ernst ha composto una delle opere più esemplari della pittura surrealista, Il bambino Gesù sculacciato dalla Vergine Maria alla presenza di tre testimoni: André Breton, Paul Éluard, Max Ernst. Quest’opera ha ribaltato una tradizione iconografica secolare, nonché le forme rappresentative della modernità. Quando mai si era vista la Vergine Maria in una positura così triviale, intenta a sculacciare il bambin Gesù? A questi, umano, troppo umano, presunto autore di assai improbabili discolerie, è caduta l’aureola divina, ingloriosamente piegata alle prosaiche leggi della fisica. L’estetica espressionista, cui Max Ernst ha abbondantemente attinto, insistendo sulla necessità della perdita del centro, ha tematizzato l’incertezza, l’instabilità, di cui nulla più del mare è simbolo, non soltanto metafora. Il mare, rottura d’ogni regola, rimanda alle ambivalenze della libertà. In ogni tempo i poeti ne hanno cantato l’ebbrezza, l’irresistibile fascino, e, come in Valéry, la follia, l’imprevedibilità.
Ma chi, come Vittorio Alessandro, nel mare ci vive e del mare conosce la sovrana indifferenza e l’inconsapevole generosità, ha bisogno di stabilire dei “puntonave”: “ognuno di esso è una posizione raggiunta ma anche un nuovo punto di partenza”, come è detto nell’introduzione. In sostanza, l’abrogazione dei “punti di riferimento”, la coscienza della frammentarietà e della dispersione dell’esistenza, non sospende la sia pur provvisoria, precaria e fragile, insistente ed accorata, ricerca di quella che Vittorio definisce “visione di insieme”. Il mare, il puntonave che su di esso di volta in volta tracciamo, come la Vita nello “Zaratustra”, potrebbe dire “io sono quello che sempre deve superare se stesso”.
“Puntonave”, diario disorganico e moderno di alcuni segmenti di vita, è stato pubblicato opportunamente solo quando esso conteneva numerose testimonianze relative alle esperienze, ora disperate, ora felici, sempre drammatiche, vissute da Vittorio Alessandro sulle vedette della Guardia Costiera; nel tentativo, spesso riuscito, di trarre in salvo i disperati dei barconi nel Canale di Sicilia. Questo è uno dei motivi fondamentali che ci rende orgogliosi della sua amicizia; un altro è costituito dalla maniera impareggiabile e commossa con cui ha ricordato un suo amico, il Comandante Natale De Grazia, precocemente scomparso. Natale De Grazia si occupava di complesse indagini relative allo spiaggiamento della motonave Jolly Rosso per conto della magistratura calabrese; convinta che la motonave in questione fosse, come altre affondate nel Tirreno, carica di rifiuti velenosi. Le ultime parole del libro recitano: “mi sarebbe piaciuto rassicurarlo, dirgli che stiamo lavorando proprio sulle cose che più gli stavano a cuore. E che facciamo certamente fatica, ma ci proviamo ad esser generosi ed appassionati come lui”.
A Vittorio Alessandro, ai puntonave che ancora lo attendono, tuttavia consapevoli di navigare inesorabilmente in direzione della terra del tramonto, vorrei infine dedicare alcune parole di Elias Canetti, ringraziandolo di cuore per l’amicizia, generosa ed appassionata, appunto, che ci ha offerto in tutti questi anni. “Il giovane greco mi chiede cosa significhi essere vecchio. Significa gli dico, che possa abbracciare con lo sguardo la vita di molte persone che ho conosciuto. Significa che auguro a loro come a me una vita di trecento anni, per poter abbracciare ancora di più la loro vita, poiché ogni palmo in più che si conosce la rende più stupefacente, più problematica, più ricca di speranze, più penetrante e più inspiegabile”.