DELLE MADRI: SE NE PUO' PARLARE IN SILENZIO di Pepi Burgio

Le unioni civili, col dibattito che inevitabilmente provocano, potrebbero rappresentare l’occasione per riflettere anche sul tema della maternità. A suo modo lo ha fatto di recente Vittorio Sgarbi, che ha letto con la consueta tracimante foga Supplica a mia madre di Pasolini. A Sgarbi Vendola aveva rimproverato di coltivare ossessivamente la cultura dello sperma (almeno così mi è parso di capire dai frammenti televisivi proposti da Blob), ovvero l’idea secondo la quale la riproduzione sarebbe il fine ultimo di ogni grammatica corporea. A giudicare dai toni usati mi sono sembrate prevalenti le istanze polemiche, di schieramento, su quelle discorsive. Ma non di questo, se non indirettamente, voglio parlare.

Domenica sera (18 c.m.) ho visto per caso su rai tre, convocato da Fazio per presentare il suo nuovo libro sulla figura del padre, Walter Veltroni. Veltroni, che il padre non ha conosciuto, per due volte, parlando della madre ha fatto riferimento alla sua grandezza. Ed alla capacità di supplenza della figura paterna, incarnandone la solidità emotiva ed il senso di sicurezza che in genere ne consegue. Sicuramente è così, e non solo per l’autorevolezza che va riconosciuta al personaggio. Ma forse, forse dico, avrebbe dovuto proteggerne più gelosamente la figura, non attribuendole aggettivazioni (grande, appunto), troppo ricorrenti in un certo lessico tardo a scomparire; soprattutto se pronunciate davanti a qualche milione di spettatori. Subito dopo ho riletto Supplica a mia madre, sollecitato anche dal fatto che Veltroni ha sempre ritenuto Pasolini fondamento della propria formazione.

Supplica a mia madre fa costantemente riferimento, fra l’altro, all’indicibilità (Edifficile dire con parole di figlio), all’unicità e singolarità (Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima dogni altro amore) della figura materna, alla sua insostituibilità (Sei insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai data); all’impegno immenso, irrimediabile, tragico che essa rappresenta.

Tutto qui, solo per ricordare a me stesso che su certi argomenti è opportuno praticare l’arte del silenzio o, se si preferisce, l’intimità, la discrezione dialogica. Sottovoce, s’intende.