Submitted by redazione on Fri, 30/07/2021 - 09:44
Per alcuni di noi, segnati da deliri assortiti ed astratti furori, l’orizzonte d’attesa verso cui tendere, e con cui contaminarsi, era rappresentato, nella seconda metà degli anni settanta, dagli autori proposti da Adelphi, la distinta casa editrice fondata a Milano nel 1962, di cui Roberto Calasso era ben presto divenuto l’anima. I loro nomi rimandavano al mito asburgico e ad una civiltà letteraria dell’est europeo per lo più inesplorata. E, tra l’altro, raccontavano del piacere di servire, o delle grigie esistenze di modesti uomini, spesso attempati burocrati, compressi dal fardello del vivere così, e impediti dalle angustie della vita sociale; e degli incerti confini, raccontavano tra malattia e salute, e, talvolta, per dirla con Mittner, di “un malinconico, disperato vagheggiamento dell’età perduta”.
Submitted by redazione on Wed, 21/07/2021 - 08:46
Fosse stata ancora in vita, Cristina Campo avrebbe in questi giorni provato grande amarezza e assaporato, per una volta ancora, l’acre della sconfitta. Lei, che aveva riconosciuto nel sentire cattolico il luogo d’elezione che esalta la bellezza attraverso la liturgia.
Papa Bergoglio, motu proprio, ha da poco abrogato il Summorum pontificum di Benedetto XVI, con cui tredici anni fa si autorizzava la messa in latino, secondo il rito anteriore al Concilio Ecumenico Vaticano II, risalente nientemeno che al secolo XVI, durante il pontificato di Pio V. Il provvedimento, ad alcuni, assai pochi in realtà, è apparso intempestivo e imprudente, o poco delicato nei confronti del Papa emerito tuttora vivente. Ma di ben altro si tratta, più che di una speciosa questione di bon ton.
Submitted by redazione on Thu, 25/03/2021 - 10:30
Una passeggiata lunga più di seicento pagine, un atto d’amore per un geniale poeta romantico, e insieme la coscienza di un debito grande nei confronti di chi ha annunciato quel “sentimento simbolico della realtà” che ha segnato in maniera indelebile la propria attività di scrittore.
In A passeggio con John Keats, Julio Cortazar ha affastellato, caoticamente a prima vista, una teoria smisurata di spunti, suggestioni, saggi letterari di grande profondità e finezza, concepiti nei primi anni cinquanta e adesso pubblicati da Fazi a trentasette anni dalla sua scomparsa. La struttura formale, dicevo, è solo in apparenza disorganica, poiché l’approvazione entusiasta delle poesie di Keats è costantemente rivolta alla individuazione dei segni caratteristici di una teoria della poesia con la quale Cortazar sembra identificarsi compiutamente.
Submitted by redazione on Sun, 21/02/2021 - 09:09
Pare che un grande poeta abbia detto che l’abbrivio di una composizione letteraria sia dettato da Dio. Come spiegare altrimenti, sennò, quello de L’uomo senza qualità di Robert Musil o di Ferito a morte di Raffaele La Capria? O il primo verso di La sera di fiera di Dino Campana: Il cuore stasera mi dice: non sai?, o i primi due di Notizie dall’Amiata di Eugenio Montale: Il fuoco d’artifizio del maltempo/ sarà murmure d’arnie a tarda sera. Il Dio dei letterati, poeti o prosatori, è lauto nel dispensare gli incipit. Chiedo: c’è anche il Dio degli epiloghi? Davvero non saprei, in molti però riconoscono nelle righe finali de Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, una delle chiuse più affascinanti del romanzo del ‘900: E mentre me ne stavo lì a rimuginare sul vecchio mondo sconosciuto, pensai alla meraviglia di Gatsby nello scorgere per la prima volta la luce verde in fondo al pontile di Daisy. Aveva fatto tanta strada per avere questo prato blu e il suo sogno deve essergli sembrato così vicino che difficilmente gli sarebbe sfuggito. Non sapeva che era già alle sue spalle, nei recessi delle vaste tenebre che si aprivano dietro la città, dove i campi bui della repubblica si estendevano nella notte. Gatsby credeva nella luce verde, l’orgastico futuro che anno dopo anno arretra davanti a noi. Ci è sfuggito una volta, ma non importa - domani correremo più veloce, tenderemo le braccia più avanti… e un bel mattino…
Così continuiamo a remare, barche controcorrente, sospinti senza posa nel passato.
Submitted by redazione on Wed, 13/01/2021 - 10:46
Ha detto una volta Ezra Pound che un uso sovrabbondante della aggettivazione tradisce una conoscenza insicura della specificità che ogni attributo possiede. Ciò è sempre vero, lo è in particolare per la poesia, dove lo spazio angusto destinato al suo farsi in forma contratta, determina una qualità ineffabile, assai diversa dallo svolgersi della prosa.
Avamposto sul confine, nuova raccolta di poesie di Vito Bianco, reca intanto la virtù della parola appropriata e della maniera asciutta nel comporre versi accurati, talvolta di forte suggestione; per proiettare poi sugli aspetti minimali della realtà un chiarore appena abbozzato, che tuttavia distorce gli oggetti per affidarli a un misterioso destino simbolico.
Submitted by redazione on Mon, 04/01/2021 - 11:14
Senza un orologio che scandisca il tuo tempo, sapresti riconoscerla. È molle, è fiacca, è noiosa, la domenica. Bisognerebbe avere il mare vicino, per superarla.
I vecchi marinai del mio paese dicono che lo scirocco sia un vento tradimentoso: con le sue potenti vampate, ti spinge a cercare refrigerio nel mare, ma una volta immerso, non riuscirai più a tornare a riva. Ché la corrente ti avrà già divorato.Ecco perché tra loro, i vecchi lo chiamano "ventu ammazza paisanu".
Se fossi uomo sarei alto ma non altissimo, con la barba incolta e le rughe attorno agli occhi. Fumerei sigarette preparate con le mie lunghe e grandi mani. Se lungo il mio cammino ti incontrassi, e tu avessi lunghi capelli neri mossi dal vento e labbra tumide e rosse, m’innamorerei di te. Ti regalerei una margherita e ti inviterei a passeggiare lungo la via assolata e deserta.
Submitted by redazione on Thu, 19/03/2020 - 16:01
Papa Francesco invita a non sprecare il tempo della reclusione e a riflettere. D’accordo, in attesa che anche qui fioriscano i ciliegi, alla malinconia eccepiamo frammenti di vaglia perenne.
So per certo che ciascuno la porta in sé, la peste, perché nessuno, no, nessuno al mondo ne è immune.
Oggi per questo hanno tutti l’aria stanca, perché si ritrovano tutti un po’ con la peste addosso.
…il solo modo di lottare contro la peste è l’onestà.
Che cos’è l’onestà? disse Rambert, con aria d’un tratto seria.
Non so cosa sia in generale. Ma nel mio caso, so che consiste nel fare il mio lavoro.
Submitted by redazione on Sun, 23/06/2019 - 20:57
La notizia la portò Fazio, in tarda mattinata, entrando nel suo ufficio col visto stravolto e senza neanche bussare.
«Lo hanno ricoverato d’urgenza in ospedale. Ha avuto un arresto cardiaco. È grave.»: e non ci fu minimamente bisogno di specificare di chi stesse parlando.
Montalbano rimase immobile, inchiodato alla sedia, incapace anche di parlare, vedere, sentire, di pensare, addirittura. Era come ibernato. Dopo una quantità di tempo che non seppe misurare, si vide alzarsi e, con naturale lentezza, attraversare l’ufficio e il commissariato, uscire all’aperto, salire in macchina, mettere in moto, dirigersi verso il porto, parcheggiare, spegnere il motore, scendere e cominciare a camminare verso il molo di levante: il tutto muovendosi come un automa, senza volontà né sentimento. Giunto sul molo, principiando una delle sue
Submitted by redazione on Wed, 29/05/2019 - 17:51
Pubblichiamo il tema con cui Giorgia Cuffaro, studentessa dell’ultimo anno del Liceo Classico “Empedocle” di Agrigento, ha conquistato il passaggio alla fase nazionale delle Olimpiadi di filosofia. Si tratta di una riflessione sul rapporto tra linguaggio e realtà che prende spunto da una frase di Wittgenstein: “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”.
Che ne sarebbe dell’uomo. Che ne sarebbe di un uomo rimasto solo in mezzo a mille alberi senza nessuno che parli con lui o di lui, nel silenzio.
Avrebbe ancora se stesso - certo- e su qualche lago si vedrebbe riflesso, ma gli specchi non parlano e se anche ascoltassero non avrebbero strumenti per rispondere.
Cosa resterebbe a dargli la certezza di esistere. Vede il mare, il cielo; e se fossero di carta.
Siamo tutti quanti increduli anche o forse soprattutto di fronte all’evidenza; tutti quanti scettici e sospettosi: la scienza mi dice che sono possibili le allucinazioni, io ho visto un gatto e non credo di essere allucinato però quel che io credo non è detto sia la verità e neanche la scienza magari ne sa nulla della verità.
Submitted by redazione on Tue, 26/02/2019 - 17:19
L’arte non ha davvero nulla a che fare con la conoscenza? Non c’è nell’esperienza dell’arte una rivendicazione di verità, diversa certo da quella della scienza, ma altrettanto certamente non subordinabile ad essa? E il compito dell’estetica non è proprio quello di fondare teoricamente il fatto che l’esperienza dell’arte è un modo di conoscenza sui generis, diversa beninteso da quella conoscenza sensibile che fornisce alla scienza i dati sulla cui base essa costruisce la conoscenza della natura, diversa altresì da ogni conoscenza morale della ragione e in generale da ogni conoscenza intellettuale, ma tuttavia pur sempre conoscenza, cioè partecipazione di verità? (H.G. Gadamer, Verità e metodo)
Prima di chiedersi se l'arte possa dare accesso al vero occorrerebbe porsi la domanda sostanziale su che cosa l'arte sia; e subito rinunciare a rispondere. Wittgenstein diceva che domande che non ammettono risposte dimostrabili non dovrebbero neppure esser poste.
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