PRIMA CHE SI DIRADINO di Giulia Laiola

Senza un orologio che scandisca il tuo tempo, sapresti riconoscerla. È molle, è fiacca, è noiosa, la domenica. Bisognerebbe avere il mare vicino, per superarla.

I vecchi marinai del mio paese dicono che lo scirocco sia un vento tradimentoso: con le sue potenti vampate, ti spinge a cercare refrigerio nel mare, ma una volta immerso, non riuscirai più a tornare a riva. Ché la corrente ti avrà già divorato.Ecco perché tra loro, i vecchi lo chiamano "ventu ammazza paisanu".

Se fossi uomo sarei alto ma non altissimo, con la barba incolta e le rughe attorno agli occhi. Fumerei sigarette preparate con le mie lunghe e grandi mani. Se lungo il mio cammino ti incontrassi, e tu avessi lunghi capelli neri mossi dal vento e labbra tumide e rosse, m’innamorerei di te. Ti regalerei una margherita e ti inviterei a passeggiare lungo la via assolata e deserta.

La finestra è aperta, arriva la luce tenue, settembrina. Qualcuno più in là ha già preparato il caffè, arriva prepotente il forte aroma. Qualcun altro guarda un vecchio film, percepisco il timbro antico e autoritario del doppiatore, intervallato da spari e urla. Sopra la mia testa l’impertinente autoclave rumoreggia intermittente. La centrifuga estenua la vecchia lavatrice. Tutto sembra sospeso, quasi irreale. Poi più nulla. A un tratto, mi addormento.

 

Ci incontreremo e non ci riconosceremo. Non servirà scoprirsi il viso. Staremo tu da una parte ed io dall'altra. Nel silenzio di una città vuota. Ci sono case che non sanno di casa, ma di transeunte accoglienza e di precaria stabilità, che l'aroma del caffè tende a celare.
 

La pioggia si abbatteva sulla sua auto, i tergicristalli impazziti non riuscivano a reggerla. Ma a lui non importava, lei era lì, seduta al suo fianco, muta e livida. Era comunque giunto il tempo di dirsi addio.

 

Ci sono legami forti che, seppure sopiti a causa del tempo, in qualche modo ritornano. E lo fanno sotto forma di grandi sogni confusi, dove le immagini fondono luoghi del passato ed elementi futuristici, dove tutto sembra offuscato dalla nebbia o forse da occhi miopi. Solo il mattino tutto prende forma e significato, quando le immagini oniriche diventano realtà. E lo stupore per la premonizione lascia spazio solo alla consapevolezza di un’affinità che non conosce né tempo né spazio.

 

Una distanza siderale, solo quella è rimasta. Mi chiedo se te ne accorgi. O è il mio punto di vista piuttosto enfatico. Non rispondi. Ed io, a questo punto, comprendo.

 

Lui arriva sempre dopo, proprio quando lei è già andata via da qualche minuto. L’uno siederà al posto dell’altra, accanto alla vetrata che dà sulla via principale. Ordinerà lo stesso tè nero, senza zucchero. Nel congegno severo e schematico delle loro abitudini, saranno destinati a non incontrarsi mai. Solo una deviazione casuale ai loro impegni potrebbe condurli ad un incontro fortuito, forse davanti la porta d'ingresso. Quante probabilità esistono?

 

Il tempo non era mai trascorso così lentamente come nell'ultima settimana. Le ore sembravano non rincorrersi più e la pioggia non cessava di cadere. Temeva che non avrebbe saputo più nulla di lei. Tu aspettami, gli disse, prima di partire. Non potrò chiamarti, ma tornerò presto. C'é sempre un pensiero di catastrofe nelle attese, pensava. Ancor più perché non avrebbe saputo dove collocarla nello spazio, aveva il mare vicino? Avrebbe incontrato qualcuno? Di cosa si sarebbero riempiti i suoi occhi? Non era mai stata tra le sue virtù essere paziente ma questa volta non gli rimaneva altro che sperare nel suo ritorno. E mentre si muoveva per la città affollata, trasaliva ogni qualvolta scorgeva qualcuna che le assomigliava.

 

Se non sono i volti, sono le voci che, silenziate dal tempo, riprendono il loro suono conosciuto quando ti sfiorano improvvisamente. E pensi: "sì, adesso ricordo".

 

“André guarda, i fuochi d'artificio"! Ma Andrea è ancora troppo piccino per curarsene e poi questa sera ha la "grevia". Cioè un malessere momentaneo, tipico dei più piccoli, quando hanno tanto sonno, ma non riescono a dormire e sono stanchi e accaldati e troppo eccitati e insofferenti. E allora iniziano a piangere fino allo sfinimento. Proprio come Andrea. Allora lo prendo in braccio e lo stringo forte, fortissimo, di modo che non possa più dimenarsi, cercando di sovrastare il suo pianto disperato con una nenia. Lo cullo, gli accarezzo la testa, lo tengo guancia a guancia, finalmente sembra arrendersi al sonno. Il pianto pian piano si dirada, qualche singulto ancora. Uno, due, tre. Eccolo che dorme, lui, l'angioletto. Adesso qui, è solo silenzio. Me lo sono guadagnato, anche questa sera. 

 

Che non saremmo mai andate d'accordo mi era stato chiaro sin dall'inizio. Era quel genere di donna che abbinava rigorosamente il colore delle scarpe alla borsa per sentirsi a proprio agio, che utilizzava termini politicamente corretti per non apparire insensibile, che non rideva alle battute licenziose per non essere giudicata frivola. Ma quello che la rendeva ancor più detestabile, era quel suo profumo cipriato, una scia di odore mellifluo, preludio del suo arrivo.

 

Non era un indovino né un negromante. Era solo un uomo che viveva di sensazioni. Quando la vide entrare nella sua catapecchia, avvolta nel suo cappotto liso, sapeva già cosa le avrebbe detto e dell'inquietudine che le avrebbe provocato. Ma poco gli importava, la sua era una specie di missione che non gli consentiva di avere né pudore né pietà.

 

Privandolo del senso di umanità, l'uomo che cos'è? Che cosa diventa? È come separare l'anima dal corpo. Il nulla, resta.

 

L'indeterminatezza degli appuntamenti di noi siciliani, ci rende immuni dall'essere collocati nell'alveo dei puntuali o nel girone dei ritardatari. Donna annoiata: mento raccolto sul palmo della mano, gomito appoggiato su di un lungo tavolo di cristallo. In un caldo pomeriggio nella grande via, vuota e assolata, una donna sola cammina lentamente. All'improvviso si ferma e guarda dietro di sé, come per assicurarsi che nessuno la stia seguendo. L'aria è irrespirabile e afosa, la donna raccoglie i suoi lunghi capelli in una coda, passandosi con rassegnazione una mano sulla nuca madida di sudore. All'improvviso, il silenzio della via dormiente è spezzato da un'auto di grossa cilindrata che con un forte stridore di freni si arresta di colpo. Qualcuno apre lo sportello, la donna sale cauta raccogliendo un lembo del vestito che sporge fuori dal veicolo. L'auto riparte, scomparendo velocemente nella via.

 

Nella vanedda del paese, adagiata su una seggiola un po' ammaccata se ne sta, vestita di nero, la 'za Rosa. Con le gambe divaricate, arrese alla stanchezza, si procura un po' di refrigerio con un ventaglio ricamato. Tentando, con veemenza, di scacciare l'afa africana che la fa sospirare e sbadigliare assieme.

 

Era arrivato in quell'albergo vicino la stazione quasi all'imbrunire. Era stanco, sporco, spossato per il caldo che l'aveva colto impreparato. La camicia bianca che indossava era un tutt'uno con la sua pelle lattiginosa. Nel suo stentato francese chiese le chiavi della camera al concierge, che gli augurò distrattamente una buona permanenza. Si trascinò assieme al suo piccolo bagaglio lungo il corridoio, la moquette verde scuro attutiva i suoi passi lenti. Nessuno degli altri ospiti dell'albergo avrebbe intercettato il suo arrivo. C'era un silenzio surreale attorno e un odore di vecchio e tarlato accoglieva il suo ingresso in camera. Posò le chiavi sul comodino. Vuotò le tasche dei pantaloni. Alcune monete, che avrebbe dovuto elargire come mancia al tassista, finirono sul pavimento di marmo, appena lucidato. Si guardò poi allo specchio molto attentamente, mentre con una mano cominciava a sbottonarsi la camicia, pensava che la stanchezza e l'insonnia dei giorni precedenti, lo rendessero più vecchio e più insofferente del solito.

 

Ha un aspetto primitivo e un po' selvaggio dopo il mare e sebbene siano troppe le cose da fare si adagia su una vecchia amaca sorretta da vigorosi pini marittimi, mentre il frinire delle cicale, quasi come un segnale, le ricorda che c'è tempo per adoprarsi. E lentamente, mentre nugoli di pensieri si allontanano, si addormenta.

 

Le pagine che precedono la fine di un libro sono sempre le più sofferte, per noi lettori. Perché è davvero arduo separarsi da quel microcosmo, parallelo alla nostra vita, che ci eravamo costruiti. Sentiamo nostalgia dei personaggi ancor prima di aver letto la parola fine. E ogni volta è così: un addio amaro e sofferto, nostro malgrado. E una volta chiuso il capitolo ci chiediamo se, avanti, si ripeterà ancora la magia dello straniamento.

 

L’uomo, per sua natura, è condannato ad avere una feroce nostalgia del presente, una volta divenuto passato. E’ la consapevole incapacità di non godere dell’attimo che lo renderà per sempre schiavo di ciò che è stato.

 

Sei triste. Me ne sono accorto da quando non cucini più per me. Ti vedo, non hai neppure tolto la pizza dall’involucro cartonato. Non ce l’hai fatta ad allungare un braccio e prendere un piatto che non sia di plastica. Tu che odi le stoviglie di plastica! Me ne sono accorto perché non c’è più il buon profumo della tua cucina. E’ candeggina quella che sento. E’ proprio quello l’odore. L’odore negletto del disamore.

 

Posso fare a meno di tante cose. Sceglierei di non farle tutta la vita. Sceglierei di non fare e basta. Caccerei in un istante quello che resta dei miei vizi. Metterei da parte le miei abitudini. Cancellerei tutti i miei turbamenti, i miei fastidi. Mi allontanerei dal mio porto sicuro. Ma non basterebbe e non servirebbe a nulla tutto questo, perché sono io. Io, ugualmente.

 

Tutti i discorsi, i fiumi di discorsi  notturni, fanno presto a dissolversi al mattino. Si diradano come la nebbia e assumono la consistenza evanescente dei sogni.

 

Da qualche tempo lavoro con una ragazza che sta al banco della pasticceria. Ha un viso pulito e dolce che contrasta con il timbro della sua voce così sgraziata. E’ bello perché non parliamo. Conosce bene le mie abitudini:caffè appena arrivo per il mio turno, tè o tisana intorno alle 16,30. Una brioche vuota che mette con cura da parte, per me. E’ solo quando l’accompagno a casa, in macchina che dice qualcosa. Forse per interrompere un silenzio divenuto insignificante. O forse, perché, dentro uno spazio così stretto e distante dai rumori del luogo di lavoro, torna a essere se stessa.

 

 

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