E se ne stava lì. Davanti alla solita edicola col giornale sotto il braccio, un profilo antico col naso adunco, affilato, gli occhiali di tartaruga, il berretto all'inglese, stretto nel paletot di qualche decennio prima, che indossava con il riguardo che si ha generalmente per le cose nuove fiammanti.
La balaustra della terrazza, sorretta da una candida sequenza di colonnine, sembrava a sua volta sostenere, rimarcandola, la linea affilata del mare che vi si adagiava sopra. Sormontato il tutto da una barocca baldoria di nuvole.
Là, nello spazio sovrastante quella linea, secondo le millenarie meccaniche dei cosmi, sole luna stelle, talvolta comete e ogni altro corpo astrale ogni giorno scivolavano giù, scorrendo sulla superficie del cielo e infine sembravano squagliarsi nel mare. In una parola: tramontavano.
V. guardò oltre la finestra socchiudendo le pupille, con la lenta, sospettosa curiosità di un gatto.
Provava avversione per quegli animali inaffidabili, la cui unica regola di vita sembrava la ricerca di una incomprensibile soddisfazione.
Ma come per i gatti i suoi tempi non erano governati dall’ora condivisa degli orologi, neppure per mangiare o dormire.
Spesso scriveva e mangiava, a volte dipingeva in piena notte.
Si era da poco svegliato in una stanza che non riconosceva, su un letto a una piazza e mezzo dove aveva dormito a lungo. Gli sembrava di avere trascorso un’enormità di tempo a sognare e adesso si sentiva uscito da un mondo appiattito, da una sconfinata superficie dove formicolava una luce verde e da vuote pareti dai colori smaltati, blu cobalto, ocra, arancio, azzurro oltremare, e quel rosso fiammeggiante, metallico, che sarebbe piaciuto al francese, pensò all'improvviso.
Tre giorni di energia atomica-creativa. A Favara, ancora una volta, tutta colpa di quegli scalmanati di Farm Cultural Park. Gli stati generali della creatività giovanile in Italia.
La buona notizia è che sull’isola tre donne sono incinte. Non succedeva da anni. All’anagrafe di Linosa risultano residenti più di 400 persone, in realtà di inverno sull’isola ne abitano meno di 300.
Pochi bambini, molti anziani, ma per loro Linosa è un paradiso dice Pietro un cinquantenne, proprietario di uno dei tre bar che ad orari incerti aprono anche d’inverno.
I giovani sono partiti, sono andati a lavorare e mettere su famiglia nelle città del nord o fuori dall’Italia. Operai, diplomati, laureati. I nonni sull’isola, i figli e i nipoti sulla terraferma, lontano.
Giovani infatti se ne vedono davvero pochi.
Uno dei trentenni rimasto sull’isola, Enzo, fa il pescatore. Ieri ha preso una cernia di 13 chili e molto altro pesce pregiato, ma le due notti precedenti non aveva pescato niente.
D’altra parte, dice il proprietario del bar, questa non è mai stata un’isola di pescatori, ma di contadini.
Narrate, uomini, la vostra storia di periferia. Dopo le analisi di Tripodi, Farruggia e Gucciardo, e il contributo autobiografico di Carmelo Sardo, una giovane assistente sociale ritorna sul tema, con un articolo sul centro sociale di Fontanelle, argomento della sua recente tesi di laurea (relatore, Gaetano Gucciardo).
Tutti conosciamo le periferie, ma ognuno le conosce a modo suo. Tutti sappiamo e possiamo parlarne, ma solo chi le ha vissute e le vive può raccontarle. Diversamente resteranno un concetto astratto, attorno al quale ogni proposta e ogni suggerimento finiscono per alimentare un dibattito che rischia di cozzare contro certa riluttanza, politica e culturale, nell'affrontare il fenomeno dalle sue viscere.
Insomma, dice Giandomenico Vivacqua, “la nostra battaglia è la memoria. Lasciamo ai trentenni, tanto spesso invocati nelle nostre riunioni, la libertà di fare e di non fare, di avere successo e di fallire. Tutto quello che possiamo per loro sono i nostri ricordi e la serietà, non disgiunta dalla pietà, con cui dobbiamo raccontare le nostre storie”.
Agrigento è una città con una estensione geografica enorme anzi abnorme rispetto alla sua popolazione. Gli americani lo chiamano sprawl, come dire “stravaccato”. È un tratto comune a tutte le espansioni urbane dopo l’avvento dell’automobile. Quando le città e i sobborghi si addensavano secondo il passo del pedone conservavano anche una identità fisica. E l’hanno conservata anche quando è stata introdotta la mobilità pubblica su rotaia.
Caro Giandomenico, in merito al tuo scritto Che fare? Migliori del proprio tempo o del proprio tempo i migliori?, che ho molto apprezzato, mi chiedo: ma cos’è e quale effettivamente è la nostra generazione. Ho, da sempre, avuto l’impressione, proprio per essere nato nei primi anni sessanta, di appartenere non ad una, la nostra, ma a più generazioni.