Carissimo Tano,
mi sento lusingato nell’apprendere che alcune mie affermazioni, sia pure perché radicalmente contrastate, contribuiscono alla realizzazione dei tuoi video. Ma veniamo al dunque. Non mi sogno nemmeno di mettere in discussione la complessa articolazione dei tuoi convincimenti, perché so bene con quanta profondità e rigore sei solito osservare ciò che ti circonda. Ma intendo sottrarmi all’ordine del giorno che d’imperio stabilisci, inondandomi di considerazioni sociologiche, ideologiche, delle quali faccio in genere volentieri a meno quando mi riferisco alla musica. E intendo sottrarmi anche alle parole che usi, quasi mai innocenti, come “ricerche autoriali”, “musica d’autore”, “musica etnica”, che fanno tanto “Istituto di Sociologia della Musica”.
Reputo velleitario ogni tentativo di schiodarti dai tuoi ferrei convincimenti, in quanto il tuo rapporto con la musica rimane fondamentalmente di tipo concettuale, mediato, “pensato”. Ricordo che una volta, dopo averti fatto ascoltare un brano di Bob Dylan (Simple twist of fate), mi hai chiesto, con aria perplessa e severa ad un tempo, del “testo”.
Richiesta legittima, se nel tono della tua voce ed in un’altra serie copiosa di indizi espressivi, non avessi ancora una volta colto l’improbabilità di intendersi.