Submitted by redazione on Mon, 14/11/2022 - 11:48
Quando nel 1932 Cesare Pavese pubblicava il saggio su Herman Melville, i nuovi studi nietzscheani erano ancora di là da venire. Soltanto alcuni decenni dopo, il contributo fondamentale di studiosi del valore di Giorgio Colli e Mazzino Montinari riuscirà a proporre un decisivo ripensamento critico delle opere del filosofo di Röcken alla cultura filosofica europea.
Diciamo questo perché l’insistenza di Pavese circa la “grecità” della poetica di Melville in Moby Dick, oggi, alla luce delle acquisizioni raggiunte grazie al determinante contributo degli specialisti italiani di Nietzsche, richiede qualche precisazione. Che per Pavese Moby Dick sia “il poema della vita barbara” ed il suo autore un “greco veramente”, è opinione condivisibile. Ma ritenere che la “schiettezza serena e virile” reperita nel romanzo sia caratteristica dell’ “equilibrio che usiamo chiamare greco”, appare una distorsione interpretativa, un cliché percettivo, affermatosi inizialmente come vulgata della sensibilità romantica e destinato successivamente ad autoalimentarsi.
Submitted by redazione on Thu, 03/11/2022 - 15:00
"Per essere selvaggio lo era eccome”, dice di Queequeg Ismaele, l’io narrante di Moby Dick al capitolo X del romanzo di Herman Melville. Queequeg è già apparso qualche pagina prima: è un gigantesco ramponiere polinesiano di origini aristocratiche in cerca di un imbarco su una baleniera nell’isola di Nantucket. Ismaele, a Nantucket per lo stesso motivo, lo adocchia per la prima volta in una sordida locanda in cui l’oste gli propone di trascorrere la notte nello stesso letto del ramponiere poiché gli altri sono già occupati da alcuni marittimi. Ismaele d’istinto “aborre” l’offerta rimanendo però incuriosito dall’“aria contegnosa” del selvaggio: “un vero spettacolo; eppure cominciavo a sentirmi misteriosamente calamitato dalla sua persona.
Submitted by redazione on Thu, 25/08/2022 - 19:26
Avviene, ma non di frequente, che un saggio filosofico scandito come è ovvio con rigore, richiami un topos letterario di indubbia suggestione. È attraverso Don Chisciotte, figura emblematica della civiltà letteraria europea, nonché archetipo dello sradicamento originato dalla modernità, che Alfonso Maurizio Iacono risolve il suo nuovo, intenso saggio dal titolo Socrate a cavallo di un bastone. I bambini, il gioco, i mondi intermedi e la messa in scena come pratica della verità, pubblicato da manifestolibri.
Nel romanzo di Cervantes ad un certo punto è descritta la furia impetuosa con la quale “il cavaliere errante dalla trista figura”, sguainata la Durlindana decapita i mori che inseguono don Gaiferos e la sua sposa Melisenda al teatro dei burattini allestito da Mastro Pietro, lo sfortunato burattinaio.
Submitted by Suddovest on Tue, 23/08/2022 - 10:11
Dal titolo di questo articolo è chiaro il mio intento “ambizioso” di riconciliare l’Economia e l’Arte, di superare i pregiudizi dovuti all’ignoranza a cui ci costringe il sistema consumistico che ci fa pensare che la prima è utile per vivere e la seconda non è utile, non serve a nulla. L’Uomo è fatto sia di Razionalità, di cui la Tecnoscienza e anche l’Economia sono la massima espressione, sia di Irrazionalità, come i sentimenti di Amore, Bellezza, Gioia, Odio, Invidia, Paura, che l’Arte sa esprimere meglio di ogni sistema di comunicazione che sia mai esistito.
Per questo motivo sono davvero contento che gli artisti e artigiani aragonesi hanno aderito numerosi all’iniziativa “Aragonesi - Galleria d’arte Continua” di Peppe Cumbo, artista aragonese, conosciuto per le sue bellissime realizzazioni fotografiche in cui mette in risalto la bellezza del paesaggio siciliano e aragonese e i suoi disegni applicati ad arte alle maioliche e a capi di abbigliamento che nulla hanno da invidiare ai migliori stilisti italiani. Peppe Cumbo, a mio modesto parere, ha sufficiente talento per decidere di lasciare la Sicilia e andare a cercare fortuna altrove grazie alla sua arte e alla sua rete di conoscenze sparse per il mondo intero. Ha deciso però di restare in Sicilia e apprezzare la bellezza di quest’Isola che per lui è ancora simbolo di genuinità, di bellezza e di ritorno a un modo di vivere che non esiste più o che sta scomparendo. Non sapete quanto sia vera questa “sensazione” di Peppe Cumbo e per questo motivo quanto sia importante la sua iniziativa che spero davvero possa avere tanto seguito e tutto il successo che merita.
Submitted by redazione on Sun, 07/08/2022 - 11:34
Alla propria morte Citati aveva destinato poche righe, “lontana o vicina non mi dà timore”. Scriveva: “Mi è stato concesso molto più di quanto avessi desiderato; e nessun pensiero è più lieve che immaginare la mia tomba, là, nel boschetto dei lecci, accanto al mio cane Puck, che da cucciolo credeva di essere un bambino”. Ciò che a Citati pareva intollerabile era piuttosto la morte dei suoi amici: “forse perché li amo”.
Fra questi, uno in particolare, Italo Calvino, col quale Citati soleva spartire la vista della marina della Riviera di Ponente e le chiacchierate “nei giardini ombreggiati dai pini”.
Ne La malattia dell’infinito, uno dei suoi libri più belli, Citati, che era legato a Calvino da un’affezione speciale, in questo modo ne ricorda gli ultimi tempi.
Submitted by redazione on Fri, 29/07/2022 - 13:49
Noi picconieri di monti e di abissi
sepolti vivi scaviamo tesori.
M. Rapisardi Il canto dei minatori
Nel processo a Danilo Dolci davanti al tribunale di Palermo, nel 1956, al pubblico ministero, che nella requisitoria, aveva esortato i giudici a tener conto del dettato della legge e non delle “correnti di pensiero” portate dai testimoni “accorsi da tutta Italia”, Piero Calamandrei rispondeva nella su arringa: “ Ma cosa sono le leggi, illustre rappresentante del P.M., se non esse stesse ‘correnti di pensiero’? Se non fossero questo, non sarebbero che carta morta; se lo lascio andare, questo libro dei codici che ho in mano, cade sul banco come peso inerte. E invece le leggi sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarvi entrare l’aria che respiriamo, metterci dentro i nostri propositi, le nostre speranze, il nostro sangue e il nostro pianto.”
Submitted by redazione on Wed, 13/07/2022 - 10:20
1. Non si sa con certezza perché e come la città di Agrigento, attorno al nono secolo, abbandoni il suo secolare insediamento nella valle dei templi e si ricostruisca sul colle di Girgenti, dove si trova oggi.
Da tempo in realtà, il vasto territorio urbanizzato dai Greci già a partire dal VI secolo avanti Cristo e consolidato nel V e che prevedeva qualcosa come 12 kilometri di mura e almeno IX porte, si era ristretto all’area che gira attorno al poggio di San Nicola.
Già in epoca romana case e spazi pubblici si erano ritratti, con conseguente abbandono di tutta l’area dei templi di Giove, dei Dioscuri e di Vulcano. In età paleocristiana la collina dei templi venne trasformata in necropoli.
Submitted by redazione on Tue, 12/07/2022 - 08:55
In un giorno ordinario, scadente come tanti altri, durante una passeggiata in bicicletta nel parco cittadino, all’improvviso irrompe nella mente del poeta un’espressione chissà da che evocata; e viene accolta con fervore così come si accoglie una visita assai gradita per quanto inaspettata. Valéry definisce questa condizione "stato di poesia”, “prodotto senza causa apparente, a partire da un avvenimento qualunque”; cioè il passaggio dalla sofferenza che involge chi avverte il dramma della sterilità creativa, alla condizione di chi è infine abitato dalla primaria fisicità, sensualità delle parole. Il poeta custodirà con cura questa rivelazione poiché con essa battezzerà la nuova produzione poetica.
'Le nevi perenni', embrione armonico prima che significato, è l’espressione genetica che origina il nuovo impegno di Vito Bianco. Così Leopardi nel Foglio 184 dello Zibaldone: “Molte volte accade che una leggerissima circostanza, quasi movendo una molla della nostra memoria, ci richiami idee e ricordanze anche lontanissime, senza nessun intervento della volontà e senza che i nostri pensieri di allora ci abbiano alcuna parte”.
Submitted by redazione on Mon, 11/07/2022 - 11:42
Lo scorso 29 giugno il Consiglio dell’Ordine degli Avocati di Agrigento ha presentato nell’aula intitolata a Rosario Livatino, a Palazzo di Giustizia, I sepolti vivi, un racconto di Giacomo La Russa. Rievocando, con intelligenza e stile, una pagina della complessa e tormentosa storia mineraria del nostro territorio, Giacomo mostra quanto insufficiente possa essere il paradigma giudiziario per la piena comprensione dei fatti umani e sociali e quanto sia necessario, di conseguenza, che la scienza giuridica e la tecnica processuale si lascino attraversare dalla sensibilità letteraria, che rimane il più potente scandaglio del mistero umano. Pubblichiamo qui l’intervento dell’autore e quello di Fausto D’Alessandro.
Submitted by redazione on Fri, 08/07/2022 - 10:25
La campagna di scavi e ricerche al teatro di Agrigento, iniziata il 23 maggio 2022, è durata un mese e mezzo e ha coinvolto principalmente studenti dell’Ateneo di Catania e del Politecnico di Bari. Sono intervenuti in almeno 100, tra iscritti alla laurea tirannale, magistrale, scuola di specializzazione e dottorato, oltre che studenti provenienti da altre università italiane e straniere.
Gli obiettivi hanno portato a potenziare le conoscenze sulle fasi arcaiche dell’area del teatro, che si trovano nei livelli immediatamente ad ovest dell’edificio, nonché sulle fasi tardoantiche che invece erano già ben documentate dalle scorse ricerche nell’area superiore del complesso.
Questi dati hanno arricchito il quadro documentario sulle fasi storico-architettoniche dell’area centrale della città antica permettendo di formulare ulteriori precisazioni.
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