'LA FERITA DI VISHINSKIJ': GIALLO O ROMANZO? di Francesco Taglialavoro
Submitted by Suddovest on Tue, 17/02/2004 - 08:50
"La ferita di Vishinskij" di Gaetano Savatteri, edito da Sellerio, è un libro che fa discutere. Sembra un giallo, ma Andrea Camilleri lo ha definito "il secondo romanzo di Savatteri". Con tale affermazione lo scrittore empedoclino ha voluto entrare in polemica con il critico letterario Roberto Cotroneo che aveva precedentemente dipinto il libro come un giallo. Entrambi erano stati invitati alla presentazione del libro il 17 febbraio 2004 alla libreria Feltrinelli di Largo Argentina a Roma.
Davanti a un pubblico di una settantina di persone, giovani e meno giovani (presenti diversi giornalisti - Savatteri è cronista giudiziario del Tg5) "La ferita di Vishinksij" è stato così analizzato e criticato.
Dallo stesso autore si è appreso che il titolo inziale era "Memoria"; perché, dice Savatteri, "la memoria è un valore; diventa disvalore solo quando la si percepisce come un'ossessione o un peso che non ci lascia guardare avanti".
Che cosa ci ricorda questo libro? Le lotte tra clan familiari e il potere della mafia. Savatteri vuol tenere viva la memoria del lettore su questi temi e lo fa ricorstruendo, in parte con la fantasia e in parte riferendosi a episodi realmente accaduti, la storia di due famiglie siciliane antagoniste: i Pancamo e i Pintacorona. E non solo il loro passato, attraverso documenti storici trascritti; anche il presente, tramite un fatto di cronaca: la morte di una giovane imparentata con una delle due famiglie, che cadde in mare dal traghetto Palermo-Napoli. Incidente? Omicidio? Suicidio?
Savatteri - ha sostenuto Roberto Cotroneo - non porta il lettore alla soluzione delle misteriose vicende trattate, perché "è un giallista atipico". Lo si comprende nella sua scrittura a tratti "quasi barocca" e senza, in ogni caso, uno stile uniforme, capace di distogliere il lettore dalla trama; dal fatto che "alla fine il bandolo della matassa non torna". "Savatteri" - secondo Cotroneo - "ci dice che il mondo non ha una coerenza razionale e non è per nulla rassicurante". Il mosaico che il libro compone lascia delle figure da riempire fuori dalle pagine scritte.
Per Andrea Camilleri, dopo la prima acerba opera ("La congiura dei loquaci") lo scrittore Gaetano Savatteri ha trovato in questo libro il suo equilibrio. "In questo romanzo" - ha affermato Camilleri - "non c'è un rigo che sia inutile". La storia narrata inizia con due brevi paragrafi di dieci e sette righe nei quali le famiglie Pancamo e Pintacorona sono descritte ora come "causa dei mali della nostra terra e persone da civilizzare", poi come "degnissime persone". "Il romanzo" - secondo Camilleri - "ha una duplice lettura, essendo strutturato a strati legati da fili intersecanti evidenti o carsici". La bravura, l'abilità e, soprattutto, la passione di Savatteri tengono unite la storia.
L'episodio del romanzo che da il titolo al libro è il ferimento di Vishinskij, che fu il braccio destro di Stalin. Un fatto che sarebbe accaduto durante una sua misteriosa visita a Palermo nel dicembre del 1943. Camilleri - di cui in questo link trovate l'intervento integrale - si è detto testimone di questa visita.
Nel libro si legge che alcuni mafiosi ferirono per errore Vishinskij in un agguato diretto a colpire i Pintacorona.
A questo fatto si lega anche la vicenda di un uomo che nel 1954 negli Stati Uniti d'America dichiarò di essere Vishinskij per ottenere i benefici concessi ai rifugiati politici. Gli americani per appurare la veridicità di quell'affermazione inviarono in Sicilia una donna con il compito di indagare su quanto successo undici anni prima. Ma, intanto, in America il russo morì e la commissione d'inchiesta venne fermata.
Non è un episodio marginale: nella narrazione nulla è casuale.
Camilleri ha invitato il lettore a domandarsi il perché della ferita di Vishinskij: "la morte per acqua (della ragazza) è la metafora di una ferita sulla quale si indaga". Ed anche, "...la schizofrenia di uno dei due fratelli raccontati nel libro non è una ferita?".
L'autore del libro, intervenuto dopo Cotroneo e Camilleri, ha tenuto ad esplicitare il concetto relativo alla giustizia espresso nel romanzo.
"Qualche dubbio sulla giustizia può venire ogni tanto. Il finale del mio libro è disperato o pessimista sulla giustizia perchè a volte, dopo le inchieste della magistratura, come anche nella vita, rimangono dubbi e misteri".
Nella logica mafiosa, invece, c'è poco spazio al dubbio: se alle spalle si hanno famiglie come quelle di Pintacorona e Pancamo, anche per i ventenni, la sorte è segnata: diventare un boss o morire.
Davanti a un pubblico di una settantina di persone, giovani e meno giovani (presenti diversi giornalisti - Savatteri è cronista giudiziario del Tg5) "La ferita di Vishinksij" è stato così analizzato e criticato.
Dallo stesso autore si è appreso che il titolo inziale era "Memoria"; perché, dice Savatteri, "la memoria è un valore; diventa disvalore solo quando la si percepisce come un'ossessione o un peso che non ci lascia guardare avanti".
Che cosa ci ricorda questo libro? Le lotte tra clan familiari e il potere della mafia. Savatteri vuol tenere viva la memoria del lettore su questi temi e lo fa ricorstruendo, in parte con la fantasia e in parte riferendosi a episodi realmente accaduti, la storia di due famiglie siciliane antagoniste: i Pancamo e i Pintacorona. E non solo il loro passato, attraverso documenti storici trascritti; anche il presente, tramite un fatto di cronaca: la morte di una giovane imparentata con una delle due famiglie, che cadde in mare dal traghetto Palermo-Napoli. Incidente? Omicidio? Suicidio?
Savatteri - ha sostenuto Roberto Cotroneo - non porta il lettore alla soluzione delle misteriose vicende trattate, perché "è un giallista atipico". Lo si comprende nella sua scrittura a tratti "quasi barocca" e senza, in ogni caso, uno stile uniforme, capace di distogliere il lettore dalla trama; dal fatto che "alla fine il bandolo della matassa non torna". "Savatteri" - secondo Cotroneo - "ci dice che il mondo non ha una coerenza razionale e non è per nulla rassicurante". Il mosaico che il libro compone lascia delle figure da riempire fuori dalle pagine scritte.
Per Andrea Camilleri, dopo la prima acerba opera ("La congiura dei loquaci") lo scrittore Gaetano Savatteri ha trovato in questo libro il suo equilibrio. "In questo romanzo" - ha affermato Camilleri - "non c'è un rigo che sia inutile". La storia narrata inizia con due brevi paragrafi di dieci e sette righe nei quali le famiglie Pancamo e Pintacorona sono descritte ora come "causa dei mali della nostra terra e persone da civilizzare", poi come "degnissime persone". "Il romanzo" - secondo Camilleri - "ha una duplice lettura, essendo strutturato a strati legati da fili intersecanti evidenti o carsici". La bravura, l'abilità e, soprattutto, la passione di Savatteri tengono unite la storia.
L'episodio del romanzo che da il titolo al libro è il ferimento di Vishinskij, che fu il braccio destro di Stalin. Un fatto che sarebbe accaduto durante una sua misteriosa visita a Palermo nel dicembre del 1943. Camilleri - di cui in questo link trovate l'intervento integrale - si è detto testimone di questa visita.
Nel libro si legge che alcuni mafiosi ferirono per errore Vishinskij in un agguato diretto a colpire i Pintacorona.
A questo fatto si lega anche la vicenda di un uomo che nel 1954 negli Stati Uniti d'America dichiarò di essere Vishinskij per ottenere i benefici concessi ai rifugiati politici. Gli americani per appurare la veridicità di quell'affermazione inviarono in Sicilia una donna con il compito di indagare su quanto successo undici anni prima. Ma, intanto, in America il russo morì e la commissione d'inchiesta venne fermata.
Non è un episodio marginale: nella narrazione nulla è casuale.
Camilleri ha invitato il lettore a domandarsi il perché della ferita di Vishinskij: "la morte per acqua (della ragazza) è la metafora di una ferita sulla quale si indaga". Ed anche, "...la schizofrenia di uno dei due fratelli raccontati nel libro non è una ferita?".
L'autore del libro, intervenuto dopo Cotroneo e Camilleri, ha tenuto ad esplicitare il concetto relativo alla giustizia espresso nel romanzo.
"Qualche dubbio sulla giustizia può venire ogni tanto. Il finale del mio libro è disperato o pessimista sulla giustizia perchè a volte, dopo le inchieste della magistratura, come anche nella vita, rimangono dubbi e misteri".
Nella logica mafiosa, invece, c'è poco spazio al dubbio: se alle spalle si hanno famiglie come quelle di Pintacorona e Pancamo, anche per i ventenni, la sorte è segnata: diventare un boss o morire.
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