MOLTO DOLORE E POCA SPERANZA A REGALPETRA di Giovanni Taglialavoro

Un ritratto dolente della sua Racalmuto. La storia degli anni novanta che hanno visto nascere e crescere contemporaneamente un gruppo di giovani impegnati civilmente e culturalmente dietro la più bella testata mai pensata per un giornale, 'Malgrado Tutto', e un gruppo di criminali protagonisti di una lunga e sanguinosa guerra di mafia che selezionerà il capo di Cosa Nostra della provincia di Agrigento. E' quello che che ci racconta Gaetano Savatteri nel suo ultimo libro ' I Ragazzi di Regalpetra' (Rizzoli): i tragitti diversi che uno stesso paese ha determinato tra i suoi coetanei con l'intenzione di capire, attraverso i colloqui con alcuni di loro, e una rivisitazione, a volte struggente, delle speranze e delle passioni giovanili dello scrittore, cosa, come e perché ragazzi che giocavano a 18 anni a pallone nello stesso campo e ascoltavano la stessa musica, hanno avuto poi destini così lontani e contrapposti.

I suoi interlocutori sono Maurizio e Beniamino Di Gati e Ignazio Gagliardo del gruppo vincente e Alfredo Sole di quello perdente. I primi tre oggi collaboratori di giustizia e l'altro in galera a scontare un ergastolo.
Diciamo che la cosa che più colpisce del libro è il tono commosso e compassionevole col quale vengono raccontate le vicende. Anche quando si tratta delle vicende private e familiari degli assassini. I quali oggi sembrano guardare alle loro gesta passate con ripugnanza. Sanno, adesso, che il potere conquistato da loro con la morte altrui non poteva che essere effimero e prodromico di altra morte o di galera e che il rispetto guadagnato con le loro imprese criminali era un vestito cucito con il terrore e non con la stima.
Torniamo al punto: cosa spinge un ventenne a varcare la linea d'ombra che introduce all'assassinio come metodo normale di regolamentazione dei conflitti? Due cose essenzialmente: da un lato il desiderio di vendetta e dall'altro quello del potere, della scalata sociale.
Ignazio Gagliardo quando racconta della sua fuga in Sudafrica sottolinea con stupore come lì i rapporti sociali gli avessero consentito di mettere a frutto le sua capacità di intrapresa tanto che in pochi anni riesce a metter in piedi un'attività commerciale di tutto rispetto. A Racalmuto non avrei potuto farlo, dice, tutto è quasi predeterminato dai ruoli sociali e familiari. Dunque la violenza in questo caso come rimedio ad una immobile scala sociale.
I Di Gati invece pensano alla vendetta come motore fondamentale delle loro scelte originarie. Sì certo dopo anche il gusto del potere. Per Alfredo Sole la vendetta oggi appare priva di senso non potendo riportare in vita i cari uccisi. Il più profondo nella sua reale distanza dal passato criminale paradossalmente sembra l'ergastolano che non ha voluto collaborare con la giustizia, non ha voluto 'buttarsi pentito': tutto ormai a lui appare meritevole di umana pietà e miserevole ogni prevaricazione dell'uomo destinato di per sé alla sofferenza. Un'eco leopardiana probabilmente frutto delle letture e degli studi avviati in carcere.
La famiglia, i fratelli, i figli: tutto sembra circoscritto negli angusti perimetri della famiglia, prima anagrafica e poi mafiosa. E' per vendicare i familiari che si avvia la carneficina, è per curare la moglie che ci si consegna alla polizia lasciando la latitanza, è per una lettera della piccola figlia che si matura la voglia di collaborare con la magistratura: forse non si rifletterà mai abbastanza sulla natura criminogena di una concezione esclusivista della famiglia ( il familismo amorale) che finisce col giustificare ogni cosa pur di assicurare roba e prestiglio ai propri consanguinei. Qui, insieme (e forse più) al fronte di una diffusa coscienza civica sta la chiave di una futura fuoriuscita dalla cultura mafiosa.
Ed è proprio la famiglia, pur sempre evocata, a restare troppo sullo sfondo nei racconti dei mafiosi pentiti e/o reclusi: non sappiamo come la fidanzata di Gagliardo alla fine decide di sposarlo pur sapendo delle sue imprese criminali. Non sappiamo come i tre fratelli Di Gati ragionavano con la madre e con le loro mogli di affari e di soldi, sappiamo che la figlia di Maurizio Di Gati ad un certo punto sogna un mondo senza poliziotti e carabinieri, ma non siamo aiutati a farci un'idea più precisa su come abbia potuto, attraverso quali narrazioni domestiche, pervenire a quelle forme oniriche. Penso che alla fine è qui che si situa la fondamentale differenza tra i percorsi diversi dei ragazzi di Regalpetra, nelle gerarchia di valori che nel recinto della famiglia vengono ad elaborarsi. Potrebbe essere un capitolo aggiuntivo di questo lavoro o il centro di un nuovo libro di Gaetano.
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