MALIKA SORRIDE di Adriana Iacono

Malika sorride mentre si aggrappa al braccio dell’uomo in divisa. Sorride mentre con un salto si guadagna la terra ferma. Scruta l’orizzonte e sembra non accorgersi del buio. Butta il cuore oltre gli ostacoli che intuisce senza vedere e sorride. Un sorriso pieno di speranza che illumina il viso tondo incorniciato dal velo. Mi verrebbe voglia di abbracciarla e risarcirla preventivamente per tutte quelle volte in cui il sorriso diventerà una smorfia mentre altre mani si affretteranno a respingerla, altre voci ad umiliarla. Invece mi godo lo spettacolo inconsueto del suo sorriso disarmante. Stai in campana - mi verrebbe da dire, anticipando ansie - che qui c’è gente che ingoia lamette e bulloni, che incendia e protesta, sballottata da un posto all’altro senza nessuna risposta, che vive ai limiti della sopravvivenza e con la sola prospettiva di ritornare là da dove è scappata. Attenta! Vorrei avvisarla, preventivando timori, invece mi arrendo e sorrido anch’io. Ci sarà un tempo per i problemi e un tempo per la disperazione ma oggi Malika è felice. È arrivata nella terra promessa. È arrivata viva. I crampi alla pancia, l’arsura nella gola, il tremore che l’ha scossa per tutto il viaggio, il terrore di non farcela, la paura d’incontrare gli sguardi di altri corpi affamati, assetati, stremati. È tutto finito. Le hanno dato da bere e da mangiare, una coperta per il freddo e una medicina. Qualcuno le ha teso una mano e lei ha fatto un salto facendo scricchiolare il barcone scassato sotto i suoi piedi. Adesso sorride e guarda oltre il finestrino seduta su un autobus che la porterà chissà dove insieme ai suoi compagni di viaggio. Li vedo allontanarsi e mi chiedo: quand’è che abbiamo smesso di chiamarli col loro nome? Quand’è che sono diventati clandestini, profughi, migranti, marocchini, tunisini, neri e hanno smesso di essere persone?
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