'BIAGIO' DI SCIMECA AL FESTIVAL DEL FILM DI ROMA

'Biagio', un nuovo film di Pasquale Scimeca sulla storia del missionario palermitano Biagio Conte sara' presentato al Festival Internazionale del Film di Roma all'Auditorium Parco della Musica al 16 al 25 ottobre. Nel cast, Marcello Mazzarella, Vincenzo Albanese, Renato Lenzi, Omar Noto, Doriana La Fauci, Silvia Francese. Questo e' il trailer della pellicola.

Daniele Moretto per il periodico agrigentino Fuorivista (non piu' pubblicato dal 2005) ha incontrato Fra' Biagio undici anni fa. Di seguito riportiamo l'articolo.

 

 

CONVERSAZIONE CON BIAGIO CONTE di Daniele Moretto

Palermo, 18 gennaio 2003

[img:01 align=center title=bottom]L'appuntamento e' all'ex-caserma aeronautica di Via Oreto, un luogo non facilmente descrivibile, anche perche' la sua funzione odierna e' l'esatto contrario di quella antica. Si resta sorpresi: potrebbe anche essere il set di un film, genere bellico, la scena di un luogo bombardato e abbandonato. Ha atteso trent'anni prima di essere riabitato e riabilitato. Ci arrivo, insieme all'amica Mariella (alla quale ho chiesto di riprendere l'incontro) in un pomeriggio plumbeo. Freddumido. Bianchennero. Grandi capannoni ancora scoperchiati, baracche e roulottes, una e' l'''ufficio'' e fors'anche l'alloggio di Biagio. L'unica cosa nuova e' il cancello verde dell'entrata, che contrasta sia con l'interno sia con l'esterno, il quartiere della Guadagna, immerso nel degrado, vicino al fiume Oreto abbandonato, che dire fiume in verita' e' gia' troppo, un rigagnolo pieno di rifiuti, ma pure con qualche miracoloso orto alle sponde.

Nei pressi, bambini del sotto-proletariato, se cosi' si puo' definire la gente piu' povera della citta', bambini "terribili" e dolcissimi, che cercano magari tra i rifiuti e il tanfo appena la' dietro il ponte della ferrovia. Alcuni li ho visti, la volta scorsa, qui alla Missione "pretendere" dei dolciumi da Biagio che gliene ha riempite le mani e li ha licenziati dicendo: "Fate i bravi, se potete".
Mariella, presa dal racconto e dal carisma di Biagio, solo parzialmente fara' delle riprese. Biagio e' pressato da mille richieste dei suoi e dei tanti che vengono in visita, in que'stua o in contribuzione. L'intervista deve necessariamente svolgersi in un gelido enorme capannone che e' ora la chiesa della comunita', un grande crocifisso sospeso. Biagio porta i sandali ed io, intirizzito, penso: "Ma come fa?".

Noi ci siamo conosciuti in via Archirafi. Da quanto tempo sei qua?
Siamo qui da quasi un anno, in questa nuova speranza, perche' non c'era piu' lo spazio per accogliere i tanti, tanti fratelli che ogni giorno bussano al cancello della prima casa di accoglienza. Lo spazio di via Archirafi puo' accogliere 80 persone mentre fino all'anno scorso ce ne stavano piu' di 170. Una situazione impossibile: dormivano nei sotto-scala, nei corridoi...
(Biagio si ferma, distratto da due cani che giocano nel padiglione, due randagi che Biagio ha preso con se' chiamandoli Speranza e Liberta').

Chi e' Biagio Conte?
Fratel Biagio, una persona come tutte le altre. Da laico che ero, ora vivo da frate.

Che tipo di frate?
Molto vicino ai Francescani.

Hai fondato un nuovo ordine?
Ancora e' presto. Questa e' una cosa che dovra' maturare nel tempo.

Come lo chiameresti, o chiamerai?
Questa e' la Missione di Speranza e Carita', quindi prenderemo il nome di "Missionari della Speranza e della Carita'", cosi' ci definiamo.

Torniamo alla domanda iniziale. Chi sei?
Io vengo da questa realta', sono cresciuto in questo contesto sociale.

Sei di Monreale, mi pare.
No, sono nato a Palermo, poi ho vissuto un periodo vicino Monreale.

In che via di Palermo sei nato?
In via del Fervore. (ridiamo tutti)

Dov'e'?
Piazza Virgilio... via Sammartino-angolo via Dante. Nasco non solo nel centro della citta' ma anche tra i problemi centrali della citta', anche se vivevo nella parte che si puo' dire "bene".

Famiglia borghese o che altro?
Diciamo ceto medio-alto. Non mi mancava niente. Unico figlio maschio (ho due sorelle) mio padre mi voleva nell'imprenditoria, aveva progettato tutto, ma io l'ho deluso, lui di mentalita' meridionale, all'antica, puntava tutto su suo figlio... Come tutti andavo a scuola, avevo i miei progetti, pensavo a tante belle cose e vedevo la societa' che sembrava tutta bella e perfetta, ma pian piano mi accorgevo che qualcosa non andava. Crescendo, guardandomi intorno, nei quartieri, nelle strade, vedevo chi non aveva nemmeno la casa, vedevo i bambini giocare in mezzo all'immondizia, sporchi, senza scarpe, vedevo chi dormiva alla stazione, poi tornavo a casa e mi rendevo conto d'avere tutto mentre loro neanche il poco.. . Allora non mi davo pace, chiedevo a tutti e aspettavo risposte, ma la risposta era sempre la stessa. Giustificandosi: "Ma i poveri ci sono sempre stati, li stai scoprendo adesso?". "E' vero, ma dobbiamo aiutarli!", dicevo. La risposta, quella vera, non arrivava, allora la sera scrivevo dei cartelloni e l'indomani andavo a protestare davanti al Comune e ai palazzi dei potenti. E mi prendevano per pazzo, per illuso: "Fatti i fatti tuoi", "Chiudi gli occhi e vai avanti", "Che vuoi cambiare il mondo tu solo?". Mi son sentito solo, in una citta' dove pensi di avere tutto: palazzi, cemento, benessere, consumismo, industrializzazione, militarizzazione... tutte cose che mi sembrava potessero darmi sicurezza e futuro, invece quando ho visto questa indifferenza, quest'egoismo, non ho accettato, non ho condiviso questa societa' che corre e che insegue tutte le tappe ma dimentica la cosa piu' importante: il suo stesso simile, il fratello. L'umano che viene lasciato a se' stesso perche' ritenuto peso-rifiuto-scarto, perche' povero, perche' disagiato, perche' ha perso il lavoro, perche' ha perso la casa. Non ho condiviso. L'uomo m'aveva deluso, ferito. Allora ho cercato altrove, ma non avevo piu' forze, m'ero chiuso in me stesso, non volevo piu' uscire dalla mia stanza. Scrivevo, meditavo, ma vedevo che il mondo non era come avrei desiderato. Egoistico. Non l'ho accettato. Allora ho chiesto aiuto a Dio. L'avevo trascurato; si', avevo vissuto la mia infanzia da cristiano, da battezzato, ma poi avevo perso anche il dovere (il fervore...) dell'invocazione, di praticare il Signore.

Mi stai dicendo che non e' stata una "chiamata" e poi una scelta operativa, prima nasce l'istinto sociale...
Nel contesto della citta'.

... e dopo viene la chiamata religiosa. Anzi tu dici: "Ho chiesto aiuto a Dio"; tu hai chiamato Dio, non Dio te!
Bravo! Io ho chiesto aiuto a Dio. Ma Dio preparava, perche' poi mi sono reso conto, e' questa la cosa sconvolgente, che tutto questo l'aveva preparato. Ora, questo e' un campo un pochettino delicato... ma io ho chiesto aiuto al Signore.

A volte osservandoti, o pensando alla tua figura, penso ai "predestinati", e penso a qualcuno che non ha veramente un passato ma solo un presente. Questo presente, questo "qui ed ora" tu lo hai chiamato "Speranza e Carita'". A rigore si dovrebbe dire Carita' e Speranza, perche' la prima, la carita', qui e' certa; e la seconda?
Noi possiamo fare la carita', ma se non parte dal cuore e' carita' esteriore. Non e' un optional, non e' un hobby. La carita', cioe' fare il bene, non e' qualcosa per cui, poi, sento d'essermi un attimino liberato la coscienza, ma e' l'aver compreso prima te stesso, amato te stesso; ed amare gli altri significa cominciare a sperare di vivere nella carita', nel bene. Devi prima nutrirti tu di speranza: se tu non speri nella vita puoi fare solo una carita' spicciola.

Quando tu hai chiamato Dio, per intenderci, eri senza speranza? Avevi dentro la carita' sicuramente, avevi dentro il fervore (perche' sei nato in Via del Fervore), ma quando hai chiamato Dio, eri un po' disperato?
Si', ma perche' non doveva essere una cosa meccanica, una cosa che si fa per aver merito dalla societa', no, la devo fare a prescindere da tutto, perche' Dio ci ha dato un cuore, anche, a prescindere da chi crede e chi non crede; infatti io vivo bene con tutti. Ho avuto la mia crisi esistenziale, ho cercato, ho cominciato a chiedermi: "perche' esistiamo" perche' ci siamo? Allora c'e' qualcosa di piu' grande di noi?". E ho fatto una ricerca anche nel campo delle religioni. Bene, se io non fossi andato in crisi, se non avessi avuto difficolta', non avrei scoperto il significato della vita, credimi. Io prima avevo tutto, stavo nell'agiatezza e non capivo veramente la sofferenza degli altri, anche se cominciavo ad aprire gli occhi, e mi chiedevo: "Cosa succede? perche' io sto bene e gli altri no? perche' io devo avere e gli altri no?". Inoltre, vedevo il terzo mondo, i bambini e tutte queste cose mi ferivano. Quindi ho cominciato a pensare: "C'e' chi crede e chi non crede, religioni, ideologie diverse, etc. Voglio capire". Pur essendo battezzato, ho avuto un momento di crisi, perche' Dio lo cercavo solo quando ero in difficolta' o quando c'era un matrimonio, un battesimo, una cosa tecnica. Allora ho cercato: religioni, ideologie, ho scavato ma non ho trovato nulla che mi facesse dire: "Ecco una risposta". Tornavo sempre al punto di partenza, l'unico Dio. Ero convinto, pero' ancora non l'avevo sposato in pieno. A quel punto gli ho chiesto aiuto: "Dio, il mondo mi ha deluso, l'uomo non sa darmi una risposta, aiutami, non abbandonarmi, se ci sei dammi una risposta".

E cosa ha fatto Dio?
Ha sconvolto la mia vita!

Come?
Il 5 maggio del 1990 ho lasciato tutto; piu' che decidere, sentivo di lasciare tutto! Una notte andai via di casa, lasciai tutto...

Che significa: piu' che decidere "sentivo"?
Sentivo una forza che veniva dal di fuori.

E quindi la chiamata, ovvero la risposta di Dio che e' la chiamata!
Avevo toccato il fondo. Pensavo che il mondo fosse tutto male.

Quando hai lasciato tutto, cosa hai sentito?
Una grande liberazione! Ed una grande forza, sebbene non avessi piu' niente, perche' sono andato a vivere nelle montagne.

Dove, a Monreale?
Si', ho vissuto un lungo periodo di deserto.

Diventasti un eremita!
Beh, ho fatto una purificazione anche di me stesso - e poi ho cominciato a vivere la vera pace, la vera serenita'. Prima avevo tutto ma ero infelice, ero triste perche' vedevo le ingiustizie e i problemi del mondo. Nelle montagne ho cominciato invece a nutrirmi di silenzio, di pace, quel senso di pace vera, di liberta'... per questo ho chiamato Liberta' il cagnolino che ho salvato durante il lungo viaggio. Cominciavo a vivere la vera liberta', a sentire la vera pace. La natura mi ha ridato la vita; la natura, ma Dio! Ringrazio Dio, perche' lui poi mi ha guidato: com'e' che potevo vivere in mezzo alle montagne? Come puo' sopravvivere una persona abituata ad avere tutto fino a ventisei anni: gli amici, la comitiva, me ne andavo in pizzeria, a ballare... e poi si ritrova a vivere di elemosina. Si', perche', poi ho chiesto aiuto, man mano, ero ridotto male, ho chiesto aiuto a pastori, a contadini, chi mi dava il formaggio, chi il pane, chi mi mandava via, dipende, e cosi' per tutto il lungo viaggio che mi ha portato ad attraversare l'Italia, Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania, Lazio ed Umbria, per arrivare ad Assisi, da San Francesco - io sono folle di San Francesco.

Anche a me piace molto.
Guardate, per me nato a Palermo, meridionale, con San Francesco c'e' una distanza considerevole, tre quarti dell'Italia per arrivare ad Assisi. Avevo solo sentito parlare di lui, dai miei, dalla scuola, ma non avevo mai avuto esperienza e desideravo andare ad Assisi. Il periodo di silenzio dura un paio di mesi, il momento piu' duro, isolato dagli uomini. Poi ho vissuto con un pastore di pecore che mi ha aiutato, mi ha rimesso su, e ho fatto anch'io il pastore, un mestiere che non avevo mai fatto nella mia vita, essendo nato in citta'.

Cosa facevi nei due mesi di silenzio? Hai imparato una meditazione particolare?
Cominciavo a capire il vero significato della vita! La cosa che piu' mi ha sconvolto e' stata la presenza di Dio che mi dava la forza per continuare, il fatto che pur non avendo nulla mi nutrivo di uno spirito diverso! Il materialismo mi aveva affogato, ecco che invece la spiritualita', la presenza di Dio mi veniva incontro in tanti modi, in tante situazioni. Non e' facile spiegarlo: e' uno dei momenti piu' delicati del cammino. Ripeto, quando chiedevo aiuto alcuni potevano anche chiudermi la porta in faccia mentre invece c'era chi sembrava fosse li' ad aspettare di darmi una mano. E' stato un viaggio di un anno e due mesi fuori di casa, mi cerco' persino "Chi l'ha visto?" perche' i miei genitori non si rassegnavano. Tante persone li convinsero a rivolgersi a quel programma. Fu un putiferio, tre puntate...

Quindi: due mesi di assoluto silenzio in montagna, senza contatti con nessuno...
Completamente!

... e poi un anno...
Si', non davo notizie, vivevo nelle montagne all'interno della Sicilia.

E loro ti cercavano.
Si'.

Infine il viaggio fino ad Assisi.
Esatto.

Quando sei tornato eri un uomo nuovo!
Si', l'arrivo ad Assisi e' stato un momento di grande emozione perche' proprio nei luoghi in cui San Francesco ha dedicato la vita ai poveri, agli ultimi, mi ha toccato ancor piu' profondamente.

C'ha messo il timbro!
Si', li' ho preso la decisione di vivere la mia vita da missionario; c'era gia' nel mio cuore ma li' ho deciso definitivamente. Pero' volevo andare in Africa e in India, non volevo piu' tornare a Palermo!

Ah, missionario veramente!
Si', si'. Andare dove sentivo che c'era piu' da fare e sapendo che qui, pur volendo fare, non potevi fare! Questo mi ha sempre colpito: nelle metropoli, con la tecnologia e la modernita', dove c'e' tanto per poter aiutare, non si fa niente. Non ho mai condiviso questa cosa. Ma poi una citta' impossibile, con tante sofferenze, con tanti problemi, quando volevi fare non potevi fare, per tutte queste cose non volevo piu' tornare a Palermo.

Io pensavo invece che tu avevi fatto questo ragionamento: "Tutti fanno i missionari fuori, io rimango qui". Invece anche tu volevi andare; ma allora che e' successo dopo?
Questo lo devi vedere dal lato umano. Io volevo andare in Africa e in India, si', pero' Dio preparava di tornare qui.

Si', ma dev'essere accaduto qualcosa di specifico e di speciale per farti cambiare idea. Cosa?
Solo che in quel momento Dio mi ha detto: "Tu hai sempre voluto dedicarti alla tua citta', hai sempre voluto fare qualcosa per i piu' deboli...". Tornai dai miei per salutarli. Mio padre pensava: "Gli e' passato questo pallino a mio figlio...".

Non ha capito.
Non ha accettato. Mia madre si'. Li abbracciai e dissi loro che la sera stessa sarei andato a vivere alla stazione per aiutare quelli che la societa' ha dimenticato.

La faccia di tuo padre me la immagino...
No, mio padre ando' su tutte le furie: "Mio figlio e' impazzito!". Mia madre invece ha capito e m'e' stata vicino: "Facci sapere dove vai e fatti vedere".

Quanto tempo c'e' voluto perche' tuo padre cambiasse idea?
Beh, dobbiamo pregare, perche' lui non ha ancora tota!mente accettato. La mamma sta facendo tanto, anche opera di convincimento. Papa' aveva fatto dei progetti su di me...

Va bene, ma ora ha capito che sei un grande uomo di questa citta' o no?
Si', da un lato ha un certo orgoglio, d'altra parte non vuole che mia madre venga perche' questi fratelli mi hanno portato via, gli hanno tolto suo figlio. C'e' una situazione di crisi. Il papa' di san Francesco e' stato severo... Quando mi chiedono: "Ma i tuoi genitori?" io rispondo: "Il papa' di san Francesco e' stato severo, ma mio padre manco scherza!" (ridiamo)

Sei piu' solo o meno solo rispetto agli inizi?
No, sono molto meno solo...

Dico rispetto a Palermo. Come uomo e' chiaro che sei cresciuto, e' ovvio.
Da quando vivo il cammino, questo cammino di fede e di speranza, solo non mi sento piu', anche se la societa' dovrebbe fare i suoi passi, ma io non mi sento piu' solo perche' sento la presenza di Dio. Ma ho anche gli ultimi, i fratelli, che mi danno tanto, sebbene sia un impegno, un sacrificio enorme. Spero che anche la societa' cominci ad avvicinarsi a loro.

Bene. Finora abbiamo parlato di te. Adesso parliamo di "loro". Del resto e' un'intervista sull'emarginazione e quindi in un certo senso comincia adesso. Ricordero' sempre, quando venni a cercarti la prima volta, perche' anch'io ero in crisi, e mi facesti capire cos'era il tuo lavoro con la parola "accoglienza". "Questi fratelli, mi dicesti, devono essere accolti". La societa', quindi, si struttura, si difende, costruisce, fa, dice, programma, e poi in realta' non accoglie gli esseri umani. Il tuo lavoro e' dunque fare l'accoglitore, ti sei specializzato nell'accoglienza.
Quando tornai dal lungo viaggio, l'input fu Palermo, il ritorno in questa citta' dove non volevo piu' tornare...

perche' eri arrivato a odiarla, in qualche modo.
S'era creato un sentimento... anche se nel mio cuore c'e' sempre Palermo c'e' la Sicilia, e il mondo intero (anzi Dio mi ha dato modo di scoprire anche l'esterno per riscoprire poi questa parte principale della mia vita); dunque fu un ritorno importante, con una forza maggiore. Da quel momento ho scelto la strada, attenzione, non ho scelto la struttura, ho scelto la strada!

Vuoi dire che cominci senza nessunissima casa, nulla. Dove dormivi?
Per strada.

Facevi la loro vita! Ti sei completamente calato nella loro dimensione, hai dovuto capire la vita che facevano per poterli aiutare.
Ci siamo. Avevo lasciato tutto, totalmente; ma il mio cuore era vivere con loro, condividere con loro, alleviare la sofferenza in ogni angolo cui potevo arrivare. Quindi ho scelto la strada, ho scelto la stazione.

E che facevi concretamente? Parlavi con loro?
Si'. Lo sappiamo tutti che la stazione e' un luogo di riparo, l'unico riparo per tanti fratelli, soprattutto "i piu' ultimi": il barbone, l'abbandonato, l'emarginato comincia a ripararsi li'. Ed e' li' che e' iniziato l'impegno; prima sotto i portici, tra i vagoni e le sale d'aspetto, per aiutare loro, per farli sentire non piu' dimenticati, non piu' soli, ma fargli sentire che una parte almeno della societa' cominciava a dare attenzione. Per il momento cercavo di alleviare la sofferenza come potevo, con il latte caldo, the' caldo, panini, coperte...

Chiedevi l'elemosina?
Si'. Andavo nelle parrocchie...

Ah, nelle parrocchie!
...chi mi dava il latte, chi mi dava la pasta...

Quindi eri gia' operativo. Chi e' stato il primo che ti ha dato la prima cosa?
La prima cosa e' che io ho svaligiato un po' casa mia, i miei genitori! (altra risata). Non ebbi il coraggio di rivolgermi subito ai gruppi esterni. Poi mio padre se ne accorse - io gli portavo pure i fratelli a lavarsi in casa, di nascosto. Mia madre per il bene del figlio nascondeva, ma un giorno mio padre mi trovo' li' e mi disse: "Tu hai scelto di fare il missionario, non io!". E allora presi le mie cose, le calze, tutto quello che potevo prendere - e compresi che non potevo mettere in crisi i miei genitori, mio padre...

E' allora che nasce l'idea di una struttura?
No. Mi rivolgo alla mia parrocchia, San Giuseppe, ad Aquino, proprio dove ero andato a vivere, vicino Monreale.

Chi era il parroco? Puoi dirlo?
Posso anche dirlo: Padre Bellante.

E' stato generoso?
Si'; ed era stato in pensiero nel periodo in cui non davo notizie. Poi andai dai Cappuccini; chiedevo calze, pantaloni. Il giorno raccoglievo e la sera mi ritiravo alla stazione.

Tutto questo a piedi?
In un primo tempo a piedi. Poi sequestrai la "Cinquecento" di mia sorella! (risata fragorosa di tutti)

Prima tuo padre, poi tua sorella!
Ed era l'auto che mio padre aveva regalato a mia sorella, infatti ci fu pure 'sta situazione...

Insomma, bisogna spogliarsi, ma poi bisogna prendere.. .
Beh, era un asinello, e la sera ci facevo dormire i piu' anziani.

Il primo dormitorio!
Esatto. Li vedevo in una sofferenza tale... certo non potevo mettere tutti. Ma questo rapporto con loro, ripeto, era il primo momento, era vivere con loro. Ma quando poi ho visto come vivevano, come soffrivano, e ho saputo che alla stazione alle dieci o alle undici di sera li mettevano fuori, allora ho detto no, non e' giusto: "Voi, della stazione, autorita', sindaco, tutti, dovete rispondere a questo dramma. perche' non li volete? perche' se si riparano alla stazione vengono pure messi fuori?"

Quanto tempo sei stato in queste condizioni, per strada?
Un anno buono.

Quanti anni avevi?
Ventisette-ventott'anni.

Ti posso fare una domanda spaventosa? Ma ce l'avevi la ragazza, prima di andartene, prima di lasciare tutto? (Biagio sorride e fa cenno di si'). C'avrei giurato. perche' sei anche un bell'uomo, dovevi essere un ragazzo messo bene, insomma... E come si chiama? (Non vuole rispondere) Vabbe', lasciamo perdere. L'hai "ammazzata" praticamente.
Beh, e' stato un momento cosi'... che poi abbiamo chiarito, abbiamo cercato di... no, non la lasciai di colpo, ma, ripeto, c'erano tante cose che, poi mi rendevo conto, erano impedite. Anch'io mi chiedevo: "Ma perche' non mi devo sposare?"

Te lo sei spiegato?
Dio preparava, aveva un disegno.

Un sacrificio.
Dovevo rinunciare, perche' era quella la chiamata. E poi il mio cuore era questo, voler dedicare. E allora non potevo perdere o disperdere le mie forze, le mie energie.

Come si chiama il primo fratello che hai aiutato? La prima volta che ti ha detto il suo nome.
Bravo, perche' io non andavo li' alla stazione e chiedevo "Chi sei, da dove vieni, che cosa hai fatto, perche' ti trovi qua, etc.". No, assolutamente, andavo in punta di piedi: "Ciao, come stai? Hai bisogno di aiuto? Se vuoi, me lo chiedi, domani eventualmente, passo di nuovo e te lo porto". Lui mi guardava... Il primo e' stato Andrea.

Quanto tempo c'e' voluto per avere un nome?
Dici bene. perche' il nome poi l'ho saputo ma c'e' voluto tempo, perche' loro ora non hanno piu' fiducia nella societa'. Si sono chiusi in se' stessi e hanno paura di tutti.

Prima devi togliere i muri e poi...
Bravo. Loro vedevano che io mi presentavo come amico, come fratello (nella comunita' ci chiamiamo tutti "fratelli" e "sorelle", non e' che diamo del "lei" o teniamo le distanze, ci diamo del "tu", con modo, educazione, e soprattutto con rispetto, questa e' la cosa piu' importante). E lentamente cominciavano ad aprirsi.

E il primo e' stato Andrea.
Si', Andrea. Aveva un cane come compagno. Mi ha colpito, sai? Piccoletto, buono. Un disastro di poverta', di famiglia, di tutto. Una realta' palermitana. Poi c'e' stato Vito, Vituccio. Anche lui, una storia...! Poi c'e' stata Giovanna, Pietro, e tanti altri - guarda, non si finira' mai di parlare... perche' poi li trovavo negli angoli, all'interno [della citta'], cominciavo a vedere, ad accorgermi. La citta' non si accorgeva, la citta' non li vede. Io invece cominciai a vivere li' e a rendermi conto di quanti siano: cinque, dieci, venti... impressionante! Da li' si instaura man mano un rapporto molto bello - e quando cominciavano a vedermi come un amico, come un fratello, acquistavano fiducia e mi dicevano: "Biagio, anch'io vorrei una casa, un tetto, vedi cosa puoi fare". Io, che avevo scelto di vivere con loro e non pensavo alle strutture, quando vidi che me li cacciavano dalla stazione, allora dissi No, le autorita' si devono muovere, devono dare una risposta, non possono rimanere a guardare.

E diventi guerriero, soldato!
Soldato di Dio. Da quel momento ho chiamato i diritti, non per me.

E nasce cosi' la struttura che c'e' adesso?
Chiesi dei capannoni, pensai che avevano tanti di quei capannoni chiusi, inutilizzati.

Dove?
Alle ferrovie, alla fiera...

Qual e' stata la prima struttura che ti e' stata data?
La prima che ho segnalato e' stata questa - e' storia! Quando mi risposero: "A Palermo non ci sono strutture per l'accoglienza", io dissi: "No, cerchiamo strutture abbandonate. Voi dite che non ce ne sono? allora le creiamo". Mi misi a girare in questa zona e la prima struttura abbandonata che ho visto e' stata questa. La fotografai e la segnalai alle autorita'.

Ma non se ne fece nulla.
Non avevo voce in capitolo! "Che cosa? Questa struttura? La diamo a chi, ad un folle?". Intanto vidi via Archirafi, anche qui una struttura chiusa da trent'anni.

Un piccolo passo indietro. Nel periodo in cui vivi alla stazione, in che modo la citta' comincia a rispondere?
Lentamente cominciavano a muoversi i volontari, lentamente.

Il nome del primo volontario lo ricordi?
E' stato uno scout, che veniva a darmi una mano al di fuori degli scout. Poi un gruppo di studenti universitari che non erano di Palermo.

Il nome dello scout lo ricordi?
Salvatore.

Quanti erano nel '91 e quanti sono adesso? In una citta' come Palermo, voglio dire, di circa un milione di abitanti, quanti homeless ci sono, grosso modo?
Bisogna dire in generale, perche' ora c'e' il disoccupato...

L'extra-comunitario...
... lo straniero, eccetera. C'e' stata comunque un'impennata allucinante!

Quindi il fenomeno cresce?
Altro che, se cresce! Soprattutto gli arrivi dei fratelli stranieri con i barconi: e' una cosa impressionante, perche' vengono emarginati e poi loro si abbandonano come barboni. Questo avviene qui come in tutta Italia.

Chi sono? Che soggetti sono?
Il cosiddetto "barbone", come suole definirlo la societa', non e' altro che una persona, un fratello come noi, ed e' frutto di questa societa' ed e' parte di questa societa'. E' frutto ed e', comunque, parte; quindi non puo' essere uno diverso da noi. Non e' un marziano, e' un fratello. La prima cosa e' capire chi e' il fratello barbone: e' una persona come noi, nato e cresciuto in questa stessa societa', solo con problematiche un po' diverse, magari una famiglia che non gli ha dato tutto [quello di cui aveva bisogno], che soprattutto non gli ha dato amore e affetto. Ecco loro si scoprono "mancanti" di amore e di affetto. Allora noi dobbiamo fare un passo indietro, all'infanzia, e ci accorgiamo che i fattori visibili adesso esistono gia' nell'infanzia: un trauma, una famiglia che si separa o che non c'e' piu', un lavoro in cui sperava che invece non e' arrivato...

Dunque, non necessariamente di origine sociale "bassa", sono anzi forse ancor piu' le famiglie della piccola e media borghesia, pero' dove ci sono problemi, e' cosi'?
Cosa si scopre? Che il barbone non e' solo il povero-povero; c'e' anche il meno povero e persino il ricco. Questa e' la cosa sconvolgente! Allora, perche' in questa societa' non dobbiamo dare attenzione a chi si puo' ritrovare solo, abbandonato o gli e' crollato improvvisamente tutto: e puo' essere uno qualsiasi di noi perche', abbiamo visto, puo' essere povero/meno povero/ricco. Incontriamo anche chi aveva tutto e ora e' per strada.

Non vorrei farti passare per l'accusatore o per il grande conoscitore della citta', come se tu assumessi un ruolo: "Io la conosco bene"; ma che cos'e' Palermo?
(I cani lo distraggono di nuovo, o gli danno una pausa: parliamo gia' da oltre un'ora). Che facciamo, Speranza?.. Vedi, qui vengono accolti anche gli animali: cani, colombe, gatti... e poi vivono tutti insieme: i gatti non toccano le colombe, i cani non toccano i gatti, cosi'. Bisogna riscoprire il vero significato della vita e il rispetto della natura, di tutte queste creature meravigliose che Dio ci ha dato. San Francesco amava gli animali, le piante e tutti l'han preso per pazzo. Ma questa societa' che cosa deve guardare? Le cose che ci portano invece lontano, nella strada sbagliata, quando invece noi abbiamo le testimonianze? Io ho voluto vivere testimonianze vere, testimonianze di uomini... e in particolare Nostro Signore, ecco, Gesu' Cristo s'e' fatto uomo, e' venuto in mezzo a noi, a prescindere da chi crede e chi non crede, ma e' venuto in mezzo a noi per aiutare gli ultimi, i mediocri e i primi. E' venuto per tutti. Come mai la figura di quest'uomo, come lo vuol definire chi non crede (del resto lo dobbiamo datare, c'e' un luogo, il periodo romano, Cesare, Pilato, ma com'e' che quelli li riconosciamo e la figura di Gesu' no?) un uomo che ha dato se' stesso, un uomo buono, che si e' dedicato ai piu' deboli, come mai non lo si vede come figura importante, primaria, nella nostra societa'? Ora ci sono tante altre cose, ora siamo moderni... Dunque, ho scelto queste figure e soprattutto il sacrificio di Nostro Signore, di San Francesco, di Maria Teresa di Calcutta, di tanti che si sono dati. Questi sono i veri donatori, i veri che accolgono, i veri che si donano. La speranza dunque e' Dio, la speranza e' il povero, la speranza e' con loro. Bisogna creare un mondo migliore partendo da questi principi, che sono principi di amore, di pace, di fratellanza. Quando andai via di casa, ero stanco di sentir parlare, ero stanco di chiacchere, di promesse. Il nostro motto, nella comunita', e' "Sbra'cciati e datti da fare", non si puo' solo parlare, dialogare, promettere, progettare - ma cominciare a fare.

Adesso quanti siete? la tua struttura com'e' formata? sei tu, con chi?
Ecco, non sono piu' solo: con me c'e' Don Pino, un salesiano che vive con noi da dieci anni. Questo e' un segno, un segno grande, perche' si sposano qui due spiriti, il francescano e il salesiano.

E quindi il lavoro, anche. Stai pensando di avviare o hai gia' avviato delle attivita'?
Si, gia' abbiamo attivita' lavorative! La comunita' non e' solo accoglienza, mangiare e dormire, ma anche cominciare a dare dignita' e aiutare a reinserirsi nella societa' con un mestiere. Allora tutti loro si danno da fare: chi fa le pulizie, chi cucina, chi fa il muratore, il pittore, il magazziniere, loro fanno tutto.

Quanti ne hai "salvati", recuperati?
Guarda, nella storia del cammino della Missione sono tanti, tanti, tanti; e tanti sono reinseriti nella societa', tanti sono tornati dai familiari o dai loro figli, dalla moglie. O altri, che erano soli o non hanno piu' nessuno, ora hanno un monolocale. Alcuni tornano periodicamente da noi avendo ancora un cordone ombelicale con la Missione, altri direttamente hanno trovato un lavoro, abbiamo trovato una ditta o una sistemazione, una situazione in cui si autogestiscono. Tanti altri sono partiti per il Nord ed ora sono sistemati, si sono sposati...

E' sufficiente far capire loro che c'e' la possibilita' di essere accolti o c'e' anche un processo spirituale in loro?
Prima avviene quello materiale. E bisogna valutare se veramente sia compatibile con la realta' della Missione; per esempio, un giovane che sia andato via di casa pur avendo tutto, non lo faccio subito venire qua, non puo', non posso legarlo ad una realta' come questa. Se ci sono le condizioni per cui puo' ritornare deve ritornare [a casa]. Se invece vediamo che non ha proprio dove andare, se insomma viene emarginato da tutti, allora scatta l'accoglienza, lo teniamo per un periodo, ma lo aiutiamo a rientrare subito nella societa'. I giovani li reinserisco prima, questo e' chiaro.

La storia piu' bella e la storia piu' brutta.
La storia piu' bella e' quella del fratello Andrea.

Il primo.
Il primo, si'.

Che eta' aveva?
Sembrava averne ottanta per come era ridotto, e aveva appena 52 anni. Una cosa che mi ha colpito e' l'invecchiamento, in loro.

Il deterioramento.
Si', si'. Infatti non riuscivo ad orientarmi, i primi tempi, rispetto all'eta'. Poi scoprivo che erano ancora giovani ma ridotti in condizioni di sofferenza, di rughe, di abbandono, che invecchia fortemente l'uomo, lo distrugge: il freddo, tutta la situazione... E Andrea mi colpi' - questa storia non potro' mai dimenticarla - perche' una sera, mentre cerco di sistemarli tutti - con il cartone non piu' a terra: una coperta sotto e una sopra, nel porticato della stazione, li radunavo tutti insieme - mentre passavo di notte a controllare se erano tranquilli, vedo uno di loro che piange. Era Andrea. Lo sentii singhiozzare e allora mi chinai: "Cos'e' successo?" Pensavo a qualche problema verificatosi durante la giornata, magari tra di loro. Invece lui mi dice: "Ho perso tutto, non ho piu' nessuno. Ho perso la mia famiglia, i miei cari, la casa, ora mi ritrovo solo - pero' questa coperta mi sta riscaldando, mi da' forza". Era sofferente, era triste, dolorante, pero' vedeva quest'attenzione di chi gli stava dando una mano e mi disse che desiderava una casa, un tetto. Da li' nacque un travaglio che ha portato a tutto questo.

Dov'e' Andrea, adesso?
Andrea non c'e' piu'. Andrea e' morto, ma e' morto in via Archirafi, in un letto, in un lenzuolo, non piu' per strada, non piu' dimenticato, senza nome, senza niente.

Quindi e' rimasto con te fino a quando?
Nel '93 e' entrato in Via Archirafi dalla stazione... e' stato quattro anni con me. Ormai le sue sofferenze erano tali, ha avuto un male che se l'e' portato via. Aveva il problema di nascondersi... dimenticava con l'alcool e c'e' stato un problema serio. Pero' e' morto in pace, con la luce negli occhi. Non nell'agiatezza, ma in un letto, in un riparo.

Ed e' morto, comunque, cristianamente.
Esatto. E' morto con Dio, avendo accanto Dio. Diceva sempre: "Io voglio bene a tutti, tutto il mondo". Nonostante tutto, riusciva a dire delle parole dolci ai bambini.

E' riuscito anche a dare una mano?
Si', a modo suo e' riuscito: difendeva la missione! Quelle mura le ha difese da ogni pericolo, si poneva proprio a difensore.

Oltre Don Pino chi c'e'?
Fratello Giovanni. Anche lui una colonna della Missione. Ha lasciato tutto: Viene da Menfi. Faceva parte del gruppo neo-catecumenale della sua parrocchia, era col gruppo giovanile, ma poi ha fatto un'esperienza con i deoniani, i missionari nel mondo, stava partendo per l'Africa...

Anche lui.
... invece alcuni suoi amici avevano sentito parlare di questa realta' che era allora ai primi passi dell'apertura di Via Archirafi, e disse: "Andiamo a conoscere questa realta'". Venne, e da allora e' rimasto in missione.

E poi?
E poi due giovanissime sorelle, sorella Mattia e sorella... che hanno lasciato tutto e sono ora responsabili della casa delle donne, in via Garibaldi.

Dove ci sono quante donne?
Il centro femminile e' nato perche' non potevano vivere insieme le due realta'. Ci avevamo provato, ma si rompevano gli equilibri. La convivenza era molto difficile, ma soprattutto abbiamo scoperto che alcune di queste donne hanno dei traumi legati alla figura maschile.

Qui e in via Archirafi sono tutti uomini?
Si'.

Percio' la presenza di Mariella e' un'eccezione. Vorrebbe fare la volontaria, cosa le puoi dire?
Beh, si', ma e' una situazione diversa. Per quanto riguarda la collaborazione, quella femminile va alla casa delle donne, quella maschile qui e in Via Archirafi.

Nelle varie sedi ci sono anche volontari, come funziona?
Certe mansioni come il cucinare e le pulizie e la gestione in genere e' degli stessi fratelli recuperati, mentre le mansioni piu' delicate: medici, infermieri, psicologi, insegnanti...

Anche gli insegnanti?
...si, volontari, tutto volontariato, nessuno e' retribuito. Il volontariato da noi e' puro. Inoltre abbiamo duecentosessanta volontari coi quali ogni notte, dal lunedi' alla domenica, sempre, andiamo per strada, un gruppo misto che fa la "missione notturna".

La cosiddetta "ronda".
No, missione. Ronda e' parola militare, potrebbe dare l'idea che andiamo come controllori o simili, no: missione. La missione, che e' nata per strada, si e' riparata si' sotto un tetto ma non ha certo dimenticato quelli che ancora vivono per strada. E infine ha fatto il gemellaggio con le missioni notturne (che sono chiamate "ronde") a Firenze e un po' in tutta l'Italia.

Le sorelle quante sono?
Trentanove o quaranta. Un piano e' dedicato alle singole donne ma e' nato anche un piano per le mamme e i bambini - perche' abbiamo trovato delle donne in stato incinte per strada, abbandonate, e da li' abbiamo cominciato ad accogliere anche loro, sono nati i bambini... ecco, puoi immaginare.

Nel tuo piccolo, o meglio nel tuo grande, hai messo in moto un meccanismo che muove parecchie persone di questa citta', no?
Si', ci sono anche i commercianti, le rosticcerie, le sale, e poi le scuole (le scuole fanno iniziative eccezionali), i singoli cittadini, i gruppi, le associazioni, le parrochie. Abbiamo parrocchie che si dedicano, si impegnano e prendono a cuore la missione. E la chiesa di Palermo che veramente guarda con grande attenzione la Missione. E le autorita'; ora possiamo dirlo perche' in questi ultimi anni hanno notato e hanno visto che anche loro possono dare una mano.

Al di la' degli schieramenti politici?
Si', perche' la rivalita' politica puo' danneggiare il fratello, il piu' debole. Invece, noi accogliamo tutti e accettiamo da tutti. Anche i fratelli accolti sono di varie religioni, ideologie, e perfino chi non crede. Allo stesso modo il volontario puo' essere di tutte le tipologie. Chi viene sa che qui c'e' un fratello da aiutare, al di la' del colore, della nazionalita', della religione.

Come vedi il mondo, anche alla luce delle ultime notizie?
Le ultime notizie, come quelle precedenti, ci vorrebbero rattristare, incutere paura, sconforto? Ma non possono fermare il grande significato della vita e il fatto che noi esistiamo. Dio ha fatto cose grandi e non puo' far distruggere il mondo. L'uomo si', ha la capacita' di distruggere se' stesso e l'umanita', ma Dio non lo permettera'.

Una domanda e' rimasta sospesa. La storia piu' bella l'hai raccontata; e quella piu' negativa che hai vissuto qui dentro?
Ci sono due versioni. Una e' quando vuoi aiutare un fratello e lui non si fa aiutare. Questa e' la realta' che mi ferisce: pur volendolo aiutare, quando lo incontriamo per strada, rifiuta magari l'accoglienza oppure quando cerchi di farlo reinserire nella societa', in un cammino nuovo, e trovi l'ostinazione nel chiudersi in se' stesso - e qui ovviamente ci sono quelle parti di trauma...

E l'altra versione?
E' l'indifferenza dell'umanita', dell'uomo moderno, tecnologico, di chi passa, corre, la scadenza, l'ufficio, il bar, ma c'e' quel fratello e lui non lo guarda neanche, non si gira a dargli un saluto, un sorriso e magari a lasciargli un panino, a dargli un cappotto, qualcosa per ripararsi. Questa e' la cosa che piu' mi ferisce, la cosa piu' brutta: l'indifferenza. L'indifferenza che ancora oggi uccide e la burocrazia, questi sono i nemici peggiori, che continuano ad uccidere il nostro stesso simile.

Questo articolo e' stato pubblicato su Fuorivista nel maggio 2003

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