IL “VIANDANTE” INCONTRA COLAPESCE di Rosario Zammuto

La Memoria dell’Acqua

Chi ha detto che i nostri amministratori non fanno il bene della Comunità? Essi sanno che i vizi privati sono pubbliche virtù. Almeno così sosteneva nel 1700 Mandeville nella sua “Favola delle Api”, “quando la virtú, istruita dalle malizie politiche, aveva appreso i mille felici raggiri dell’astuzia e…. anche i piú scellerati facevano qualcosa per il bene comune”. Nel frattempo, però il mondo è cambiato e l’aumento quantitativo di un “fenomeno” (siano essi fenomeni morali o fisici, come corruzione, terremoto, bomba, intelligenza artificiale, etc.) aumenta gli effetti qualitativi nel “paesaggio” in cui viviamo con le sue conseguenze spesso negative crescenti sull’Uomo e sulla Natura.

Nel nostro caso quando il settore Privato aumenta il suo peso rispetto al settore Pubblico, i principi applicati all’epoca della “Favola delle Api” non sono più validi. Oggi che l’acqua inizia a scarseggiare, anche a causa dei cambiamenti climatici che in Sicilia si sovrappongono a una gestione sconsiderata e piena di falle, ci siamo “svegliati” e protestiamo per le strade e davanti ai Comuni. O dovremmo andare davanti alle Regioni? O dovremmo andare davanti all’Impresa che gestisce il servizio? Pubblico che diventa Privato e Privato che si fa Pubblico. Confusione totale.

 

Vizi Privati e pubbliche virtù? Quando il Pubblico non viene divorato

Il Privato, sempre più esteso, sta divorando il Pubblico, sempre più incompetente, e si viene a perdere quell’equilibrio indispensabile che funzionava all’epoca di Mandeville (1700) che ci racconta la “Favola delle Api” dove attraverso i “vizi privati” si arrivava anche al benessere della comunità. I tempi però cambiano e oggi nessuno ci può raccontare “favole” perché attraverso i crescenti vizi privati stiamo uccidendo anche le Api e le “esternalità economiche”, termine inventato dall’Economia per indicare i disastri naturali, sono sempre di più.

Ad agosto presenteremo ad Aragona la raccolta di articoli “Restanti e Viandanti” all’evento dei Fuorisede organizzato da Giovanni Lorenzano del Movimento Giovanile Aragonese per parlare di spopolamento dei Paesi, articoli che si riferiscono al destino di una terra che, come diceva Goethe, è “la chiave di tutto” e “senza vedere la Sicilia non ci si può fare un’idea dell’Italia”; aggiungerei, se posso, che guardando la Sicilia ci si può fare meglio un’idea del Mondo. Per capire quanta verità, attualità e genialità ci sia nelle parole del grande poeta e scrittore tedesco basta fare un parallelo tra i problemi ecologici, ambientali e sociali del Pianeta Terra e quelli della Sicilia.

I problemi ecologici della Terra li conosciamo bene perché i Media e la Finanza non mancano di parlarne, i primi terrorizzando l’ascoltatore e i secondi tranquillizzandolo perché la Tecnica e il Denaro saranno in grado di risolvere tutti i problemi, a tutti i costi, a costo anche di cambiare il senso della nostra vita. I problemi ecologici della Sicilia ce li ha svelati, in tutta la loro tragicità, in maniera nuda, cruda ma nello stesso tempo appassionata Alan David Scifo nel suo libro “Se Colapesce si stancasse” che parla anche di inquinamento dell’aria che respiriamo e dove descrive i disastri ambientali che diverse Multinazionali hanno provocato al nostro territorio siciliano e alla nostra salute con le morti di cancro e/o le malformazioni sempre più diffuse, spesso con la connivenza di una Politica corrotta diventata un “comitato d’affari per la borghesia”. Le pagine più cariche di rabbia e, nello stesso tempo, di speranza del libro “Se Colapesce si stancasse” sono quelle dove viene descritta la battaglia di un prete, Don Palmiro di Augusta, che cerca in tutti i modi di riscattare la dignità di quei morti per cancro, battaglia che qualcuno vuole impedirgli di portare avanti. Don Palmiro non usa mezzi termini nel libro denuncia di Alan David Scifo: “i poteri forti sono scesi in campo per fermarmi e le azioni dei signori potenti pesano più della voce di un prete: bastano soldi per sponsorizzazioni, concerti, feste e festini per comprare tutti”.

Il Viandante/Restante incontra Colapesce

La nuova Etica del Viandante di cui parla Umberto Galimberti e una nuova antropologia per i Paesi di cui racconta Vito Teti nella Restanza, che ho approfondito nel libro/raccolta di articoli “Restanti e Viandanti”, cercano alla fine di addivenire a una morale che possa arginare i “poteri forti” di cui parla Don Palmiro nel racconto “Se Colapesce si stancasse” e che possa ridare un’anima alla Politica in modo che faccia da contrappeso allo strapotere di un sistema economico e alla forza di una “logica di mercato” che sta pervadendo tutti i settori, anche i servizi di pubblica utilità come la raccolta dei rifiuti e la distribuzione di un bene primario come l’acqua, logica che compra tutto con i soldi, anche l’acqua, anche l’aria che respiriamo, anche le persone, anche la Politica.

Il racconto del giornalista/scrittore aragonese usa il mito di Colapesce che sorregge la Sicilia, evitandole di affondare, che rappresenta tutti quelli che sfidano il Potere e che è il simbolo dei tanti eroi in carne ed ossa che resistono. Il racconto di A. D. Scifo conferma quanto da me descritto nel libro/raccolta Restanti e Viandanti: l’Età della Tecnica (intesa come sistema economico e relazionale con i suoi fondamenti morali) ha dimenticato anche i bisogni dell’Uomo dopo che l’Età dell’Antropocentrismo (che metteva al centro esclusivamente l’Uomo) aveva dimenticato le esigenze e il rispetto per la Natura.

Agrigento Capitale della Cultura. Sete di Cultura dove sei?

L’aria, l’acqua, la terra, il mare, i fiumi, tutta la Natura e, come la chiamiamo oggi, l’intera Biosfera (che comprende l’Uomo “mortale” che non è al centro dell’Universo) venivano, invece, rispettati dai Greci con la loro “etica del limite”, rispetto per la natura che oggi abbiamo purtroppo perso. Perché non parlare di questi temi in vista dell’evento del 2025 quando Agrigento sarà Capitale della Cultura, visto che è stata uno dei centri più floridi della Civiltà Greca? Perché aspettare i vari Comitati organizzatori che sembra stiano deludendo gli agrigentini e provocando, anche a causa della mancanza di acqua, la disdetta di tanti turisti e/o operatori turistici che hanno paura di morire di sete? La sete di acqua forse si può risolvere soddisfacendo la sete di cultura? Esiste ancora una sete di cultura o siamo già stati tutti privati di un pensiero meditante a favore del “pensiero che sa fare solo di calcolo” come già temeva Heidegger più di mezzo secolo fa?

Che ruolo può recitare Agrigento, l’antica Akragas, per la nascita di una nuova etica che salvaguardi il pensiero critico, le differenze culturali, le diversità razziali, di sesso, di religione, di cultura, di tradizioni, di biodiversità, diversità seriamente minacciate dalla Globalizzazione economica che misura tutto con un unico metro, la logica di mercato? Occorre discutere sul fatto e capire fino in fondo che il Mondo non è l’Italia, l’Italia non è la Sicilia, la Sicilia non è Aragona o Agrigento; il Belpaese ha caratteristiche peculiari in termini di tessuto economico, sociale, geografico, culturale, di risorse naturali che non possiamo buttare a mare per importare un modello di sviluppo globale standard che fa bene soltanto alle Multinazionali ma forse è meno adatto al nostro benessere economico e sociale. Questo il Viandante, che attraversa i Sentieri per fermarsi nei Paesi e conoscerli a fondo attraverso le loro Tradizioni differenti, lo sa molto bene, a differenza del “Viaggiatore” che ama passare le sue vacanze dentro i Villaggi Artificiali Turistici tutti uguali senza preoccuparsi di arricchire la propria esperienza se non di foto sempre uguali di un mare sempre blu o di un grattacielo sempre grigio o di una stanza di hotel sempre grande, persino più grande spesso dell’appartamento in cui il Viaggiatore vive in Città. Lo sa bene anche il Restante dei Paesi che resiste per fare leva su queste “differenze” che non vuole che si perdano ma che, purtroppo, il pensiero unico della Globalizzazione ci sta cancellando dalla Memoria; e quasi non ricordiamo più quando andavamo a riempire l’acqua da bere dalle tante “brivature” (abbeveratoi) sparse nel territorio agrigentino. Forse per questo motivo finiamo per protestare solo quando è troppo tardi perché oltre alle fontane ci stanno togliendo piano piano anche la Memoria. Freghiamocene dei Comitati che litigano tra di loro, scendiamo nelle piazze e riprendiamoci i nostri ricordi, la nostra memoria per cercare di ridare un senso alla nostra vita perché “non sappiamo da che cosa sia fatto, ma c’è, c’è, ce lo sentiamo tutti qua, come un’angoscia nella gola, il gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare, perché la vita, nell’atto stesso che la viviamo, è così sempre ingorda di sé stessa, che non si lascia assaporare. Il sapore è nel passato, che ci rimane vivo dentro. Il gusto della vita ci viene da lì, dai ricordi che ci tengono legati.” (Luigi Pirandello, L’uomo dal Fiore in Bocca).

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