LA RESTANZA, IL LAVORO E I GIOVANI di Rosario Zammuto
Perché siete in silenzio?
Per diversi motivi, il noto effetto di ri-popolamento dei paesi del Sud nei periodi di vacanze (tipicamente estivi) avviene con minore intensità rispetto al passato. Famiglie e amicizie nuove, impegni lavorativi e, non ultimo per importanza, motivazioni economiche, hanno ridotto il tasso di rientro nei paesi natali. In questo modo le case costruite con il sudore e i sacrifici dei genitori vengono lasciate al degrado graduale e, nella migliore delle ipotesi, svendute a chi resta o a qualche straniero che vuole trasferirsi dalle fredde terre nordiche in un “posto al sole”. Sono però casi piuttosto isolati.
Eppure, c’è chi ancora resiste e resta! Lo scrittore antropologo Vito Teti ha coniato il termine RESTANZA, entrato nel vocabolario dell’Accademia della Crusca, per riferirsi “all’atteggiamento di chi, nonostante le difficoltà e sulla spinta del desiderio, resta nella propria terra d’origine, con intenti propositivi e iniziative di rinnovamento”.
Restare o andare? Spesso la scelta è obbligata e allora la questione va affrontata da un altro punto di vista, un approccio nuovo e innovativo. Come mi piace dire sempre, si può “partire senza andare veramente via”. Andare via fisicamente oggi è una necessità: non è possibile impedire ai giovani la libertà di fare esperienze di modernità che la propria terra, occorre essere onesti, non è in grado di dare loro. Non è per questo possibile neanche usare la retorica “politica” di chi invita i giovani a restare e cercare una via di crescita in una terra che, nel complesso, non cresce. I flussi migratori non sono nuovi. Nuovo deve però essere l’approccio con cui si affrontano. Pur essendo passati tanti anni dalla mia partenza, l’atteggiamento rispetto ai flussi migratori del passato era già in parte nuovo, diverso da quando i nostri parenti, zii o nonni tornavano dal Nord per mostrare orgogliosamente l’auto nuova acquistata con tanti sacrifici o compravano un pezzo di terra su cui costruirsi la casa dove sognavano di tornare a godersi la pensione per abitare insieme con i propri figli. Pochi sono tornati indietro del tutto. Chi oggi pensa di tornare non ci crede più fino in fondo. E le case sono ancora lì, vuote e abbandonate.
I giovani devono “partire” pensando a un “nuovo” concetto di “ritorno”. Infatti, la restanza deve trasformarsi per darle un senso nuovo in un mondo nuovo, che è poi quello che racconta lo stesso Teti. La “restanza” deve essere aperta al mondo e intercettare “lo sguardo di chi sa coniugare la migliore tradizione meridionalistica con la "modernità". Lo sguardo si deve allargare al mondo, per non fare finta di non vedere chi è costretto a fuggire per le guerre, per la fame, per la crisi climatica, e non solo per cercare lavoro. La “restanza” non deve essere una contrapposizione tra chi resta e chi vuole andare; è, al contrario, un cercare di pensare insieme ai problemi del Sud che stanno diventando sempre più problemi del Mondo. Come dice Teti, occorre pensare “a chi arriva e cerca accoglienza, alle popolazioni palestinesi e israeliane, che vogliono restare, alle genti dell'Amazzonia che difendono, anche morendo, la loro foresta, la nostra foresta, l'intero pianeta”. In questo modo, secondo Teti, la “restanza" assume una valenza etica ed ecologica, oltre che retoricamente politica come nella versione narrata nello storytelling dei “Borghi” per soli turisti.
I Giovani devono elevare lo “sguardo”, portarlo oltre il bicchiere di “spritz”, più in là di “amici” o del “grande fratello”. Andare via con il fisico per fare esperienze formative ma “esserci” con il cuore e con la mente perché i problemi dei nostri Paesi sono anche, per molti versi, i problemi di Tunisi e, via i flussi emigratori, problemi di Monaco, di Amsterdam e dell’Europa intera.
Certo è che la “Restanza” è legata a doppio filo con il Lavoro. Senza lavoro o con un lavoro non dignitoso è sempre più facile partire e sempre più difficile tornare!
Il fatto è che non emigrano più solo le persone. Da tempo sono emigrate, senza più tornare, anche le leadership dirigenziali autentiche sia nel Pubblico sia nel Privato, sono partite l'onestà, la correttezza, la visione di un futuro sostenibile anche nel lavoro e, soprattutto, sono ormai lontane le speranze tradite che una volta venivano riposte nel Lavoro come base per costruire una Famiglia! Spero che la Restanza possa essere riferita anche al ritorno di questi valori, per cacciare via in maniera definitiva la micidiale attualità di aziende i cui “valori” salgono in Borsa attraverso il licenziamento delle persone e della loro dignità.
Mi chiedo come vivano il lavoro i Giovani che non hanno mai visto un contratto a tempo indeterminato, assuefatti ormai e rassegnati al lavoro interinale o alla Partita Iva. Giusto per chiarire, il problema non è la Partita Iva in sé ma il fatto di calarla in un mondo opportunista che ha dimenticato di valorizzare l’Uomo prima ancora delle quotazioni azionarie. Spero che i Giovani non si rassegnino a lavorare in un’azienda che, pur scoppiando di salute e facendo soldi “a palate”, avvia un piano di “ristrutturazione” aziendale lasciando senza lavoro, dall’oggi al domani, persone e famiglie che per 15 o 20 anni sono state fedeli ai “valori” dell’azienda e hanno creduto alle parole di chi faceva promesse di gloria con proclami ipocriti di benessere per tutti. Sono quelle stesse aziende che oggi professano la sostenibilità ESG e poi bistrattano senza alcun pudore quella “S” di Social riferita anche alla “dignità” del lavoro che ci stanno ipocritamente rubando.
“Dignità” è un termine che va rivalutato assegnandogli il significato nobile che merita. Invece, oggi negli Obiettivi di Sostenibilità dell’ONU per il 2030 la Crescita Economica viene abbinata a un “Lavoro Dignitoso”. Quando pensate a un “lavoro dignitoso” cosa vi viene in mente? Penso che a tutti appaia davanti un salario minimo, condizioni di lavoro accettabili, un minimo di diritti per le ferie e le malattie, insomma quelle condizioni lavorative minime che servirebbero quantomeno a ripristinare le condizioni di lavoro “umane” che abbiamo perso negli ultimi 20 anni. Quello che il sistema capitalistico sta facendo con gli Obiettivi Onu ESG (Enviromental, Social, Governance), e in particolare quelli “Social” della “S”, è strumentalizzare e rimediare, per quanto possibile e con una certa ipocrisia, al degrado lavorativo che ha portato alla perdita di quasi tutti i nostri diritti sociali e sindacali, facendoci credere che il Lavoro sia solo un dovere dimenticandosi che “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro”.
Credetemi nessuno si salva o si salverà in futuro da questa ipocrisia, sia i lavori con mansioni basse sia quelli di chi ha studiato tanti anni, ha lavorato con passione aggiornandosi e impegnando anche il proprio tempo libero per i “valori aziendali”, valori che però oggi vanno solo a rimpinguare gli stipendi degli amministratori delegati e ad aumentare il divario tra chi è sempre più povero e chi è sempre più ricco.
È un fenomeno mondiale. È giusto che se ne parli sempre di più e che si dia una nuova speranza ai giovani. A chi parte e, soprattutto, a chi resta. Ai Giovani chiedo: cosa fate per fermare tutto questo? Che speranze riponete nel vostro futuro lavorativo? Sono in pena per le ferite dei giovani che devono nuotare in questo mondo di pescicani “psicopatici”. Troppo spesso leggo “apatia” e rassegnazione nelle parole dei giovani che conosco. È opportuno, invece, che i giovani prendano in mano il loro destino e che si organizzino, visto che ormai le tutele dei loro padri sono andate “a puttane” da un bel po' di tempo; sono convinto che ai giovani “non servono consigli ma comunità dove trovarsi…Nessuno può fermare il vostro incendio, perché lo fermate voi, perché siete in silenzio? (F. Arminio)”.