AGRIGENTO E I SUOI SIMBOLI. COSA SE NON LA CATTEDRALE? di Davide Natale

Ieri pomeriggio, ricordo l’ora ma non il motivo, mi sono ritrovato a passeggiare per le strade della città vecchia. Da casa, su per collina, verso la Cattedrale. Il sole, ancora alto, pressava sulla pelle scoperta come una vigorosa stretta di mano, un saluto troppo vigoroso per esser sino in fondo gradito. Ho scelto, così, di fermarmi per riposare e riprender fiato, decidendo la sosta sulla scalinata della Cattedrale. Pochi i gradini liberi prima del limite invalicabile, del muro di legno eretto dagli umani ad impedire prima ancora che proteggere. Alle spalle, silenzioso, Iddio.
“Non me ne voglia”, pensavo, “non me ne voglia proprio adesso, che la calura estiva e la solitudine domenicale farebbero di me un candido agnello sacrificale”.

Sempre perché i ricordi affiorano al presente per dimostrarti che sei stato altro, mi sono tornate a mente le parole di mio nonno, il quale non perdeva occasione per dirmi: “Non voltare mai le spalle ai santi e alle donne, ma mostra sempre loro gli occhi”. Ed io già capivo la differenza che passa tra il mostrare loro gli occhi e guardare dentro gli occhi.
Ed il tutto era segno e simbolo di rispetto e non paura, di umile accettazione della propria condizione di uomo e maschio, ovvero di rispetto dovuto a chi rappresenta, come i santi, gli uomini in Cielo, e chi, come le donne, Iddio sulla terra.
E fu così che, con un maldestro movimento prima, e con dubbia elegante posa subito dopo, stavo con gli occhi verso la Cattedrale e le spalle alla piazza.
Durò poco, quel tanto che basta per capire che quei ricordi portavano un messaggio straordinariamente chiaro, che il ricordo passato svelava al presente.

La Cattedrale stava lì, apparentemente immobile, ma come un enorme mostro buono che urla i suoi gemiti all’intorno prima che giunga la fine. Lei, la donna Cattedrale, la mamma della chiesa cittadina come Don Franco ebbe a definirla, chiedeva ai nostri occhi lo sguardo, per esser colta nel messaggio che vuole lasciarci prima del grande tonfo, dell’immenso boato.
Se la città di Agrigento ha un simbolo, oggi non sono i Templi o San Calogero, pensavo. Non sono il mare, i carretti siciliani, i limoni gialli, le mandorle o il tondo del sole cocente, il giallo del tufo, il teatro Pirandello o le quinte dei palazzi di cemento ma, semplicemente, la Cattedrale. Icona e stendardo di una città che è tutto ed il suo contrario.
Cosa, se non la Cattedrale, pensavo infatti, è simbolo di quella città che possiede, al contempo, la Valle dei Templi, da tutti conosciuta ammirata e visitata, e le rovine del suo centro storico, i suoi crolli, le sue macerie e la sue miserabili rovine?
Tutto ed il suo contrario.

Cosa, se non la Cattedrale, è simbolo, memoria e monito del Viaggio di Papa Francesco a Lampedusa e del silente lavoro di Don Franco, Vescovo di una città, Agrigento, che ha anche dato i natali ad un leader politico nazionale colpevole di non essersi opposto con tutto il proprio potere ad una legge che mortifica non soltanto i migranti che la subiscono e patiscono, ma tutti gli uomini, nessuno escluso, che questa legge hanno pensato, voluto, votato e non ostacolato?
Tutto ed il suo contrario.

Cosa, se non ancora la Cattedrale, posta in cima alla collina della vecchia città, si erge a mirare lo straordinario Mediterraneo, mare di fortune e sogni, battaglie e conquiste, tragedie e vita, crocevia di popoli e culture, attese e ritorni e oggi, invece, divenuto latrina e discarica di genti impunite, di innocenti ed ignavi, laddove tutta l’acqua salata si trasforma in putrido scarto umano, e termina a confondersi e mescolarsi, a divenire ciò che è e non avrebbe mai dovuto? Ancora tutto ed il suo contrario.

Cosa, se non la Cattedrale, porta come una mamma il peso di una povera e silente tristezza, di una non libera emigrazione di giovani che lasciano la città in cerca del giusto altro, città che giustifica, peggio alimenta con idiota sorriso, l’osceno detto del “cù nesci arrinesci”?

Vengono e vanno i turisti, e poi non tornano più. Alcuni di loro, che avverto adesso vicino, mi distolgono dai miei rapimenti. Li sento con fastidio dire che non sapevano che la Cattedrale fosse chiusa, che nella guida turistica in loro possesso non era indicato. Un bambino lamenta il troppo caldo, la mamma lo consola e lo rincuora. “Domani andiamo al mare, Alfredo, non piagnucolare adesso. Taormina è bellissima.” .

La cattedrale è chiusa, penso, ed in attesa del peggio qualcuno, ancora, la vorrebbe visitare, ammirare, nella sua più intima bellezza, dentro gli occhi.
Ma alla bellezza noi, cittadini della città della Cattedrale morente, abbiamo rinunciato già da molti anni, e biologicamente ignoranti come siamo facciamo in modo che coloro i quali sanno ammirare non vedano, sanno ascoltare non odano, sanno sorridere piangano. Tutto ed il suo contrario.

Non ho l’umiltà di voltarmi per mostrare gli occhi, né il coraggio di dire qualcosa.
E non me ne voglia Iddio e non me ne voglia nonno mio.
Avrei voluto tanto essere orgoglioso della mia città. Oggi me ne vergogno.

categorie: