L'AVVENIRE DELLE AUTOMOBILI E' GIA' QUASI PASSATO di Tano Siracusa
Finalmente, con gli articoli di Davide Natale, Antonino Cuffaro e Vincenzo Camilleri pubblicati su questa testata, si discute di mobilità ad Agrigento. Una discussione che arriva in ritardo, come molte altre cose nella nostra città. Come è arrivata in ritardo la modernità, quando già era cominciato il suo tramonto; e questo spiega, almeno in parte, gli enormi guasti che ha provocato da noi e nel sud del mondo.
Il rischio forse oggi è di non voler recuperare quello scarto storico, di riferire ad un contesto contemporaneo categorie interpretative e modelli operativi funzionali e funzionanti in un contesto storico, in un paesaggio dal quale ci stiamo separando.L’automobile appartiene a quel paesaggio, al paesaggio della modernità, del ‘900. Ne ha modellato le proiezioni urbanistiche dettandone il disegno, imponendo modelli abitativi e di vita accentuatamente individualistici, sconfinando le periferie e sostituendo con l’asfalto le tradizionali pavimentazioni dei centri abitati, stravolgendo e alla fine nascondendo i luoghi, le strade, le piazze, gli spazi destinati ai viventi, uomini e animali, per i quali erano stati predisposti e utilizzati per secoli. Assieme alla tumultuosa e caotica costruzione di case, la diffusione del traffico automobilistico è in Italia il principale responsabile di un abnorme e dissestante consumo del suolo. Crescente allarme per la produzione di CO2 e per le conseguenze climatiche già in atto, aumento costante del prezzo del petrolio e necessità di una radicale e urgente riconversione energetica da un lato; e dall’altro la disutilità e il costo crescenti dell’automobile, la sempre più evidente irrazionalità del suo uso: è questo lo scenario contemporaneo, il cui superamento è già in atto in molti paesi del mondo, soprattutto in quelli più sviluppati.
Viviamo una fase storica di transizione, dalla modernità ad un diverso, auspicabile ma anche necessario equilibrio fra le risorse disponibili - dallo spazio alle fonti energetiche - e i bisogni di un’umanità in costante crescita demografica e sempre più diffusamente partecipe, sia pure fra enormi squilibri, al prelievo e al consumo di quelle risorse. Qualunque potrà essere lo scenario del XXI sec. dovrà tenere conto, a differenza di quello moderno, del limite, dell’impossibilità di una crescita illimitata. Sicuramente di una crescita ulteriore della circolazione automobilistica.
Il rischio che corriamo è allora di fare una discussione che non si interroghi adeguatamente sulla contemporaneità, sulla fase attuale, su un futuro prossimo che rispetto al presente non potrà non segnare una forte discontinuità.
Ho l’impressione che i tre interventi pubblicati su Suddovest presuppongano scenari storici diversi, spostati magari di pochi decenni, ma che in una fase di rapidissime trasformazioni come l’attuale risultano significativamente distanziati.
Nel contributo di Vincenzo Camilleri il contesto sembra quello di una modernità ‘naturalizzata’, sottratta al declino, dove le automobili appaiono come un mezzo di trasporto indispensabile e il problema da risolvere è quello di come farle circolare meglio e fin dentro il centro storico. La prospettiva è quella di una razionalizzazione dell’esistente, in un quadro, quello appunto di una modernità immobile, dove le automobili e il trasporto su gomma appaiono fondamentalmente senza alternative.
Nell’articolo di Davide Natale è presente invece una diversa consapevolezza della crisi del sistema-automobile, che si intende governare con prudenza, assecondandone almeno in parte le inerzie: il problema appare allora quello di impedire al traffico automobilistico di penetrare nel tessuto viario del centro, dove il bisogno di mobilità verrebbe soddisfatto da nuove tecnologie, scale mobili innanzitutto, mentre l’uso dell’automobile per spostarsi dalle periferie fino ai bordi del centro storico continua a risultare senza alternative.
Nella proposta di Nino Cuffaro di utilizzare la rete ferroviaria esistente per attrezzare una metropolitana di superficie in grado di collegare gli agglomerati periferici al centro, si ipotizza infine uno scenario ulteriore nel quale un servizio pubblico di trasporto economico, efficiente ed ecologico rende svantaggioso, e non solo sotto il profilo economico, l’uso del mezzo privato di trasporto.
Attardarsi nella modernità, assecondandone le inerzie; orientarne il superamento sfumando tempi e forme della transizione; sollecitarne il superamento offrendo alternative più economiche, funzionali ed ecologiche al trasporto automobilistico: si tratta di tre contesti di riferimento diversi, o forse di tre diverse modalità di rapportarsi allo stesso contesto di transizione, con un’ambizione maggiore o minore di governarlo.
Ma sia che si tratti di modi diversi di posizionarsi o di tre diversi posizionamenti ciò che conta è la consapevolezza che siamo dentro un processo che avrà comunque come sbocco di qui a pochi decenni lo scenario del dopo, del dopo l’automobile.
A me pare che sia preferibile avere un massimo di ambizione nel governare la transizione, e non solo perché il ritardo sulla modernità lo abbiamo pagato a caro prezzo. Ma soprattutto perché mai come in questo passaggio storico la spontaneità del processo, le resistenze e le inerzie che mobilita, possono provocare esiti rovinosi, come è già evidente in molte metropoli e città del sud del mondo. In città come Napoli, Palermo, Roma, o come Atene e Instambul per rimanere nell’area mediterranea, bellissime e stravolte da un traffico veicolare privato che sembra avere decretato il trionfo delle controfinalità, dove un illusorio perseguimento del benessere personale determina il malessere di tutti.
E’ difficile e complicato ma anche possibile e necessario intervenire dunque, e bisogna farlo localmente senza perdere di vista il contesto globale. Come si sta facendo in molte città del nord Europa, ma anche del nord Italia, dove i centri storici tornano ad essere abitati anche perché le automobili ne sono state espulse. Dove si torna a sentire le voci delle persone per strada e si torna a vedere la strada. E le piazze, le scalinate, i vicoli, i cortili che vengono ripavimentati.
Il ‘dopo l’automobile’ è già nei nostri centri storici, nel nostro passato urbano i cui luoghi bisognerebbe restituire a quella configurazione di spazio semipubblico o semiprivato che ancora sopravvive nelle scalinate e nei cortili del centro storico, dove le auto non hanno potuto avere accesso; con quella cifra di socialità, di appartenenza allo spazio esterno e comune, di ‘cura’ di esso, che si è completamente perduto nella città moderna.
Ascensori, scale mobili, trasporto su binari, piste meccaniche: il bisogno di mobilità può essere soddisfatto in vari modi. L’automobile non è necessaria. Anche perché, con buona pace di tanti ambientalisti assennati, non si da notizia di un’avvenuta mutazione antropologica che renderebbe i bipedi umani inabili ad abitare i centri storici senza la protesi automobilistica. Per secoli in città ci si è spostati a piedi e l’abitudine si è persa solo da 50 anni. Che nel suo centro medievale si intervenga per offrire un modello abitativo e di vita diverso da quello dei condomini verticali e con l’auto sottocasa sembra, nella fase attuale, del tutto ragionevole.
Il progetto di Terravecchia ha avuto il merito di innescare una riflessione sul futuro del nostro centro storico che non poteva eludere il tema della mobilità. A chi auspica un ripopolamento del centro storico, a chi dice che non 38 ma 538 nuovi nuclei familiari dovrebbero insediarvisi ho posto su facebook la domanda: anche le loro automobili? Attendo ancora una risposta.