CENTRO STORICO DI AGRIGENTO. LA SPECULAZIONE NON LASCIA, RADDOPPIA di Tano Siracusa
Submitted by redazione on Sun, 19/08/2012 - 16:14
Dopo il progetto Terravecchia, quindi, il progetto Ravanusella. Il modello, l'idea ispiratrice sembra la stessa: si attende che il degrado delle vecchie case in tufo minacci o determini i crolli e si acquistano a bassissimo prezzo i ruderi che vengono sostituiti con fabbricati in cemento armato. Il tutto utilizzando risorse pubbliche che offrono a poche, grosse imprese, una formidabile opportunita' speculativa.
Agrigento e' stata devastata dal cemento armato. Non solo nel vasto, ipertrofico territorio della nostra periferia privo di qualsiasi cifra urbanistica (ad eccezione di Villa Seta), non solo con la quinta dei tolli immediatamente a ridosso delle vecchie mura chiaramontane, ma ben dentro la citta' medievale sono sorti negli ultimi decenni orrendi palazzoni in cemento e, qui in centro, proprio al posto delle vecchie case in tufo.
E' questo il modello di citta' che si e' perseguito e che non si vuol rigettare, anche se il prezzo pagato e' stato altissimo, per la qualita' della vita degli abitanti e per l'economia cittadina che sui flussi turistici avrebbe potuto prosperare.
I turisti vengono a vedere i templi. Poi dalla valle guardano la citta', vedono i tolli, e se ne vanno. La maggior parte. I pochi che rimangono e grazie alla diffusione dei B&B trovano alloggio nel centro storico, ne scoprono con stupore le meraviglie e gli orrori.
L'orrore delle scale trasformate in strade, delle automobili che hanno saturato tutti gli spazi di una citta' costruita per un'umanita' non motorizzata, l'orrore della Cattedrale che sta franando, della chiesa di Santa Rosalia senza facciata, come una bellissima donna alla quale abbiano strappato il volto, delle case abbandonate e pericolanti, della sporcizia. L'orrore dei palazzi di otto, dieci piani, che svettano a volo d'uccello sui tetti dove l'eternit spesso sostituisce le tegole.
E insieme il fascino del complesso di s. Spirito, di santa Maria dei Greci, di cio' che si puo' ancora vedere della Cattedrale, ma soprattutto di quell'intricato tessuto viario di cortili, scalinate, viuzze, slarghi improvvisi, che l'enormita' di asfalto e cemento armato che vi e' stato deposto non ha ancora cancellato.
Terravecchia e Ravanusella, dunque: il cemento armato al posto del tufo. E' un'idea di citta'. Di una citta' che dal dopoguerra sembra aver deciso di rinunciare al suo centro storico in nome di una modernita' malintesa, intrisa di privatismo familistico e di affarismo speculativo, del tutto incapace di misurarsi con un ambiente urbano e paesaggistico antichissimo e nobile, di operare una difficile, delicata ma assolutamente necessaria mediazione con le sue stratificazioni culturali.
Un'altra idea di citta' e' quella che non sostituisce il tufo con il cemento, ma che toglie il cemento (e l'asfalto) dal suo centro storico. Che fa del tufo portato in superficie e impermeabilizzato con i materiali e le tecnologie oggi disponibili, il segno distintivo della sua identita'. Che espelle le automobili dalla sua struttura viaria. Che sostiene il piccolo commercio contro i grandi centri commerciali.
Un'utopia? Puo' darsi. Pero' i turisti dopo un paio di giorni passati a bighellonare in una via Atenea che alle 20,30 viene riaperta al traffico, dove l'offerta di spazi culturali pubblici e' pressoche' inesistente, dove i negozi falliscono e chiudono uno dopo l'altro, se ne vanno. Magari a Lucca, a Perugia, o magari a Ortigia, dove i palazzoni in cemento armato in centro non ci sono, dove le automobili non entrano, e dove fino a notte si puo' andare per locali, ascoltare buona musica, andare a cinema o a teatro. A piedi.
Lo sosteniamo da molti anni: se questa citta' non riconosce le sue colpe passate non puo' meritare un presente e un futuro migliori. La scelta del modello Terravecchia-Ravanusella per intervenire in centro storico lascia intendere che non vuole riconoscerle: proprio su Terravecchia si e' registrata una significativa contrapposizione fra i due candidati a sindaco, ed e' andata come sappiamo.
Che fare?
Quasi duecento persone hanno firmato un appello per bloccare il progetto Terravecchia e sono certamente molte di piu' quelle che firmerebbero se soltanto venissero informate dell'iniziativa.
Gli appelli sono utili e necessari, ma non bastano.
Bisognerebbe fare circolare molta e buona informazione, a cominciare dalle scuole. Bisognerebbe invitare in citta' quegli urbanisti, architetti, amministratori che altrove hanno realizzato quello che ad Agrigento sembra utopico; ma anche pensatori e teorici come Pallante o Cassano, capaci di offrire grandi categorie di riferimento per avviarsi verso un futuro davvero diverso, piu' razionale proprio perche' meno schiacciato sulla razionalita' del Pil e degli altri idola dell'attuale pensiero unico.
Molta e buona informazione, dunque, che neppure bastera' probabilmente per cambiare le cose. Ma e' tutto quello che possiamo fare, che abbiamo cercato di fare, e che potremmo in futuro sforzarci di fare sempre meglio.
Agrigento e' stata devastata dal cemento armato. Non solo nel vasto, ipertrofico territorio della nostra periferia privo di qualsiasi cifra urbanistica (ad eccezione di Villa Seta), non solo con la quinta dei tolli immediatamente a ridosso delle vecchie mura chiaramontane, ma ben dentro la citta' medievale sono sorti negli ultimi decenni orrendi palazzoni in cemento e, qui in centro, proprio al posto delle vecchie case in tufo.
E' questo il modello di citta' che si e' perseguito e che non si vuol rigettare, anche se il prezzo pagato e' stato altissimo, per la qualita' della vita degli abitanti e per l'economia cittadina che sui flussi turistici avrebbe potuto prosperare.
I turisti vengono a vedere i templi. Poi dalla valle guardano la citta', vedono i tolli, e se ne vanno. La maggior parte. I pochi che rimangono e grazie alla diffusione dei B&B trovano alloggio nel centro storico, ne scoprono con stupore le meraviglie e gli orrori.
L'orrore delle scale trasformate in strade, delle automobili che hanno saturato tutti gli spazi di una citta' costruita per un'umanita' non motorizzata, l'orrore della Cattedrale che sta franando, della chiesa di Santa Rosalia senza facciata, come una bellissima donna alla quale abbiano strappato il volto, delle case abbandonate e pericolanti, della sporcizia. L'orrore dei palazzi di otto, dieci piani, che svettano a volo d'uccello sui tetti dove l'eternit spesso sostituisce le tegole.
E insieme il fascino del complesso di s. Spirito, di santa Maria dei Greci, di cio' che si puo' ancora vedere della Cattedrale, ma soprattutto di quell'intricato tessuto viario di cortili, scalinate, viuzze, slarghi improvvisi, che l'enormita' di asfalto e cemento armato che vi e' stato deposto non ha ancora cancellato.
Terravecchia e Ravanusella, dunque: il cemento armato al posto del tufo. E' un'idea di citta'. Di una citta' che dal dopoguerra sembra aver deciso di rinunciare al suo centro storico in nome di una modernita' malintesa, intrisa di privatismo familistico e di affarismo speculativo, del tutto incapace di misurarsi con un ambiente urbano e paesaggistico antichissimo e nobile, di operare una difficile, delicata ma assolutamente necessaria mediazione con le sue stratificazioni culturali.
Un'altra idea di citta' e' quella che non sostituisce il tufo con il cemento, ma che toglie il cemento (e l'asfalto) dal suo centro storico. Che fa del tufo portato in superficie e impermeabilizzato con i materiali e le tecnologie oggi disponibili, il segno distintivo della sua identita'. Che espelle le automobili dalla sua struttura viaria. Che sostiene il piccolo commercio contro i grandi centri commerciali.
Un'utopia? Puo' darsi. Pero' i turisti dopo un paio di giorni passati a bighellonare in una via Atenea che alle 20,30 viene riaperta al traffico, dove l'offerta di spazi culturali pubblici e' pressoche' inesistente, dove i negozi falliscono e chiudono uno dopo l'altro, se ne vanno. Magari a Lucca, a Perugia, o magari a Ortigia, dove i palazzoni in cemento armato in centro non ci sono, dove le automobili non entrano, e dove fino a notte si puo' andare per locali, ascoltare buona musica, andare a cinema o a teatro. A piedi.
Lo sosteniamo da molti anni: se questa citta' non riconosce le sue colpe passate non puo' meritare un presente e un futuro migliori. La scelta del modello Terravecchia-Ravanusella per intervenire in centro storico lascia intendere che non vuole riconoscerle: proprio su Terravecchia si e' registrata una significativa contrapposizione fra i due candidati a sindaco, ed e' andata come sappiamo.
Che fare?
Quasi duecento persone hanno firmato un appello per bloccare il progetto Terravecchia e sono certamente molte di piu' quelle che firmerebbero se soltanto venissero informate dell'iniziativa.
Gli appelli sono utili e necessari, ma non bastano.
Bisognerebbe fare circolare molta e buona informazione, a cominciare dalle scuole. Bisognerebbe invitare in citta' quegli urbanisti, architetti, amministratori che altrove hanno realizzato quello che ad Agrigento sembra utopico; ma anche pensatori e teorici come Pallante o Cassano, capaci di offrire grandi categorie di riferimento per avviarsi verso un futuro davvero diverso, piu' razionale proprio perche' meno schiacciato sulla razionalita' del Pil e degli altri idola dell'attuale pensiero unico.
Molta e buona informazione, dunque, che neppure bastera' probabilmente per cambiare le cose. Ma e' tutto quello che possiamo fare, che abbiamo cercato di fare, e che potremmo in futuro sforzarci di fare sempre meglio.
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