"HO PAURA DELLA MORTE? SI'" di Alfonso M. Iacono
E poi, con il passare degli anni, i morti aumentano. I nonni, i genitori, i tuoi maestri, alcuni dei tuoi migliori amici. Non ho subito i traumi di morti violente e ingiuste, cosi' come e' capitato ad altri, ma nel tempo, il senso dell'irreversibile si fa sempre piu' grande e ingombrante. E con esso, il rimpianto di non avere detto o fatto cose che non puoi piu' dire e fare. Per nove anni sono stato preside di facolta' e mi e' toccato preparare e fare molti discorsi per il funerale di molti colleghi, amici, maestri. Pronunciarli in pubblico, davanti alla bara, in un'atmosfera irreale, perche' la bara da' il senso dell'irrealta'. Il morto e' la' dentro, ma non lo vedi fisicamente. E' un assente che e' presente con pesantezza. Un assurdo, tanto piu' assurdo se il cadavere che sta dentro e' un tuo amico o tuo padre.
Ho paura della morte? Si'! A volte penso che vorrei arrivarci talmente affaticato da poterla accettare per stanchezza. Lucio Magri, che mi ha molto insegnato in politica e nella vita, ha voluto decidere la sua morte. Non voleva perdere il controllo di se' e del suo destino. Non voleva piu' vivere. Rispetto la sua decisione e la comprendo, ma non credo che farei lo stesso. Non solo perche' la vita non appartiene soltanto a me, essendo padre di tre figli, ma anche perche' forse con la morte bisognerebbe fare come i siciliani fanno con lo scirocco quando lo scirocco spira da terra ed e' caldo, molto caldo. Se ti ci metti contro, ti prende l'ansia e forse anche il panico, se ti lasci attraversare da esso, se lo accetti, allora quel caldo che spira e ti avvolge diventa dolce, ti rallenta e ti fa chiudere gli occhi non per paura, ma perche' sei dentro e nello stesso tempo quasi ti annulli nell'ondata d'aria calda. Allora forse puoi morire. Lotti contro la morte se accetti di non essere il centro dell'universo, ma per noi occidentali, educati alla cultura dell'onnipotenza e' difficile. Non sono credente ma non mi hanno mai consolato quegli artifizi filosofici secondo cui non bisogna avere paura della morte perche' dove c'e' lei tu non ci sei e viceversa. Non ho tutta questa sicurezza materialistica da consolarmi pensando che faccio parte di un mondo piu' grande e che il mio corpo ritornera' alla natura. L'idea di non esistere mi fa rabbia e paura, ma non posso credere in un'altra vita solo perche' provo rabbia e paura. Non con la mia testa. E neanche per amore di un dio che non conosco e da cui non sono conosciuto. Detesto l'idea che un dio sia onnipotente. Mi piace di piu' quel che hanno da dire gli ebrei (e con essi anche alcuni cristiani di oggi): il rapporto con dio e' basato sull'incertezza, sull'improvvisazione, sull'incompiutezza. Questo e' cio' che dice Andre' Neher rivendicando il silenzio di dio dopo Auschwitz, dopo cioe' che bambini innocenti sono stati divorati dalla macchina dell'orrore nazista, dopo che il dio degli ebrei resto' muto, mentre il suo popolo veniva stritolato nei Lager. Hans Jonas, dopo Auschwitz, rivendica un dio non piu' onnipotente, ma buono, incapace di fermare il male che non ha voluto, ma capace di soffrire con gli uomini. Del resto, la rabbia di Cristo che, in punto di morte, si dispera perche' il padre lo ha abbandonato (Marco, 15, 34; Matteo, 27, 46), e' l'espressione di un fallimento e di una delusione. E' in questa condizione umana che vedo il divino. Un divino che non puo' essere confinato al regno dei credenti, ma richiama la responsabilita' tutta umana nei confronti del male che facciamo e che subiamo proprio perche' dio, essendosi ritirato, non c'e' e non vuole esserci. Posso amare solo un dio che fallisce oppure un dio che sa ritrarsi. Poco mi importa che esista oppure no.