L'ULTIMA DUNA di Donatella Mangione
Quanti di noi ricordano ancora la zona cosiddetta delle dune, quando ancora il locale “Le dune” era da venire? Non è quest’ultimo però che ha dato il nome alla località ma, viceversa, esso si chiamava così per le tante dune dell’immensa spiaggia dalla calda sabbia, come temperatura e come colore, che si stendeva lungo la costa.
San Leone finiva allora con la via Nettuno e con l’ultima sua casa a sinistra, di fronte al mare, dalle persiane grigio-blu. Dopo, un grande cancello di legno separava la vita da quella che da lontano rappresentava la quiete. Il limite invalicabile costituito dal cancello in legno, un giorno non lo fu più grazie a mio padre che, con grande gioia e divertimento, portò noi figli (ed i nostri amici) ad una passeggiata in bicicletta rimasta memorabile … quello che si aprì ai nostri occhi fu un vero eden: una trazzera subito dopo il cancello si svolgeva ai piedi della dolce e bassa collina che a sinistra seguiva parallelamente la costa; a destra, la stradina di tanto in tanto invitava verso un bosco, così sembrava e forse lo era, attraverso il quale si udiva ma non si vedeva, tanto era fitto il verde, il mare. Il silenzio, la quiete, interrotti soltanto dal verso di qualche uccello, dal mare mormorante in lontananza e dal frinire dei grilli o delle cicale, stimolava l’immaginazione penetrando fin nel profondo dell’essere, il giallo di qualche casupola dimora di contadini si confondeva con lo stesso colore arso del terreno, il cielo terso malgrado la giornata estiva era un perfetto sfondo per il quadro che si offriva ai nostri occhi.
Ma la meraviglia e lo stupore furono però soprattutto per il bosco, dal fitto verde chiaro dei pini “salmastri”, che nascondeva, per svelarla al curioso “passeggiatore” che decideva di andare oltre, una spiaggia stesa a vista d’occhio, deserta e dalla sabbia quasi bianca, che separava il mare dal bosco per decine di metri e che a lui si univa grazie ad un susseguirsi di alte dune che ospitavano soltanto i bianchi teneri e quasi incredibili, in mezzo a tutta quell’arsura, gigli marini che vi crescevano in grande quantità. Il mare, agitato, rumoreggiava quasi irraggiungibile … vita a volte violenta ed indomabile, come avrebbero saputo molto tempo dopo genti venute dall’altra sponda del Mediterraneo, senza però poterlo raccontare. Le cose che vedemmo ed avvertimmo pur con la sensibilità di bimbi ci presero così tanto che chiedemmo a mio padre di ritornare in quei posti e, qualche anno più tardi, ci fecero sicuramente accettare la lontananza dal “centro” sanleonino quando acquistammo proprio lì, oltre il famoso cancello, un terreno dove costruimmo la nostra casa a 300 metri dal mare e dalle dune con i gigli.
Il cemento era entrato nell’eden: la trazzera era diventata una larga strada che si arrestava a quella che sarebbe stata chiamata “quarta spiaggia” ma, dopo qualche anno, era stata costruita fino al punto in cui sarebbe sorto il locale “Le dune”, mentre, subito dopo il cancello abbattuto, era stato edificato lo stabilimento balneare della Pubblica Sicurezza, che faceva da contraltare all’altro di storica memoria, l’Aster.
La spiaggia era ancora lunghissima e soprattutto larghissima … ricordo che quando ritornavamo dal mare facevamo in modo di stare in acqua fino all’ultimo momento e attraversavamo correndo i tanti metri di sabbia per non scottarci ad un passo un po’ più cadenzato. Quel mare e quella spiaggia erano di pochi eletti: gli abitanti delle nuove sparutissime case lungo la costa ed i loro amici, contati, scelti dall’affetto tra di loro e dalla passione per quell’angolo di pace e di bellezza che faceva superare le difficoltà ed i chilometri in più da percorrere per raggiungerlo. Sulle dune si vedeva spesso qualcuno, venuto da chissà dove, immergersi tra la sabbia in cerca di calore, rimedio naturale e conforto per le proprie ossa malate.
Poi le persone si fecero sempre più numerose ed “estranee”, così come le case costruite ed abitate da gente non più e non solo agrigentina. La spiaggia non era più un luogo “privato” da godere tra pochi intimi e gli sbocchi al mare cominciavano ad ospitare presidi militari, attività varie e poi locali sempre più invadenti e rumorosi. L’abusivismo aveva invaso l’eden: superbe villette ed orribili palazzi si erano erti in tutta la loro assurdità “architettonica”, se di architettura può parlarsi, a guardare dall’alto come degne vedette lo scempio che si stava compiendo della costa. Il mare con la sua forza aveva cominciato ad erodere la spiaggia, il nuovo molo di San Leone definiva lo sconquasso.
Qualche timido ma decisamente tardivo tentativo ad opera delle autorità riusciva nel tempo a salvare qualche tratto di costa, ma ormai gli sbocchi al mare, delimitazione ma inizialmente anche contenimento del verde, erano stati da opera umana e della natura gradualmente demoliti, il bosco era stato distrutto e le dune, non più protette dalla loro naturale verde barriera, avevano cominciato a perdersi grazie al lavoro ignaro ma implacabile del vento che spargeva i suoi infiniti granelli per ogni dove.
Allo sguardo di chi percorre oggi quella strada, non distrattamente, se ne propongono ormai soltanto tre o quattro ed ogni anno il vento le assottiglia sempre di più … la loro sabbia sia in estate che in inverno riempie i bordi della strada, le macchine vi lasciano su le loro impronte e la trascinano via per metri e metri tra la nostra tragica impotenza e l’indifferenza di chi avrebbe potuto e dovuto agire ma non è riuscito a capire cosa si stava compiendo e cosa si stava perdendo: la bellezza e la suggestione, l’equilibrio e la ricchezza, che in mille modi e sfumature avrebbe potuto anche essere economica salvando quella natura, inutilmente così ricca e generosa.
Oggi, solo un’infinita tristezza nel contemplare quel che resta, nella consapevolezza del vuoto di programmazione, del nulla di intervento, dell’amore mancato per ciò che era lì, gratuitamente donato ad ognuno di noi … purtroppo solo i malinconici nostalgici ricordi di giorni passati, sbiadite fotografie e qualche cartolina che riprendendo il luogo dall’alto è sola testimonianza di com’era il “nuovo” litorale di San Leone … poca cosa in verità, rispetto alla meravigliosa semplicità che abbiamo irrimediabilmente perduto.
(Questa pagina è dedicata ai Mangione, Messina, Piazza, Gelo, Grenci, Quadarella, Ruoppolo, Sala, Basciano che, con i loro parenti e i tanti amici hanno conosciuto, amato ed animato per primi la “quarta spiaggia” di San Leone)