A SANTO STEFANO IN SCENA UN'IDEA DI MODERNITA' di Alfonso M. Iacono
Submitted by redazione on Fri, 12/08/2011 - 15:43
Anziani signori che si pensano giovani e onnipotenti, prostitute che si credono veline, ruffiani per vocazione e per professione, donne che amano farsi schiave pur di apparire in tv. Tutto questo è plebeo. I confini si sfumano. Sembra di essere nella descrizione cheDenis Diderot fece di una scena che disse di sognare mentre stava ammirando a Parigi un quadro del pittore Jean-Honoré Fragonard. Sognò di essere nell'antro di Platone e gli spettatori erano come i prigionieri. Ma, a differenza di Platone, Diderot ne fa l'elenco: “re, ministri, preti, dottori, apostoli, profeti, teologi, politici, bricconi, ciarlatani, artisti facitori di stupefacenti illusioni e tutta la genìa dei mercanti di speranze e di paure”. Chi osava dire qualcosa, chi aveva l'ardire di criticare, veniva malvisto e minacciato. Diderot aveva scritto queste cose nel 1765, ma sembrano i nostri giorni. Solo che oggi bisogna essere sempre euforici, gioiosi, perchè, ci dicono, l'infelicità è una malattia che va tenuta lontana. I mezzi ci sono. I soldi, per chi ce li ha, pure.
In un'epoca in cui non siamo più in grado di distinguere tra il normale e il patologico, e non sappiamo più bene dove stia la differenza tra una gioia sana e un piacere insano, tra la tristezza e la depressione, tra una sofferenza che ci fa crescere e una dolore che ci opprime, vorrei tessere l'elogio della malinconia. Quella che ci fa sentire la mancanza, il limite, l'irreversibile, l'irraggiungibilità di una meta, l'invalicabilità di un confine, l'infinito di un orizzonte. Quella che abbatte il delirio di onnipotenza e ci fa capire che il tempo avanza e muta le cose e noi stessi. Quella che ci toglie la facile illusione a buon mercato del gratta e vinci. Quella che ci porta all'ironia, mettendo in dubbio noi stessi ogni qual volta ci prendiamo troppo sul serio. Quella che ci fa volgere lo sguardo al passato con umiltà e commozione. Quella che ci spinge verso un futuro che non c'è e potrebbe non esserci mai. Quella che ci evita l'inganno di una falsa pienezza di vita quando invece cerchiamo soltanto di sfuggire a noi stessi. Quella che deride la furbizia e la mette dove deve stare, negli anfratti dei servi. Quella che ci dà una coscienza e una dignità. La canzone napoletana è ironica e malinconica. Ce lo ricorda il sempre bravissimo Antonio Lubrano nello spettacolo La sirena bugiarda, che ho avuto la fortuna di vedere in un luogo meraviglioso fra le montagne al centro della Sicilia, vicino a S. Stefano Quisquina, nel teatro di pietra di Lorenzo Reina, con gli ottimi Giovanni Moscato e Valeria Scornavacca (brillantissima esordiente) a cantare e Stefano Tesé e Sal Cacciatore a suonare. La canzone napoletana è popolare e non plebea. Il teatro napoletano è popolare e non plebeo.
Il capo del governo e i suoi amici detestano la malinconia. Ma la detestano anche coloro che, opponendosi assai debolmente, prima si indignano e poi acconsentono, accettano, si adeguano. La politica di oggi è immorale o moralista. Non è e non vuole essere malinconica e per questo non sa né vedere dentro se stessa, nè guardare lontano. Vuole trasformare il popolo in plebe e ci sta riuscendo. Giovanni Taglialavoro, nel presentare lo spettacolo, ci ha detto che esso, il luogo in cui svolge, il rapporto magico tra attori e spettatori, propone un’idea di modernità che predilige l’autorganizzazione e rifiuta la cultura come puro consumo e dunque come plebea. Non posso che sottoscrivere con gioia, pronto a condividere l’idea di modernità che Giovanni propone e ha cominciato a praticare con La sirena bugiarda.
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