ANCHE LA SPERANZA FUGGE DA AGRIGENTO di Melo Pace
Submitted by redazione on Fri, 22/07/2011 - 18:03
Ho vissuto, eccetto una breve parentesi temporale, nel Centro storico di questa città unicamente per scelta...d'amore, avendo ricevuto il testimone dai miei genitori, gente d'altri tempi,umile e laboriosa.
Buona parte del mio albero genealogico ha messo qui, precisamente al Rabateddu, le sue antiche radici giurgintane.Ma oggi non posso dire di viverci con gli stessi sentimenti di allora, per le ragioni che cercherò di esporre. Qui sono cresciuto, come tanti miei coetanei, con cui ho condiviso una infanzia felice ma austera, all'insegna del divertimento povero ma autentico.
Di quello che fu l'Istituto Schifano, di cui rimangono solo macerie, conservo ricordi che suscitano ancora in me un forte riverbero emozionale.
Lì ho fraquentato l'asilo e i miei primi quattro anni di
scuola elementare.
Poi crescendo ho frequentato i Salesiani di Via Oblati che mi hanno offerto l'opportunità di un sereno percorso educativo adolescenziale.
Nelle strade del Centro storico, nei suoi cortili e nei suoi vicoli ho giocato a mmucciare, a ngagliarè e a lignu santu.
Ad esso ho dedicato una delle mie prime poesie giovanili "Vecchi ubriaconi" che il mio amico Diego Romeo considera il mio personale affettuoso omaggio alla città.
Città in cui, fino agli anni cinquanta, un invisibile filo d'oro intrecciave le sue viuzze arabe con il ridente paesino sanleonino, la incantevole valle e la bella villa liberty"Garibaldi" in un unico e affascinante mosaico di pietra.
Poi avvenne l'irreparabile.
Una banda di predoni, accomunati da una barbarica incultura, da un delirio plebeo di grandezza, da una smodata ansia di arricchimento, in perfetta sintonia con un ceto politico senza Dio nonostante le proprie confessioni fideistiche, divenne il soggetto sociale trainante di un processo di distruzione sistematica ed irreversibile del territorio, avviando e portando a termine quel grande scempio che è sotto gli occhi di tutti, quel quadro di surreale bruttezza che è la città di oggi.
Dopo aver raso al suolo, con vandalica efferatezza,una delle ville liberty più belle della Sicilia del primo novecento, i banditi si trovarono di fronte il loro Eldorado ovvero ettari di terreno demaniale da saccheggiare.
Contemporaneamente fu presa di mira la fascia territoriale a sud del centro storico che si estendeva dall'Addolorata alla Stazione Centrale.
Vennero costruiti, in tempi record, una cinquantina di palazzacci, veri e propri sgorbi edilizi,che appesantirono tanto il sottosuolo fino a determinare lo scivolamento di una parte della collina.
Questo è ciò che venne conosciuta come la frana del 66.
E fu lì che si aprì il capitolo più osceno della storia contemporanea della città dei templi. Ed è proprio da lì che bisogna partire per capirne il presente. Oggi la città si presenta in tutta la sua surreale invivibilità.
Sotto tutti i profili. Posizionata agli ultimi posti per qualità della vita, reddito,
occupazione e servizi.
La mancta realizzazione, in questi ultimi decenni, di opere strategicamente importanti quali il depuratore, un sistema integrato di parcheggi, la valorizzazione complessiva del suo Centro Storico, unitamente ad una gestione dissennata di risorse pubbliche ad opera di una classe politica irresponsabile ed incompetente ha contribuito ad aggravare il quadro di miseria e di degrado urbanistico
Ma l'aspetto più paradossale che rende ancor più cupo il contesto è il silenzio enigmatico della gente, la sua passività atavica. Una imperturbabilità, quasi schizoide, di fronte anche ad eventi drammatici
Il suo rifiuto di cio' che è pubblico. Il suo singolare sentimento di estraneazione che la fa sentire altrove dalle cose e dagli uomini, sola con la propria roba, verghianamente intesa. Il suo atavico servilismo ed il suo connaturato ascarismo verso ogni forma di potere costituito, verso il quale nutre una profonda ed inconfessata venerazione quasi idolatrica.
Ed è per queste ragioni che, a differenza del passato,non riesco a trovare in me uno slancio, pur minimo di speranza, che mi possa fare credere in un progetto di ricostruzione civica della città,del suo tessuto sociale e culturale soprattutto alla luce di ciò che sta avvenendo di antropologicamente inquietante nel suo Centro storico.
Buona parte del mio albero genealogico ha messo qui, precisamente al Rabateddu, le sue antiche radici giurgintane.Ma oggi non posso dire di viverci con gli stessi sentimenti di allora, per le ragioni che cercherò di esporre. Qui sono cresciuto, come tanti miei coetanei, con cui ho condiviso una infanzia felice ma austera, all'insegna del divertimento povero ma autentico.
Di quello che fu l'Istituto Schifano, di cui rimangono solo macerie, conservo ricordi che suscitano ancora in me un forte riverbero emozionale.
Lì ho fraquentato l'asilo e i miei primi quattro anni di
scuola elementare.
Poi crescendo ho frequentato i Salesiani di Via Oblati che mi hanno offerto l'opportunità di un sereno percorso educativo adolescenziale.
Nelle strade del Centro storico, nei suoi cortili e nei suoi vicoli ho giocato a mmucciare, a ngagliarè e a lignu santu.
Ad esso ho dedicato una delle mie prime poesie giovanili "Vecchi ubriaconi" che il mio amico Diego Romeo considera il mio personale affettuoso omaggio alla città.
Città in cui, fino agli anni cinquanta, un invisibile filo d'oro intrecciave le sue viuzze arabe con il ridente paesino sanleonino, la incantevole valle e la bella villa liberty"Garibaldi" in un unico e affascinante mosaico di pietra.
Poi avvenne l'irreparabile.
Una banda di predoni, accomunati da una barbarica incultura, da un delirio plebeo di grandezza, da una smodata ansia di arricchimento, in perfetta sintonia con un ceto politico senza Dio nonostante le proprie confessioni fideistiche, divenne il soggetto sociale trainante di un processo di distruzione sistematica ed irreversibile del territorio, avviando e portando a termine quel grande scempio che è sotto gli occhi di tutti, quel quadro di surreale bruttezza che è la città di oggi.
Dopo aver raso al suolo, con vandalica efferatezza,una delle ville liberty più belle della Sicilia del primo novecento, i banditi si trovarono di fronte il loro Eldorado ovvero ettari di terreno demaniale da saccheggiare.
Contemporaneamente fu presa di mira la fascia territoriale a sud del centro storico che si estendeva dall'Addolorata alla Stazione Centrale.
Vennero costruiti, in tempi record, una cinquantina di palazzacci, veri e propri sgorbi edilizi,che appesantirono tanto il sottosuolo fino a determinare lo scivolamento di una parte della collina.
Questo è ciò che venne conosciuta come la frana del 66.
E fu lì che si aprì il capitolo più osceno della storia contemporanea della città dei templi. Ed è proprio da lì che bisogna partire per capirne il presente. Oggi la città si presenta in tutta la sua surreale invivibilità.
Sotto tutti i profili. Posizionata agli ultimi posti per qualità della vita, reddito,
occupazione e servizi.
La mancta realizzazione, in questi ultimi decenni, di opere strategicamente importanti quali il depuratore, un sistema integrato di parcheggi, la valorizzazione complessiva del suo Centro Storico, unitamente ad una gestione dissennata di risorse pubbliche ad opera di una classe politica irresponsabile ed incompetente ha contribuito ad aggravare il quadro di miseria e di degrado urbanistico
Ma l'aspetto più paradossale che rende ancor più cupo il contesto è il silenzio enigmatico della gente, la sua passività atavica. Una imperturbabilità, quasi schizoide, di fronte anche ad eventi drammatici
Il suo rifiuto di cio' che è pubblico. Il suo singolare sentimento di estraneazione che la fa sentire altrove dalle cose e dagli uomini, sola con la propria roba, verghianamente intesa. Il suo atavico servilismo ed il suo connaturato ascarismo verso ogni forma di potere costituito, verso il quale nutre una profonda ed inconfessata venerazione quasi idolatrica.
Ed è per queste ragioni che, a differenza del passato,non riesco a trovare in me uno slancio, pur minimo di speranza, che mi possa fare credere in un progetto di ricostruzione civica della città,del suo tessuto sociale e culturale soprattutto alla luce di ciò che sta avvenendo di antropologicamente inquietante nel suo Centro storico.
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